La comunicazione nel sistema moda. Analisi semiotica delle strategie comunicative delle aziende tessili dell’Emilia-Romagna (1999-2000)
1. Introduzione
1.2. Il campione d’analisi: materiali e aziende
1.3. Appunti teorici: la metodologia semiotica
2. Strategie comunicative a confronto
3. La rappresentazione del corpo: corpi femminili e corpi maschili
4. La comunicazione rivolta agli addetti ai lavori
5. Una lettura di genere: il vestiario per bambini
Un primo obiettivo della nostra ricerca è consistito nell’analizzare dal punto di vista semiotico le campagne promozionali e i testi pubblicitari attraverso cui le aziende tessili dell’Emilia-Romagna fanno conoscere i loro prodotti.
Questo obiettivo rientra a pieno titolo nell’insieme delle pratiche semiotiche in quanto la semiotica, in almeno una delle sue molteplici anime, si costituisce come una particolare tecnica di lettura dei testi, cioè di insiemi di segni significanti che possono avere una struttura superficiale molto differente tra loro. Dal punto di vista semiotico risulta essere un testo di analisi con una stessa rilevanza teorica un racconto, un dipinto, una fotografia, un film, uno spot televisivo, un oggetto d’uso quotididiano e così via.Con strumenti e metodi peculiari, la semiotica ha quindi lo scopo di reperire alcune costanze di struttura e funzionamento e di descrivere i diversi livelli di articolazione effettivamente presente nei testi; come sostiene uno dei suoi maggiori esponenti, Jean-Marie Floch, essa ha lo scopo di produrre intellegibilità, differenziazioni e pertinenze[1].
La nostra ricerca però non ha avuto solo questo obiettivo, cioè di fare analisi di testi specifici (cataloghi o singole campagne pubblicitarie), ma ha voluto individuare le strategie comunicative messe in atto dalle aziende valutando il rapporto comunicativo che le stesse aziende instaurano con il mondo del commercio a partire sempre dal materiale informativo che circola. E, ultimo nodo problematico che ci siamo proposti di sondare, se la comparazione tra questo secondo tipo di materiale e quello più propriamente di comunicazione esterna ci potesse dare qualche elemento in più per individuare alcune tendenza generali all’interno del magmatico universo della Moda.
La comunicazione di un’azienda può essere infatti valutata tenendo conto di tutte le varie forme di manifestazione. E’ chiaro infatti che la comunicazione rivolta al consumatore finale differisce da quella rivolta agli intermediari di commercio (grossisti, negozianti, gestori di comunità, ecc.) non solo nei contenuti, ma anche nei canali, nei modi di presentazione, nelle strategie discorsive e così via. Gli intermediari sono tra l’altro destinatari molto importanti dal punto di vista sia commerciale sia comunicativo, tanto alcuni studiosi riconducono la quasi totalità dell’efficacia pubblicitaria di un’azienda al rapporto comunicativo che essa riesce a instaurare con il mondo del commercio.[2]
Negli studi mass-mediatici ogni rapporto commerciale dell’azienda viene distinto in Sell-out, se rivolto al consumatore finale, e Sell-in, se rivolto agli intermediari commerciali. In analogia a tale distinzione del marketing, si può parlare di Tell-in quando le aziende comunicano con i diversi canali distributivi e di Tell-out quando la comunicazione si rivolge al pubblico generico dei consumatori finali.[3] E’ proprio al rapporto tra Tell-in e Tell-out che si dovrebbe sempre rivolgere particolare attenzione da parte degli studiosi ma soprattutto da parte delle aziende poiché, va tenuto sempre presente, la comunicazione di un’azienda è tanto più efficace quanto più sono integrate le due forme di comunicazione.[4]
1.2. Il campione d’analisi: materiali e aziende
Il primo passo del nostro lavoro è consistito nel reperire il materiale necessario all’analisi semiotica dei prodotti comunicativi, in quanto tali e in funzione della possibile comparazione tra i due ambiti della comunicazione appena delineati, cioè tra ciò che è più pertinente al Tell-in e ciò che è più decisamente sulla sponda del Tell-out. La richiesta del materiale che abbiamo inoltrato alle aziende tessili andava in questo senso; abbiamo richiesto la documentazione delle ultime campagne pubblicitarie e di eventuali eventi-immagine organizzati, cataloghi per i clienti, ma anche cataloghi che avessero come destinatari i responsabili dei negozi ed eventuale altro materiale che viene fornito in dotazione ai punti-vendita[5].
Hanno risposto dodici aziende ponendo alla nostra attenzione le collezioni degli ultimi anni di alcune loro marche[6] . Le scelte compiute dalle aziende, che talora hanno sottoposto ad analisi alcune marche invece di altre, un certo tipo di materiale piuttosto che altro, è un primo elemento di valutazione.
Le aziende, ci possiamo chiedere, ritengono che le marche o linee scelte rispecchino al meglio la filosofia dell’azienda oppure le ritengono più problematiche al livello comunicativo? Sebbene sia difficile rispondere in modo univoco a tale domanda, è certo comunque che alcune aziende più di altre ci hanno considerati destinatari della loro comunicazione mettendo in atto precise strategie di presentazione del materiale; hanno compreso, possiamo sostenere, il valore dell’autopresentazione[7].
Il materiale così raccolto è risultato estremamente vario per quantità e tipo di oggetti comunicativi. Ci sono, ovviamente, molti cataloghi e immagini di campagne pubblicitarie nei loro vari formati (per la pubblicità stampa, per i cartelli delle vetrine, folderini, cartoline, inviti, ecc.), ma anche registrazioni di sfilate, spot televisivi, gadgets, siti Web, riviste e newsletter.
E’ conseguenza di tale varietà anche una certa disomogeneità, per cui è risultato problematico, in alcuni casi, compiere comparazioni troppo puntuali tra oggetti comunicativi così diversi, specialmente se non ci è stata data nessuna indicazione riguardo al loro reale utilizzo. Nonostante ciò il campione di analisi si è rivelato nel suo complesso ricco e, a nostro avviso, abbastanza esemplificativo delle attuali tendenze della comunicazione di moda.
Per riuscire a confrontare l’estrema varietà del materiale a nostra disposizione, abbiamo utilizzato la seguente scheda, che ha quindi avuto lo scopo di raggruppare, e al tempo stesso di distinguere e di sintetizzare le varie componenti dei singoli testi visivi o verbali, statici o in movimento.
Scheda di analisi dei testi (immagini pubblicitarie, spot, cataloghi, inviti, cartoline, gadget, ecc.)
1. La marca (posizionamento, rilevanza, rapporto marca/linea)
2. Testo visivo
a) il capo d’abbigliamento
b) il corpo
c) le strategie enunciative dell’immagine complessiva
3. Testo verbale
a) l’aspetto formale (tipo di linguaggio, lingue utilizzate, strategie narrative, tono della comunicazione)
b) l’aspetto contenutistico (comunicazione sul prodotto, sull’azienda o altro)
4. La strategia comunicativa complessiva
a) i valori veicolati: funzionalità, bellezza, simbolicità, novità ecc.; valori estetici, individuali, sociali
b) l’enfasi su: corpo, vestito, interazione, movimento, marca
c) il contratto di lettura
Come si può osservare esaminando i punti elencati nella scheda, l’analisi si è incentrata su alcuni elementi specifici. Innanzitutto la marca, la sua collocazione nel singolo testo o nel catalogo, la sua rilevanza rispetto alla campagna o alla presentazione della collezione; quindi la componente visiva, insieme al peso assunto di volta in volta dall’abito, dal corpo e quindi dall’ambientazione nella costruzione dell’immagine considerata nel suo complesso; poi la componente verbale, con una particolare attenzione all’aspetto formale oltreché al contenuto; infine, una valutazione del rapporto tra verbale e visivo.
Si noterà che, sia esaminando il testo visivo, sia quello verbale, abbiamo cercato di isolare quegli elementi che appartengono all’enunciazione, vale a dire al modo in cui il testo ‘mette in discorso’ i propri contenuti. L’enunciazione è l’atto con cui viene prodotto un enunciato, e cioè un testo, che dell’enunciazione conserverà le tracce. Tali indizi dell’attività di produzione testuale possono produrre effetti di senso specifici, e contribuire così all’efficacia della comunicazione.[8]
Questa scheda va però intesa come una sorta di griglia che abbiamo messo alla prova con i singoli testi e con le loro caratteristiche peculiari. Considerata inoltre la difformità del materiale, è ovvio che ognuno dei punti e degli elementi isolati si sono rivelati, di volta in volta, più o meno pertinenti per l’analisi.
Le osservazioni che seguiranno nei prossimi paragrafi non ripercorrono perciò la scheda in tutti i suoi aspetti, bensì rappresentano una sintesi di ciò che in ciascun testo è emerso come strategia comunicativa dominante.
In altre parole, guardare al capo di abbigliamento, al corpo e all’immagine complessiva ha significato individuare innanzitutto i valori veicolati da ciascuna campagna, e di conseguenza da ciascuna linea e marca. Tali valori sovente vengono raffigurati o si iscrivono in un tipo particolare di ambientazione, nella presenza o anche nell’assenza di una storia che ci viene raccontata, e nella costruzione stessa dell’immagine, dai codici cromatici utilizzati alle inquadrature selezionate, che possono indicare la rottura di o l’omologazione a dei canoni rappresentativi tradizionali. La strategia comunicativa di ciascun testo è perciò il risultato di una particolare modulazione dell’immagine complessiva, entro cui sovente domina un solo elemento della rappresentazione: il corpo a scapito dell’abito, o viceversa, l’interazione tra soggetti rappresentati, il movimento o la marca.
In questo modo, infine, è possibile individuare il contratto di lettura che ciascun testo propone ai propri destinatari: come si parla al proprio pubblico? Quali valori si propongono e attraverso quali elementi testuali?
Le due strategie comunicative emerse dalla nostra analisi, di cui ci occuperemo nei prossimi paragrafi, sono infatti due modalità di proporre un’immagine della marca, ma anche un’immagine del pubblico, oltre che dello scambio comunicativo che ha luogo tra questi due poli grazie ai testi.
2. Strategie comunicative a confronto
L’applicazione della scheda d’analisi discussa nel paragrafo precedente ha dunque permesso di isolare due principali strategie comunicative che le aziende mettono in pratica per pubblicizzare le loro marche, linee e collezioni.
Prima di esaminarle, è necessario però specificare che a tale suddivisione non è sotteso alcun giudizio di valore, e cioè che non vi è una strategia migliore dell’altra, o per lo meno non è questo il tipo di valutazione che un’analisi semiotico-testuale deve fornire. Il nostro lavoro cerca invece di circoscrivere gli effetti di senso di un testo o di insiemi di testi, effetti che ovviamente devono essere confrontati, in un secondo momento, con gli obiettivi commerciali e comunicativi delle singole aziende. Il nostro sguardo è dunque, per quanto possibile, ‘neutro’.
Tornando al nostro campione, possiamo perciò ipotizzare due tendenze principali.
Vi sono:
Aziende che presentano uno stile che va al di là delle immagini di moda tradizionali, proponendo un nuovo paradigma. Esse si autopercepiscono e si presentano come soggetto del fare moda inteso quindi in un’accezione nuova, per altro comune al panorama contemporaneo[9], innovando sia i prodotti che le stesse modalità di comunicazione.
Aziende che si posizionano all’interno di paradigmi e stili già consolidati. Esse tendono a seguire i trend della moda, e quindi anche i canoni rappresentativi che contraddistinguono il breve ciclo di vita degli odierni prodotti di moda. Di conseguenza, tali aziende cercano di ricavarsi una nicchia di mercato e di posizionarsi al suo interno.
Innanzitutto, distinguere in tal modo due strategie comunicative non significa fare constatazioni riguardanti la notorietà delle singole marche, oppure la potenza commerciale delle aziende.Non si sta cioè ipotizzando una suddivisione, comune nella letteratura mass-mediatica, tra marche forti e marche deboli.[10]
Questa suddivisione fa riferimento al fatto che, nella società contemporanea, non esistono più prodotti del tutto anonimi. Oggi solo il pane o i vegetali, i cosiddetti prodotti sfusi, mantengono una condizione di anonimato commerciale; per la maggior parte dei beni, si assiste invece a un consumo dominato da una maggiore o minore potenza della singola marca.
Le marche forti, si constata, sono quelle che sviluppano una forte identità comunicativa, uno ‘spessore semantico’, conquistando, di conseguenza, una certa autonomia rispetto al settore merceologico a cui appartengono. Esse comunicano non solo attraverso il proprio messaggio oggettuale, ma anche metalinguisticamente, grazie ad altri investimenti e strumenti comunicativi, che contribuiscono alla costruzione dei significati della marca.
Per quanto ci riguarda, possiamo affermare che le caratteristiche presenti nella definizione di marche forti sono proprie di tutte le aziende del campione, e quindi comuni a entrambe le strategie precedentemente indicate. La distinzione tra i due tipi di aziende riguarda specifiche modalità comunicative, e perciò modi diversi di sovrapposizione tra comunicazione oggettuale e comunicazione metalinguistica e persuasiva.
Da ciò deriva anche una differente strategia di riferimento culturale espressa nei singoli prodotti comunicativi, e in particolare nelle immagini pubblicitarie, che sempre di più citano e riprendono elementi provenienti da altri generi testuali. Questa tendenza peraltro è comune alla comunicazione di moda in generale, che ospita testi sempre più contaminati e ibridi, vicini al ritratto pittorico o alle arti visive, al fumetto, al disegno, al cinema, alle fotografie di cronaca, ecc. Non è dunque difficile incontrare riferimenti a performance artistiche, oppure a stilemi e tecniche fotografiche sperimentali.[11]
Il mondo di riferimento a cui i prodotti comunicativi presi in esame si ispirano è perciò un primo e fondamentale discrimine tra le due strategie comunicative individuate.
Le aziende che cercano di proporre uno stile di vita, e quindi di fare moda, sono particolarmente attente alle istanze culturali e sociali del momento, e in questo senso pongono i loro prodotti comunicativi all’interno di tale mondo di riferimento.
Grazie dunque a riferimenti intertestuali, alla scelta di un certo tipo di ambientazione e all’utilizzo di tecniche di comunicazione specifiche, questa strategia comunicativa diviene inoltre più indiretta: si racconta l’abito facendo finta di raccontare altro, attraverso un’organizzazione narrativa che supera la semplice fotografia del capo d’abbigliamento.[12] Le marche, per esempio, giocano sulla etnicizzazione (sull’utilizzo di oggetti che provengono da culture altre) e su commistioni innovative tra stili, ambienti e oggetti diversi.
Facciamo qualche esempio concreto. Il marchio Blumarine si distingue innanzitutto per la scelta degli scenari in cui ambienta le sue collezioni, a partire dalla campagna curata da Helmut Newton (autunno-inverno 1998-’99), in cui grigi paesaggi urbani di periferia fanno da sfondo agli abiti e al corpo della modella (cfr., per esempio l’immagine 1.). Il contrasto tra questi due elementi, il corpo-abito, impeccabile e colorato, e lo squallore di palazzi scrostati e di carcasse d’automobili abbandonate, contribuisce così a caratterizzare un’immagine di marca che va al di là della semplice presentazione della collezione. All’abito si aggiunge la qualità cromatica e formale dell’immagine, la notorietà dell’autore (Newton), e le suggestioni di un mondo. Ma anche nelle collezioni successive Blumarine si mantiene fedele a questa strategia, benché cambino il contesto e l’autore. Nelle campagne delle ultime stagioni emerge infatti un’attenzione estrema agli oggetti che circondano l’abito e all’ambiente in cui è fotografato, come vedremo meglio nel paragrafo successivo dedicato alle rappresentazioni del corpo (Cfr. le immagini 8-10 di seguito).
Immagine 1. Blumarine, catalogo autunno-inverno 1998-99
La Perla si distingue invece per la strategia complessiva di comunicazione aziendale, estremamente diversificata, attenta ai diversi pubblici e alla qualità delle immagini. Per ogni marca si precisa e si delinea un mondo di riferimento, a volte, come nel caso di Malizia Underwear, attraverso l’uso di tecniche fotografiche peculiari, quali il negativo della fotografia e l’utilizzo di filtri cromatici (cfr. l’immagine 2). Non importa allora che i singoli capi non si distinguano o risultino addirittura sfuocati, perché la qualità e la sofisticazione della fotografia divengono i valori comunicati dalla marca, e di conseguenza dai suoi prodotti.
Immagine 2. Malizia Underwear, primavera-estate 1999
Le aziende che seguono invece i trend della moda allo scopo di conquistare una nicchia di mercato, mantengono come riferimento l’universo comunicativo consolidato della moda stessa. Le strategie comunicative impiegate si trovano perciò a negoziare i significati e i valori che intendono veicolare con ciò che è loro più contiguo, vale a dire con i canoni rappresentativi e con gli stilemi che circolano nell’universo di discorso a cui appartengono.
Quel che caratterizza questa seconda strategia è dunque l’assenza di un’idea forte di comunicazione e di ‘campagna’. Benché non manchi la cura e una certa qualità delle immagini, i testi in questo caso declinano un paradigma affermato, in cui ogni campagna non mostra la sua specificità, bensì si inserisce nel contesto della comunicazione di moda. In altre parole, quel che è assente da questa strategia comunicativa è un’immagine integrata, in cui la presentazione, pur raffinata, del prodotto non rientra in un progetto comunicativo globale e a lungo termine, dove i valori proposti possono sopravvivere alle singole collezioni e legarsi così alla marca. In questo modo, i cataloghi o le immagini proposte, la singola campagna, più che attirare un pubblico nuovo o contribuire alla fidelizzazione del consumatore, funge da richiamo a chi già conosce il marchio.
Un esempio di questa strategia è la comunicazione del marchio Fausta, in cui l’enfasi di ciascuna delle immagini è sul capo di abbigliamento e sulla marca stessa, e da cui è assente qualsiasi valore che non riguardi la qualità del prodotto (cfr. l’immagine 3).
Immagine 3. Fausta Tricot, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Lo stesso discorso vale anche per Pinko e C’est petit nei cui testi, benché innovativi rispetto al formato, al taglio delle inquadrature e alla qualità delle immagini (la modella a volte è ‘tagliata’ dall’immagine che risulta quindi non centrata; le fotografie presentano un’attenzione estrema ai cromatismi e ai contrasti del colore), non compare l’articolazione di un racconto, e quindi la contestualizzazione dell’abito in un percorso di consumo. E’ vero che nel catalogo di C’est petit le immagini sono ambientate in una serra, ma tale scenario rimane sullo sfondo, senza partecipare alla narrazione del prodotto (cfr. immagini 4. e 5.).
Immagine 4. Pinko, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Immagine 5. C’est petit, catalogo autunno-inverno 1999-2000.
Il caso di Les Copains è invece del tutto particolare, in quanto presenta caratteristiche appartenenti a entrambe le strategie individuate. Alla cura estrema con cui sono confezionate le immagini, i dettagli e il formato di alcuni cataloghi, oppure la presentazione delle sfilate, si alternano altri prodotti comunicativi che adottano invece una strategia diversa, sempre curata, ma, ancora una volta, incapace di creare un contesto o un mondo di valori in cui inserire la comunicazione del prodotto (cfr. immagine 6). La comunicazione di Les Copains si caratterizza allora per la mancanza di una continuità di indirizzo generale, di una coerenza che permetta la riconoscibilità non tanto del prodotto, quanto del marchio e del suo universo di valori.
Immagine 6. Les Copains Trend, catalogo autunno-inverno 1998-1999
Immagine 7. Les Copains, catalogo autunno-inverno 1999-2000
3. La rappresentazione del corpo: corpi femminili e corpi maschili
Per esemplificare ulteriormente le caratteristiche e le differenze proprie delle due strategie finora discusse, abbiamo scelto di soffermarci su uno degli aspetti principali dei testi in esame, vale a dire la rappresentazione del corpo. Al centro di ogni immagine, in realtà al centro di ogni campagna di comunicazione legata al mondo della moda, vi è infatti il corpo che veste, ovvero il corpo che è vestito dall’abito. In altre parole, a partire dal modo in cui il corpo è mostrato, nascosto, offerto, inquadrato, dalla maniera in cui interagisce con gli altri corpi o con gli oggetti[13], o attraverso cui, semplicemente, si rende il suo movimento o la sua staticità, è possibile individuare le peculiarità dei percorsi comunicativi intrapresi da ciascuno dei marchi analizzati.
Si è già accennato a come le immagini di moda solo recentemente stiano iniziando a differenziarsi, variando un genere piuttosto appiattito su determinati canoni rappresentativi. A tali canoni apparteneva una certa immagine del corpo della modella il quale, benché variasse a seconda di un ideale di ‘bellezza’ e seduzione legato a uno specifico contesto storico e culturale (la donna femminile e rotonda degli anni Cinquanta e Sessanta, soppiantata negli anni Settanta da Twiggy, con i vari revival odierni), era comunque un corpo perfetto, senza grinze, come l’abito che indossava[14]. Il corpo poteva servire a sottolineare l’abito, oppure ad aumentarne la seduttività grazie alle sue stesse doti seduttive, ma in ogni caso si trattava di un corpo isolato, creato da uno sguardo esterno, spesso immobile e distante.
Ci sembra invece che la prima delle strategie individuate si discosti dal contesto usuale delle immagini di moda, proprio perché utilizza corpi che iniziano a muoversi e a variare le loro posizioni, contribuendo così a definire non solo un canone di eleganza o di vestibilità, ma anche quel mondo di valori di riferimento a cui si è accennato, oltre a un simulacro, una diversa immagine, dei propri destinatari. I corpi raffigurati, pur continuando a richiamarsi a certi canoni di bellezza, di desiderabilità e di ‘forma’, non sono più istanze irraggiungibili, diafane e lontane. Muovendosi (saltando in alcuni casi, accovacciandosi, assumendo pose inusuali) e così rompendo un canone rappresentativo, si muovono anche verso i destinatari, a cui propongono un contratto di lettura basato anche sul gioco e sull’ironia.
Ancora una volta il caso della campagna Blumarine è esemplare. Qui il corpo è il vestito, e viceversa: non troviamo un corpo offerto grazie al vestito, né un vestito che cancella il corpo che lo indossa. L’abito si integra con il corpo che lo modella all’interno di un ambiente. Addirittura il corpo si insinua, anzi, in alcuni casi si conquista un posto (si veda l’immagine 8, della donna nella biblioteca) nell’ambiente stesso per indicare e per sottolineare il mondo riflesso dall’abito, a sua volta abitato in modo originale da chi lo indossa (cfr. anche l’immagine 9).
Immagine 8. Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Immagine 9. Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
In queste immagini del corpo non è dunque iscritto, e quindi esplicitamente enunciato, uno sguardo seduttivo (la modella non guarda in macchina) o un ammiccamento erotizzante. Il corpo non è mostrato grazie all’immagine o alle trasparenze dell’abito, non è oggettivato da uno sguardo che lo immobilizza[15]; la sua seduzione è lasciata alla struttura stessa dell’enunciazione testuale, e cioè allo sguardo dello spettatore, al suo stesso coinvolgimento dentro l’immagine e alla sua volontà di coglierne i dettagli. E’ così che emerge l’indicazione di uno stile, vale a dire di come vestire un corpo, e quindi un capo di abbigliamento, che, a sua volta, lo ripetiamo, designa un mondo (di libri, di oggetti e quindi persone raffinate, originali, ma anche trasgressive). Attraverso la plasticità del corpo, e perciò grazie a pose non certo usuali, nella campagna Blumarine vi è dunque il tentativo di creare una continuità con l’ambiente, affinché il corpo abiti il vestito così come l’ambiente che lo circonda.
Un uso non classico del corpo implica quindi la presenza di oggetti, scarpe, borse, ma anche tavoli, libri, armadi, che, oltre a costituire una presentazione degli accessori Blumarine, attraverso sfumature di colore si armonizzano o contrastano a loro volta il capo-corpo rappresentato (Immagine 10). Siamo quindi in presenza di un corpo che vive nello spazio, da cui si fa modificare e che modifica. La donna Blumarine si fa partecipe dell’ambiente che la circonda insieme e grazie agli abiti i quali, non solo a livello cromatico, ma anche stilistico e ‘tattile’ (la consistenza dei tessuti percepibile sinesteticamente), permettono tale integrazione ‘spirituale’ (la donna in libreria che forse medita su se stessa) e ‘materiale’.
Immagine 10. Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Un esempio opposto è quello della campagna MAX&Co, dove la presenza del corpo sembra quasi azzerarsi, per lasciare spazio a quella delle ‘persone’. People è infatti lo slogan della campagna autunno-inverno 1999-2000: al posto del corpo-vestito di Blumarine troviamo l’abito indossato, quasi privato di un corpo. Non a caso metà delle immagini ritraggono modelle tra la folla di Londra, soffermandosi sulla continuità tra stile dell’abbigliamento e ambiente urbano: il corpo si fa vestire (cfr. l’immagine 11). Anche quando sono ritratte in un interno, le modelle, assolutamente statiche e in posa, si limitano a vestire gli abiti (per esempio nell’immagine 12), a volte interagendo tra di loro, senza che la loro fisicità si iscriva nell’immagine stessa e si leghi così alla marca (le ragazze ritratte si assomigliano, declinando, ancora, uno stile di abbigliamento, e non un corpo). Le persone a cui si richiama lo slogan di MAX&Co sono quindi quelle che abitano la città e il mondo, le quali aderiscono a uno stile che “veste” il corpo. Da notare anche le immagini che fanno da cornice a tutta la storia raccontata dal catalogo; se la prima immagine ritrae l’uscita di un metrò cittadino pieno di gente che cammina a ritmo sostenuto, presumibilmente verso il posto di lavoro, l’ultima ritrae lo stesso luogo inanimato. E’ come se si raccontasse la vita quotidiana di un angolo di città, con il risveglio frenetico del mattino e il lento assopirsi della sera (cfr. immagine 13).
Immagine 11. Max&Co, catalogo People are people
Immagine 12. Max&Co, catalogo People are people
Immagine 13. Max&Co, prima e ultima immagine del catalogo People are people
Se ci spostiamo invece verso marche che seguono la seconda delle strategie individuate, torniamo a un uso classico del corpo e della sua immagine, vale a dire al corpo offerto e oggettivato che serve per evidenziare l’abito e per suggerire alle consumatrici un modello di seduttività ‘indossabile’ e, soprattutto, acquistabile.
L’esempio dei cataloghi Pinko è significativo a questo proposito. Qui la bellezza dei visi e dei corpi delle modelle è in funzione del vestito, e contribuisce a definire un modello di seduttività e di bellezza femminile che, attraverso il corpo, si trasferisce al vestito. Come dicevamo costrette e a volte anche tagliato nelle e dalle inquadrature (che in questo modo evidenziano i dettagli del corpo), le modelle si piegano e assumono pose e contorsioni che esaltano l’abito e la sua capacità di coprire-scoprire (cfr. immagine 14 e 4). Non a caso non c’è un ambiente, un paesaggio o degli oggetti che circondano questo corpo-abito completamente diverso da quello di Blumarine: la seduzione investe lo sguardo dello spettatore, essendo iscritta nell’immagine stessa.
Immagine 14. Pinko, catalogo autunno-inverno 1999-2000
In generale, sembrerebbe quindi che quando la strategia comunicativa ricalca i canoni rappresentativi classici delle immagini di moda, quando segue più che proporre una tendenza, si torni all’uso del corpo-offerto, dove l’abito si integra al corpo in quanto elemento di seduzione, e non in quanto parte di uno stile o di un modo di abitare il mondo. Tale differenza si riflette anche nell’immobilità delle modelle e dei loro corpi: l’immagine non suggerisce né una continuità con l’esterno, né un prima o un dopo in cui il corpo si è mosso o si potrà muovere, insieme al proprio abito.
La stessa immobilità, forse ancora più accentuata, si riscontra anche nelle immagini di Fausta o di Liu Jo, dove l’oggettivazione del corpo è sottolineata dalla porzione che di esso viene selezionata dallo sguardo (Immagine 3 e 15). Lo spettatore ha di fronte il viso e il petto della modella, distante e raccolta in se stessa. Lo sguardo è assente e il corpo a volte raccolto, altre disteso, senza alcuna interazione né con lo sguardo dello spettatore, né con l’ambiente circostante.
Immagine 15. Liu Jo, rivista-catalogo primavera-estate 1999
L’intera comunicazione de La Perla meriterebbe ovviamente un discorso a parte, dal momento che, essendo un’azienda di underwear, veste l’‘intimità del corpo’, a diretto contatto con la sua pelle. E’ ovvio in questo caso che il corpo, la sua forma e la sua ‘superficie’ siano esaltati dalle immagini, e che l’effetto di seduzione e di erotismo venga sfruttato ampiamente (come nell’immagine 16), sebbene a volte in modo ironico o parodico (si veda la campagna di Malizia nelle immagini 2 e 17).
Immagine 16. La Perla Underwear, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Immagine 17. Malizia Underwear, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Sul rapporto tra corpo e abito gioca però anche la campagna di La Perla Outerwear, dove accanto a un corpo nudo, e in quanto tale senza mistero né seduzione, si pone il corpo vestito, che diviene seducente proprio perché coperto (Immagine 18). Il corpo vestito, in questo caso, è un corpo adeguato ad affrontare il mondo. E’ un corpo che acquista la sua femminilità vestendosi. Pur quindi mostrando il corpo, queste immagini parlano in realtà dell’abito e del modo in cui può rendere elegante la figura – e non il corpo- femminile. Solo con un capo di vestiario il corpo della donna La Perla sembra quindi esaltare la propria forma femminile e la propria bellezza.
Immagine 18.La Perla Outerwear, autunno-inverno 1999-2000.
In generale, il numero elevato di immagini legate al corpo e all’abbagliamento femminile presenti nel nostro campione ha reso ovviamente possibile riscontrare differenze ed evoluzioni nel modo in cui il corpo è messo in scena e mostrato, a partire dall’opposizione corpo/abito e rispetto alle dicotomie coperto/scoperto e statico/dinamico. A queste modalità si accompagna quindi più che una tipologia femminile definita (donna seducente, donna raffinata, donna sportiva, ecc.), uno stile declinato a partire da un uso del corpo, che diviene un suggerimento per l’uso dell’abito.
Meno complesso è invece il mondo delle immagini maschili e dei corpi messi in mostra nei cataloghi e nei testi pubblicitari analizzati, in cui le rappresentazioni del corpo, più che uno stile, propongono un ‘tipo’ di uomo. D’altro canto l’uso del corpo maschile è pratica recente che non ha mai subito l’oggettivazione di uno sguardo esterno, come invece è accaduto all’immagine femminile. Premesso che il materiale a disposizione non permette una generalizzazione della nostra ipotesi, ci sembra dunque che il corpo maschile sia un corpo desiderato più che desiderabile, il corpo di Narciso. L’uomo in altre parole non è disgiunto dal suo corpo, in quanto, anche storicamente, è egli stesso il soggetto dello sguardo.
Nel cataloghi Messori troviamo allora l’uomo giovane, tenero e romantico, ma allo stesso tempo tenebroso, da scoprire, oltre che da proteggere. Più che il corpo è il viso che qui attrae l’attenzione, lo sguardo perso nel vuoto o in se stesso (Immagine 19).
Immagine 19. Messori, catalogo
Diverso è il caso di Les Copains, dove vi è un tentativo di dinamizzare il corpo ritratto in pose che rimangono però leggermente artificiose e innaturali (Immagine 20). In entrambi i casi, si tratta però di corpi atletici e immersi nella natura, in cui camminano e si muovono liberamente insieme ai propri abiti.
Immagine 20. Les Copains, catalogo
Grigioperla, come già si scriveva a proposito di La Perla Underwear, naturalmente mostra corpi maschili in tutta la loro potenza e statuarietà: muscoli perfetti e levigati, lineamenti affilati e forti (Immagine 21).
Immagine 21. GrigioPerla Underwear, inserzione periodici, autunno-inverno 1999-2000
In conclusione, al di là di questa breve rassegna, non ci sembra che il corpo maschile –ad eccezione forse di Grigioperla- contribuisca come quello femminile a costruire un’immagine di marca, e di conseguenza a declinare in modo specifico le strategie comunicative evidenziate.
4. La comunicazione rivolta agli addetti ai lavori
Dopo aver esposto i risultati dell’analisi di immagini, cataloghi, campagne pubblicitarie e delle strategie attraverso cui le aziende comunicano con il consumatore finale, concentreremo adesso la nostra attenzione sull’altro versante della ricerca, cioè la comunicazione rivolta agli ‘addetti ai lavori’.
Nel Tell-in la comunicazione di un’azienda discende fino al punto-vendita seguendo un flusso informativo che ha il compito di orientare e organizzare la produzione e il servizio, ma anche di influenzare indirettamente il consumo e l’acquisto. Certi tipi di cataloghi, le fiere, i giornali specializzati e le sfilate sono le principali forme di comunicazione rivolta ad agenti e intermediari di commercio. A ciò si devono aggiungere altri tipi di relazioni pubbliche che le aziende o gli stilisti intrattengono con i giornalisti della carta stampata o della televisione con lo scopo di amplificare la loro comunicazione.
Molto del Tell-in è legato poi a tutto quello che è l’aspetto informale della comunicazione: il rapporto tra l’azienda e gli intermediari di commercio, tra questi ultimi e i commercianti si basa sul contatto interpersonale, telefonico o di interazione faccia a faccia, che è fondamentale per la riuscita del rapporto comunicativo. La figura dell’agente di commercio non è solo quella di venditore, ma anche di messaggero capace di sviluppare interattivamente la comunicazione seduttiva, che è caratteristica della moda.[16]
La semiotica con gli strumenti propri dell’analisi del testo non può sondare questo secondo fondamentale aspetto della comunicazione, che è campo specifico di analisi sociologica o, al limite, socio-semiotica. Ma già l’analisi dei materiali di corredo alla comunicazione interpersonale (campionari e depliant informativi sulle novità, innanzitutto, ma anche tutto ciò che viene fornito in dotazione al punto-vendita) può fornire indicazioni riguardo al comportamento comunicativo delle aziende e in particolare all’attenzione che rivolgono all’integrazione di questa forma di comunicazione con quella direttamente rivolta al consumatore finale.
Le aziende del nostro campione ci hanno fornito materiale informativo molto variegato ed eterogeneo che copre pressoché tutta la gamma dei possibili oggetti comunicativi propri del Tell-in, a partire dai campionari, i cartelli da esporre all’interno dei negozi o nelle vetrine, gadget vari, cartoline e inviti da spedire a cura del punto-vendita ai consumatori, newsletter e riviste, fino alla documentazione di sfilate o altri eventi-immagine.
Da segnalare anche in questo caso la completezza della documentazione di La Perla da cui si evince la capacità dell’azienda di declinare la propria immagine complessiva nella comunicazione pubblicitaria e nella comunicazione interna, con prodotti vari per formati e canali di trasmissione ma sempre molto organicamente concepiti.
Per quanto riguarda le altre aziende, non c’è una così forte integrazione delle forme comunicative anche se possono essere individuate scelte precise e sempre molto lucide; le due strategie precedentemente individuate possono esserci utili anche per spiegare la qualità e il tipo di materiale proprio del Tell-in.
In questo ambito la scelta dei canali informativi, e non solo la qualità della comunicazione, sembra assumere maggiore rilevanza. Così alcuni strumenti come le sfilate di moda, le sponsorizzazioni o la copertura della stampa sembrano centrali solo per una strategia che si vuole più aggressiva. Molto più tradizionali, e forse anche meno economicamente impegnative, sono invece le forme comunicative (come per esempio il catalogo di auto-presentazione) scelte da quelle aziende che seguono una strategia di posizionamento all’interno del mercato della moda.
Facciamo alcuni esempi riguardanti in specifico due oggetti comunicativi: le sfilate di moda e i cataloghi di presentazione dell’azienda.
Le sfilate hanno il compito essenziale di attirare l’attenzione verso una certa marca. Il loro valore economico principale consiste nella presentazione dei nuovi modelli non tanto ai consumatori finali ma agli agenti specializzati, i buyers, che a loro volta rappresentano i venditori al pubblico. Attraverso canali indiretti, come la stampa e la televisione, le nuove collezioni vengono però presentate anche ai consumatori. Quotidiani e settimanali, oltreché le riviste specializzate contribuiscono all’amplificazione dell’evento-sfilata, corredato da adeguato battage pubblicitario e da sponsorizzazioni della marca compiute da personaggi dello spettacolo. Discorso simile vale per il mezzo televisivo; oltre a una sempre più cospicua attenzione rivolta a eventi di moda e costume da parte dei telegiornali, ci sono trasmissioni, come Falpalà o Moda e rubriche, come TG2 Costume e Società, dedicate alle cosiddette Soft news, al pettegolezzo e agli eventi mondani in cui le sfilate di moda si collocano a pieno titolo.
Quanto sia importante l’aspetto del battage pubblicitario è testimoniato sia dalla qualità delle sfilate, mai particolarmente innovative, sia dalla cura prestata dalle aziende nel radunare la rassegna stampa (come Messori) o nel registrare i telegiornali e le trasmissioni che fanno riferimento alla propria marca (come Blufin). Le sfilate, in quanto evento in sé, avranno sicuramente un loro valore commerciale, anche se non ci sembra che le aziende del nostro campione tentino particolari innovazioni né nello stile di presentazione né nelle modalità d’esecuzione.
Per esempio, lo stile e l’ambientazione delle sfilate di Blufin non hanno subito nessuna sostanziale modifica negli anni: il marchio (Blumarine o Anna Molinari) compare nel pannello in sottofondo in modo discreto ma allo stesso tempo imponente; c’è una stessa struttura di sfilata, una ristretta gamma di scelte musicali; una scenografia essenziale e molto simile di stagione in stagione con pochissime eccezioni -per esempio nella collezione Primavera-Estate 1999 si aggiungono alcuni motivi floreali con rami e bacche nello sfondo così come nei capelli delle modelle.Esiste inoltre un librino cartonato con la spirale in cui vengono presentati in ordine i modelli della sfilata e che è probabilmente a disposizione dei buyers o comunque del pubblico della sfilata.
In questa rassegna di foto è in rilievo solo il vestito e il numero di catalogazione del vestito; la qualità delle foto è piuttosto scadente e non ha niente a che vedere con la raffinatezza delle immagini pubblicitarie a cui siamo abituati (Immagine 22).
Immagine 22. Blumarine, immagine dalla collezione primavera-estate 1999
Anche la registrazione video della sfilata non ha niente di ricercato al livello visivo: si presenta come una documentazione con pochi punti di ripresa e con l’attenzione volutamente rivolta quasi esclusivamente al capo d’abbigliamento. A partire dalla Primavera-Estate 1999 si è però aggiunto un backstage iniziale con un montaggio delle immagini riprese prima della sfilata. Quest’ultimo mutamento stilistico, oltre a essere in accordo con le ultime tendenze culturali e artistiche (pensiamo per esempio che da un paio di anni esiste a Bologna anche un festival del backstage con tanto di concorso e premi), fa presupporre anche un utilizzo non solo di documentazione interna dell’evento-sfilata, ma anche di presentazione per televisioni o fiere ed eventualmente da utilizzare nei punti-vendita .
E’ un po’ ciò che succede anche con la registrazione video delle sfilate di Les Copains e in particolare di quella della collezione Primavera-Estate 1998 che ha avuto come testimonial d’eccezione Anna Oxa. Oltre alla presenza del backstage, il video, registrato in loop, prevede una manipolazione del materiale primario della sfilata sfruttando tutte le tecniche della post-produzione: varie modalità di inquadratura e di montaggio, frequenti primi piani, rallentamenti di ripresa, dissolvenze e così via. L’oggetto di attenzione non è solo il vestito ma il corpo in generale e in particolare quello di alcune modelle famose di cui vengono valorizzati tutti gli aspetti della loro bellezza: il volto e le altre parti del corpo, l’andatura e il portamento. Il prodotto comunicativo ha complessivamente una buona qualità che non toglie niente ovviamente all’evento –sfilata in sé e al conseguente battage pubblicitario, ma permette di sfruttare al meglio il video anche in occasioni successive: una potenzialità che ci sembra essere trascurata dalla maggior parte delle aziende del campione.
L’altro oggetto comunicativo su cui ci vogliamo soffermare è il catalogo di presentazione dell’azienda. Si tratta dell’unico caso del nostro campione in cui l’aspetto scritto della comunicazione ha la predominanza rispetto all’aspetto visivo. Il visivo risulta infatti quasi sempre subordinato al verbale, costituendosi quasi come un commento.
L’argomento è la storia dell’azienda? Nella stessa pagina si trovano immagini dell’azienda “al lavoro” (uffici, laboratori, sartoria) o addirittura la foto del Presidente e quella dei vari stabilimenti di produzione. Si sta affrontando il capitolo dei punti vendita e dell’estensione della rete distributiva? Abbiamo quindi fotografie di vetrine e negozi, in Italia e all’estero, oppure le varie soluzioni proposte dall’azienda ai commercianti per esporre le merci (come nell’immagine 23). Per quanto poi riguarda l’esplicitazione della strategia d’immagine e comunicazione, essa viene corredata da immagini pubblicitarie e di cataloghi, da servizi fotografici già comparsi su riviste oppure da istantanee di sfilate (cfr. le immagini 24 e 25).
Immagine 23. Fausta Tricot, catalogo aziendale
Immagine 24. Pinko (Cris Confezioni), catalogo aziendale
Immagine 25. Les Copains (B.M.V. Italia), catalogo aziendale
Anche l’impaginazione risulta complessivamente piuttosto tradizionale: le immagini si alternano allo scritto in modo statico e prevedibile. In alcune sue parti fa eccezione il catalogo di Pinko (Cris Confezioni) in cui si può rilevare un’attenzione particolare al formato del catalogo e al montaggio delle immagini con esempi di foto tagliate e ricomposte a strisce verticali in modo da esaltare i dettagli (vedi Immagine 26).
Immagine 26. Pinko (Cris Confezioni), catalogo aziendale
La parte più consistente della nostra analisi riguarda quindi la componente scritta sia nel suo aspetto formale (tipo di linguaggio, lingue utilizzate, strategie narrative, tono della comunicazione) che in quello contenutistico (comunicazione sul prodotto, sull’azienda o altro). I cataloghi presi in esame non presentano molti punti in comune eccetto il fatto che sono tutti bilingui (in italiano e inglese) a dimostrare l’esigenza di una tendenza all’internazionalizzazione di queste aziende, e utilizzano un linguaggio abbastanza semplice e solo in rari passaggi sintatticamente poco chiaro. Per gli altri aspetti differiscono tanto da rendere difficile un discorso generale.
E’ chiaro che in questi cataloghi è l’Azienda ad essere in primo piano, la sua storia, le sue strategie e le prospettive future. Ma dalla declinazione di tali argomenti con la loro messa in discorso e il tono della comunicazione (più o meno enfatico, più o meno formale), dipende l’unicità di ognuno di questi prodotti.
Così, per esempio, del catalogo di Fausta Tricot colpisce la fiducia richiesta al distributore-cliente che si basa sulla presentazione di un’azienda solida (con tanto di organigramma), di buona tradizione emiliana da cui deriva un’eccellente qualità del prodotto. Il patto fiduciario riguarda sia l’aspetto distributivo, per cui l’azienda si impegna a fornire un attento servizio per l’allestimento dei negozi, sia il prodotto, con la possibilità di richiedere il riconfezionamento di capi con particolari tessuti, intarsi o trame. La “sensibilità alla moda” dichiarata è un atteggiamento di bricolage costruttivo: è un tentativo di seguire “le ultime tendenze di moda” incrociando “le tendenze dello stile con i desideri ed i sogni del consumatore”[17].
Diversa è la valorizzazione presente nel catalogo di Les Copains (B.M.V. Italia).L’enfasi è sul futuro, sulla strategia commerciale scelta e sugli obiettivi da raggiungere: una sempre maggiore internazionalizzazione dell’azienda e l’approdo in borsa entro il 2000 che risulta essere l’obiettivo naturale di un lungo lavoro e della storia economica del gruppo fatta di acquisizioni produttive e di espansioni nella distribuzione. Parallelo è il percorso narrativo riguardante il prodotto e la marca Les Copains. La tradizionale attenzione alla qualità che ha la sua origine nella maglieria (“‘primo amore’ e un’arma di leadership mondiale per B.M.V. Italia”) si sviluppa in altre direzioni, sia di genere (uomo, donna e bambino) sia “oltre l’abito” (borse, occhiali, scarpe, foulard, cinture, ecc.).E tutto questo “in nome di un guardaroba flessibile e intelligente com’è il consumatore di oggi”; si può procedere a variare lo stile a seconda di occasioni diverse con alcuni punti fermi come “l’affidabilità e l’equilibrio tra forma e sostanza, oltre a un’innovazione non urlata, ma suggerita”.
Se Fausta Tricot si presenta come un’azienda in consolidamento e Les Copains come azienda in espansione sia dal punto di vista economico sia per la quantità di prodotti e accessori collegati alla marca, il catalogo di Pinko (Cris Confezioni) è incentrato sul nuovismo, effettivo o sperato, della marca e della strategia aziendale. Seguendo dettagliatamente la storia dell’azienda, si esplicitano le strategie comunicative che si sono susseguite negli anni.Così la strategia dei “flash” di pronto-moda “capaci di cogliere le esigenze di una domanda in continua evoluzione nel turbinio di proposte e tendenze create dall’avvento del fenomeno delle griffe”, si consolida a fine anni ottanta con “la rivisitazione delle tendenze esaltate dal mercato attraverso un’opera di personalizzazione sempre più incisiva”, per approdare negli anni novanta alla costruzione di un’immagine globale per migliorare la “riconoscibilità” della marca Pinko che va di pari passo con il “posizionamento nel canale dei punti vendita multimarca ai vertici della distribuzione”. Tale percorso viene poi ripetuto in altri luoghi del catalogo concentrandosi quando sul prodotto quando sull’immagine. A ciò si aggiunge anche un’analisi delle future tendenze in cui si enfatizzano i valori dell’effervescenza del mercato, delle nuove discipline spiritualiste e delle nuove culture multietniche “integrate e arricchite dall’apporto di nuove energie, colori e suoni”. Il catalogo Pinko propone facili profezie ma presentandole come grandi novità; recupera alcune idee delle filosofie new-age mantenendone la nebulosità concettuale e ideologica che le contraddistingue, ma cercando di tradurle in termini utilitaristici, dal momento che “l’energia dei colori sarà in grado di tradursi in soluzioni e interpretazioni personali nel vestire Pinko creando nuovo spazio all’espressione di liberi stati d’animo”.
5. Una lettura di genere: il vestiario per bambini
Siamo così giunti all’ultimo argomento della nostra ricerca che riguarda l’abbigliamento per bambini. La pubblicizzazione del vestiario e degli oggetti per bambini è una forma di comunicazione che si distanzia notevolmente da quella per adulti tanto da costituire un genere comunicativo a se stante. Il destinatario della pubblicità è ancora l’adulto, che ha il potere di acquisto, ma il gioco comunicativo è quello di identificazione tra i soggetti del testo, i bambini fotografati, e il proprio figlio o nipote. Per questo ogni marca del campione utilizza all’interno della stessa campagna pubblicitaria molti bambini di età e tipologie diverse proprio per favorire il processo di identificazione del bambino ritratto con il proprio figlio o nipote.
A differenza di ciò che accade nella comunicazione sugli adulti, al centro di queste immagini di bambini si trova quasi sempre un gruppo di soggetti: bambini che si abbracciano o stanno per mano, che camminano, mangiano, o giocano insieme. Solo nella pubblicizzazione dell’abbigliamento per bambini un po’ più grandicelli compaiono immagini con singoli soggetti, ma queste si trovano in genere in cataloghi o riviste dove viene lasciato al cambio di pagina la ricerca identificativa a cui abbiamo accennato.
Rappresentare soggetti in gruppo vuol dire presupporre una qualche forma di interazione e l’interazione apre le porte all’amicizia. Cosa c’è di più gratificante per lo sguardo di genitori, zii o nonni del vedere belle facce di bambini biondi o scuri di capelli, con i boccoli o con i capelli lisci, con occhi blu, verdi o marroni, che armoniosamente giocano felici e sereni insieme?
L’importanza del gruppo è anche la predominanza nella nostra cultura dell’aspetto socializzante del bambino. Un bambino sereno e felice è un bambino che ha imparato dalla propria famiglia ad avere fiducia negli altri: nelle immagini pubblicitarie dell’abbigliamento per bambini passano quindi tutti quei valori positivi che riempiono di gioia gli adulti e li predispongono positivamente all’acquisto.
La bellezza e serenità del bambino, il valore positivo del gruppo, dell’interazione e della famiglia, accompagnato da ambienti puliti e luminosi, sono i tratti su cui le singole marche declinano le loro strategie enunciative. Data l’esiguità del nostro campione[18] non è possibile procedere a una comparazione troppo puntuale tra marca e marca o tra una data strategia aziendale e l’altra.
Ci sembra comunque che il catalogo di Emmanuel Schvili riesca a declinare tutti i valori precedentemente descritti. Utilizzando cartoons e personaggi del mondo infantile vengono proposti capi di abbigliamento per baby, bambini, ragazzi e adulti a cui va aggiunta anche una linea di accessori da cucina, luogo in cui tradizionalmente si raduna tutta la famiglia, almeno in occasione del rito del pasto. La famiglia quindi è il nucleo centrale di benessere e serenità, come connotano tutte le immagini del catalogo; una famiglia che trova un altro elemento di unione nel vestiario perché viene condiviso da tutti i componenti uno stesso mondo di riferimento infantile rappresentato dai personaggi dei cartoni (Immagine 27).
Immagine 27. Emmanuel Schvili, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Possiamo poi constatare come alcune marche, più di altre, tendono a contestualizzare le presentazioni. Come abbiamo già sostenuto, il contesto e l’ambientazione è un elemento che muta notevolmente la qualità complessiva delle immagini.
Un contesto naturalistico, per esempio, è quello scelto da Embé? che ha ambientato il proprio catalogo in un parco con molte piante e prati verdeggianti dove i bambini possono giocare insieme, sentire gli odori delle piante, passeggiare tranquillamente portando al guinzaglio il cane (Immagine 28). Un mondo utopico dove la natura è molto ordinata come il modo di comportarsi dei bambini e il loro modo di portare i vestiti.
Immagine 28. Embè?, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Altro tipo di contesto è quello in cui si narrano le storie metropolitane dell’ultima campagna pubblicitaria di Bambola Fritta. Lo scenario è costituito da immagini di città nord-americane, mappe geografiche, macchine fotografiche, biglietti aerei e tutto ciò che serve ad un piccolo viaggiatore. Un bambino molto dinamico, che usa scampe da tennis e vestiti comodi perché è ciò che “serve per esplorare le metropoli”.
Quest’ultima campagna sembra richiamare, più di altre, la prima strategia comunicativa individuata, cioè quella che, almeno tendenzialmente, delinea un nuovo modo di utilizzare e concepire il capo d’abbigliamento, meno convenzionale, in armonia con le proprie esigenze interiori e in accordo con il mondo esterno. Che c’è di meglio allora che mangiare patatine fritte e hamburger sul bordo di un’immagine di New York?
[1] Cfr. al proposito J. M. Floch, Sémiotique, marketing et communication, PUF, 1990; trad. it. Semiotica, marketing e comunicazione,FrancoAngeli, 1997.
[2] Cfr. al proposito M. Schudson, Advertising-The Uneasy Persuasion, Routledge, London, 1984.
[3] Cfr. Ugo Volli, Block Modes. Il linguaggio del corpo e della moda, Milano, Lupetti, 1998, p. 131 sgg.
[4] Per quanto riguarda la Comunicazione integrata vedi l’articolo di Roberto Grandi, “La corporate image come oggetto semiotico” in R. Grandi (a cura di), Semiotica al marketing, Milano, Angeli, 1994.
[5] Abbiamo richiesto per analizzare il Tell-out: a) Documentazione delle ultime campagne pubblicitarie (spot televisivi, annunci radiofonici, annunci stampa per i quotidiani, settimanali, riviste ecc., cartellonistica); b) cataloghi dell’azienda che abbiano come destinatari finali i consumatori; c) documentazione di eventuali eventi-immagine organizzati. E per analizzare il Tell-in: a) cataloghi dell’azienda destinati ai responsabili dei negozi; b) documentazione fotografica dei materiali comunicativi forniti ai negozianti da esporre nei negozi e/o da mostrare ai clienti; c) indicazione di alcuni negozi (possibilmente non esclusivisti) dove l’azienda ritiene che i propri prodotti vengano adeguatamente valorizzati al livello di immagine e di vendite.
[6] In particolare hanno aderito all’iniziativa Blufin con le marche Anna Molinari, Blumarine e Blugirl; BMV Italia con Les Copains, Les Copains Trend e Les Copains Uomo; Creazioni Padus con Toast ed Embé?; Creazioni Queens con Bambola fritta; Cris Confezioni con Pinko; Emmanuel Schvili; Fausta Tricot con Fausta Tricot e Fausta Trend; La Perla con Grigioperla, La Perla e Malizia; Liu Jo; Maglificio Adele con C’est petit; Industrie Maramotti con MAX&Co; Messori Production con Messori.
[7] Per fare un solo esempio, La Perla ha corredato l’abbondante materiale fornitoci con una lista molto articolata in cui è stato specificato anche il destinatario di ogni prodotto comunicativo (rivolto al consumatore, al rivenditore oppure a entrambi, rivolto alla boutique che lo spedisce ai consumatori, dal negozio alle consumatrici Italia, ecc.).
[8] L’enunciazione è un luogo semiotico estremamente complesso, che non si può certo esaurire in poche righe: cfr. G. Manetti, La teoria dell’enunciazione, Siena, Protagon, 1999; U. Volli, Manuale di Semiotica, Bari, Laterza, 2000.
[9] Ugo Volli, nel libro Block Modes, op. cit., sostiene che “nel passaggio da modernità a postmodernismo (con la caduta delle ideologie (…) il pluralismo e anzi la confusione dei discorsi e delle immagini, il citazionismo, il meticciato (…) si ha anche un passaggio da moda a stili. (…) L’abbigliamento non si basa più sull’aggiornamento del gusto alle ultime tendenze (…) ma piuttosto esso è condizionato dallo stile, dalla rivendicazione di identità.” (pp. 9-11). Cfr. anche Ted Polhemus e la sua idea del “Supermercato dello Stile” (in M.P. Pozzato (a cura di), Estetica e vita quotidiana, Milano, Lupetti, 1995, pp.123-129).
[10] Cfr.U. Volli, Block Modes, op. cit, pp. 138-139.
[11] A questo proposito si veda M.P. Pozzato, “Per una semiotica minimalista: dal sistema della moda al catalogo di moda”, in G. Ceriani e R. Grandi (a cura di), Moda: regole e rappresentazioni, Milano, Franco Angeli, 1996, p. 263.
[12] A questo proposito, M.P. Pozzato in “Per una semiotica minimalista: dal sistema della moda al catalogo di moda”, cit., dice: “E’ prevedibile che il grado di articolazione narrativa aumenti con l’aumentare dell’importanza del parametro di simbolia del capo vestimentario o con la necessità di illustrarne dettagliatamente i contesti d’uso” (p. 236, corsivo nostro).
[13] Il problema della rappresentazione del corpo e delle sue funzioni comunicative è dibattuto nella sociologia della cultura e nel campo dei Cultural Studies: si vedano in particolare S. Scott e D. Morgan (a cura di), Body Matters. Essays on the Sociology of the Body, London and Washington, Falmer Press, 1993 e J. Craik, The Face of Fashion, London and New York, Routledge, 1994.
[14] Cfr. al proposito Jean Baudrillard, La société de consommation. Ses mytes ses structures, Paris, Gallimard, 1974 (tr.it. La società dei consumi, Bologna, Il Mulino, 1976).
[15] E’ qui solo accennata una questione teorica complessa e ampiamente dibattuta nell’ambito della critica femminista contemporanea, vale a dire la costruzione del corpo femminile ad opera di uno sguardo sovradeterminato culturalmente: si vedano in particolare M.A. Doane, Femmes Fatales: Feminism, Film Theory, Psychoanalysis, London and New York, Routledge, 1991 e il cap. 11 di U. Volli, Manuale di semiotica, op. cit.
[16] A tal proposito cfr. U. Volli, Block Modes, cit., p. 131 sgg.
[17] Saranno collocate tra doppie parentesi le citazioni dai cataloghi di presentazione di Fausta Tricot, Les Copains (B.V.M. Italia) e Pinko (Cris Confezioni).
[18] Ricordiamo che fanno parte del campione d’analisi solo tre aziende che producono abbigliamento per bambini: Creazioni Padus (con le marche Toast e Embé?), Creazioni Queens (con Bambola Fritta) e Emmanuel Schvili.