Ocula uno, giugno 2001

Il concept design: il lavoro inventivo del concepteur


 

di Pier Pietro Brunelli



Abstract> 'Concept Design' è un 'concetto forte' per indicare 'l'invenzione di senso' da cui prende avvio ogni attività progettuale e realizzativa. La spettacolare onnipotenza delle tecnologie, dei mass e personal media, e dei processi di globalizzazione, comporta un generale obnubilamento del senso… il mondo è pieno di cose e immagini a 'senso unico' se non quasi 'senza senso'. Il 'concept design' risponde ad un diffuso bisogno di disegnare e ridisegnare il senso.


1. Il concepteur e il design. Il "concept design" - o più semplicemente potremmo dire 'idea' (anche se l''idea' da Platone ai giorni nostri è cosa niente affatto semplice) - nasce e si sviluppa da un processo inventivo e da saperi esperienziali e transdisciplinari mirati a realizzare qualsiasi genere di progettualità e di obiettivo produttivo.

Talvolta il 'concept design' è frutto di un risultato di équipe, di un brain storming, da cui scaturiscono le 'fonti progettuali transdiciplinari' e i contenuti che informeranno di sé la progettazione e la realizzazione di segni, sistemi di segni, oggetti, messaggi, ambienti ed eventi.

Per dirla alla francese, la professionalità specifica che attiene al 'concept design' è quella del concepteur, tuttavia tale 'figura professionale' non viene quasi mai riconosciuta nella sua purezza, ma solo in quanto detiene un know how specifico e settoriale. Quindi il concepteur o concept designer può essere anche un ingegnere, uno stilista, un giornalista, uno sceneggiatore, cioè un inventore di concetti adeguati all'ideazione e al raggiungimento di un determinato obiettivo produttivo in un certo ambito settoriale.

Ma noi, restringiamo la riflessione ai campi del 'visual' e dello 'industrial design', con l'intento di porre l'accento sul processo inventivo che in tali aree progettuali va dall'invisibile (immagini mentali e processi cognitivi) al visibile (segni, oggetti, comportamenti): visibilia ex invisibilibus.

J. Baudrillard indica che il significato del termine DESIGN può essere letto nell'intreccio di tre prospettive operative ed interpretative:

[a] grafica per il disegno;

[b] proiezione cosciente di un obiettivo da raggiungere;

[c] passaggio allo statuto di segno, operazione/segno, riduzione e razionalizzazione in elementi/segno, trasferimento alla funzione/segno.

(J. Baudrillard, Per una critica dell'economia politica del segno,1972, Milano, Mazzotta, 1974, p.206).

Dunque, l'area operativa del 'concept designer' nell'ambito della comunicazione visiva riguarda essenzialmente il design nel senso di b] e c] mentre l'atto grafico a], quello di operare con strumenti e sistemi per 'disegnare una visione', non appartiene all'ordine immateriale del concetto, ma a quello del suo materializzarsi e prendere forma nell'artefatto comunicativo (La parola "concetto" in psicologia cognitiva indica la natura mentale del "significato", dunque con quest'ultimo si fa riferimento all'ordine del linguaggio, mentre con il primo si intende un fenomeno cognitivo -vedi L. Anolli; R.Ciceri "Comunicazione: dal concetto al significato condiviso" in AA.VV. Elementi di psicologia della comunicazione 1995, pp.158-160, Milano, Casa editrice ambrosiana-. Tale fenomeno è costituito da rappresentazioni mentali e da affetti, che il soggetto elabora dentro di sé in termini immaginativi: visioni, suoni, sensazioni, parole, catene narrative. Dunque dietro ogni immagine reificata c'è una precedente 'immagine fantasma', di cui si può essere più o meno consapevoli. Il 'concept design' in termini psicologici, consente di conoscere e modificare il fantasma dell'immagine, al fine di renderlo visibile ed orientabile verso un obiettivo comunicativo intenzionale). Con ciù non si vuole asserire che esiste necessariamente un dualismo e una separazione tra fare e pensare, tra res exstensa e res cogitans, tra significante e significato, poiché è evidente che anche durante l'esecuzione grafica sussiste una attività concettuale che accompagna le scelte e i processi creativi. Tuttavia, il 'concept design' nella comunicazione visiva, può essere inteso come una quota di elaborazione di saperi e di pareri, che costituiscono l' a priori dell'immagine. Tale a priori è espresso soprattutto attraverso il linguaggio verbale scritto e parlato, e tutt'al più per mezzo di schizzi, rough, appunti, quadri sinottici, grafi. Quindi quando il 'concept' viene trascritto in sistemi di segni di diversa natura (icone, indici, simboli) si dà avvio all'ipotesi progettuale, cioè all'area operativa liminare tra concetto e oggetto.

L'elaborazione del 'concept design' nel campo della pubblicità - creazione di marchi, di immagini coordinate, di sistemi di segni e di messaggi - è da considerarsi non solo come motore 'creativogenico' dei contenuti e delle forme della comunicazione verbo-visiva, ma anche come patrimonio culturale per l'evoluzione concettuale della corporate identity di un determinato apparato aziendale o istituzionale. In tal senso il 'concept design' mira a generare il 'cult' di una merce, di un servizio o di una marca (F. Carmagnola; M. Ferraresi, Merci di culto. Ipermerce e società mediale, Roma, Castelvecchi, 1999).

Il 'concept design' dopo essere stato stimolo ideativo essenziale per la creazione di un messaggio, diviene anche la guida per una sua ermeneutica, dalla quale si sviluppano ulteriori 'processi di senso', esprimibili attraverso testi, discorsi, copystrategy, notazioni figurative di varia natura.

Purtroppo non sempre i 'visual designer' sono in grado di esprimere e valorizzare il loro lavoro di concepteurs, e ciù è dovuto principalmente a due ragioni: la prima è che il committente tende a riconoscere solo l'esecutività della comuncazione visiva - quasi che l'inventiva del concept sia un processo di sua esclusiva competenza; la seconda ragione è che le facilities della computer grafica hanno comportato un inflazionarsi della professione, così che 'sulla piazza' vi sono molti operatori capaci di utilizzare le tecnologie dell'immagine, ma con una insufficiente preparazione intorno alle discipline della comunicazione. Di conseguenza il 'visual designer' viene spesso considerato come il produttore di significanti, mentre il significato gli viene proposto o imposto da altre figure professionali (committenti, manager, professionisti del marketing). Dunque, sia per l'eccessiva ingerenza del committente, e sia per una insufficiente competenza concettuale del 'visual designer', il mondo continua a riempirsi di immagini più o meno 'belle', che perù non riescono a dire ciù che vorrebbero e dovrebbero dire, e che, in definitiva, hanno il solo pregio di essere il prodotto di sofisticate tecnologie.

2. Cultura dell'immagine e formazione transdisciplinare. Il concepteur, qualora sia alle prese con la progettualità e l'interpretazione di immagini, assume le vesti dell'iconologo. Si ricordi che il termine iconologia - coniato per la prima volta da Cesare Ripa (Il manuale di iconologia di Cesare Ripa, Iconologia, scritto nel 1593, venne pubblicato a Roma nel 1953) e poi rielaborato da Erwin Panofsky - sta all'iconografia, come la geologia sta alla geografia; infatti il punto di vista iconologico riguarda il senso storico e culturale di una immagine, la sua significazione profonda, e quindi una serie di contenuti connotativi la cui complessità non risulta evidente in una prospettiva di analisi iconografica. (E. Panofsky : " […] propongo di far rivivere l'antico e bel termine di 'iconologia' ogni volta che l'iconografia sia sottratta al suo isolamento e integrata con ogni altro metodo storico, psicologico o critico, che possa servire per tentare di risolvere l'enigma della sfinge. In realtà come il suffisso 'grafia' indica qualcosa di descrittivo, il suffisso 'logia' - derivato da logos che vuol dire 'pensiero' o 'ragione' - indica qualcosa di interpretativo". "Iconografia e Iconologia". in Il significato nelle arti visive, 1955, Torino, 1962, pp.36-37).

Panofsky indica tre livelli di analisi dell'immagine: un primo livello è quello dell'individuazione dei motivi figurativi, ovvero delle forme portatrici di significati denotativi; un secondo livello è quello dell'analisi iconografica, ovvero dei temi e dei contenuti didascalici e narrativi di una immagine; e infine, un terzo livello, quello dell'iconologia che consiste nell'individuazione del senso in riferimento al contesto culturale e sociale di un'epoca, e così anche in riferimento alla soggettività psicologica dell'autore, ovvero a quella esegesi che va dall'immaginazione all' immagine. Un esempio scelto da Panofsky è L'ultima cena di Leonardo da Vinci, dove il livello di analisi primario registrerebbe solo che tredici uomini, vestiti con abiti inattuali, sono seduti intorno ad un tavolo imbandito. Al secondo livello di analisi, quello iconografico, l'immagine evoca l'ethos cristiano come rappresentazione di una precisa narrazione evangelica. Al terzo livello, quello iconologico, si evidenziano le significazioni 'inconsce' dell'immagine, come fenomenologia della soggettività di Leonardo, ma anche come espressione di una visione del mondo nel Rinascimento maturo italiano, quindi lo Zeitgeist del tempo. E' in questo terzo livello di analisi che il 'concept design' trova il suo proprium progettuale. Va perù osservato che, il 'visual designer' - a differenza dell'artista - deve orientare la sua soggettività a favore della soggettività istituzionale del committente, deve quindi interpretare le intenzioni e i desideri di quest'ultimo.

Dunque, il livello iconologico consente di elaborare quelle qualità concettuali preformandi che sono alla base della creazione e della valorizzazione di una immagine 'sensata'.

Con l'obiettivo di fortificare il lavoro concettuale del 'visual designer', le più importanti scuole di comunicazione visiva propongono corsi e seminari ricchi di discipline propedeutiche. Possiamo dire che una buona formazione concettuale del 'visual designer' dovrebbe fondarsi su quattro colonne disciplinari tra loro discorsivamente interrelate: la semiotica, l'antropologia, la psicologia e la sociologia. Tale 'quadrivio transdisciplinare' rappresenta la base epistemologica del concepteur/iconologo che può essere sintetizzata nei seguenti termini:

- la semiotica può intendersi come il software che presiede al dialogo transdisciplinare, nonché il motore inventivo (Per una concezione inventiva della semiotica si veda M.A. Bonfantini, La semiosi e l'abduzione, Milano, Bompiani, 1987) e argomentativo in vista di una sintesi progettuale risolutiva; -

- l'antropologia consente l'investigazione dei fondamenti culturali e ambientali che caratterizzano il comportamento umano in termini universalistici e/o relativistici;

- la psicologia, intesa in senso ampio, sia come psicologia della forma e della percezione, e sia come psicologia del profondo, al fine di effettuare valutazioni sulla natura percettiva, affettiva, simbolica e rappresentazionale di contenuti, atteggiamenti e comportamenti consci e inconsci, entro la dimensione della soggettività;

- la sociologia, sincronicamente presente rispetto ai fenomeni storici ed epocali - e quindi alle politiche di organizzazione civile e dei modi di produzione/consumo - consente di valutare la significazione e la ricezione dell'immagine in riferimento a stili di vita, gruppi, comunità, classi, secondo le diverse logiche di analisi della stratificazione sociale.

Dunque, il 'visual designer', che amplifica la sua formazione nei suddetti termini transdisciplinari, o che si avvale di pareri esperti in tal senso, pu&0grave; meglio valorizzare il carattere immateriale e concettuale della sua prestazione. In tal modo il visual designer è anche un concept designer, ovvero quella figura professionale ideativa e realizzativa, capace di coniugare il potere delle tecnologie dell'immagine e dei media con il potere della ricerca e del sapere.

E' una capacità che va continuamente perfezionata, poiché le tecnologie sono in costante evoluzione e le potenzialità del senso, come ha osservato C.S. Peirce, sono relative ad una "semiosi illimitata" (Per una chiara spiegazione sul concetto di "semiosi illimitata" si veda G. Proni, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990, pp. 234-236), qualitativamente e quantitativamente, cioè ad un inesauribile espandersi del senso. Il rischio dunque è anche quello di non riuscire ad esprimere una efficace relazione tra immaginazione concettuale e immagine, tra capacità ideativa e capacità realizzativa, poiché l'una può risultare più 'potente' dell'altra.

A tale riguardo ci sembra interessante riportare il seguente passo di C. Vasari su Leonardo Da Vinci, da cui si comprende che Leonardo, prima ancora di essere un artista-scienziato, fu un concepteur:

è cosa mirabile che Lionardo per l'intelligenza dell'arte cominciù molte cose, e nessuna mai ne finì, parendogli che la mano aggiungere non potesse alla perfezione dell'arte nelle cose che egli imaginava … (G.Vasari, Le vite, 1568).


Pier Pietro Brunelli