Ocula 4, dicembre 2003 | ||
Johnnie To e lAnticlimax |
||
recensione di Francesco Galofaro |
Per la serie "I grandi film che non vedrete mai", vorrei occuparmi del cinema dellestremo oriente, così come abbiamo potuto apprezzarlo al Far East Film Festival di Udine. E naturalmente un pregiudizio da non introdotti pensare alla cinematografia cinese o coreana avendo in mente i film di Bruce Lee, o Kizino Kizi di Senkichi Taniguchi rimontato in Che fai, rubi di Woody Allen. Quei film non erano scadenti neanche allora, e naturalmente oggi il progresso tecnico si è visto più che in Italia anche in quelle esotiche contrade, i cui prodotti non hanno nulla da invidiare alla qualità occidentale, raccontando storie senzaltro superiori a quelle hollywoodiane perfino nei limiti del cinema di genere. Nellultima giornata del festival si è visto un film incredibile come Sympathy For Mr. Vengeance, del sudcoreano Park Chan-wook (2003), che coniuga contenuti sociali, umorismo a volte macabro, delicatezza, con una storia di violenza estrema e di grande impatto estetico, senza nessuna concessione allo splatter. Notevolissimo lutilizzo del sonoro in un film il cui protagonista è sordomuto. Ma linteresse semiotico non coincide necessariamente con quello estetico, e per questo motivo vorremmo soffermarci su PTU, di Johnnie TO, Hong Kong (2003), un anti-poliziesco che sovverte le regole della narratività ingenua in generale, e aristotelica in particolare, nonostante lunità di tempo e di luogo, una Hong Kong notturna in cui si coglie a malapena la differenza tra interni ed esterni, che rispecchia in qualche modo lindifferenza morale dei protagonisti. Per le trame rimandiamo al sito www.fareastfilm.com; qui ci concentriamo sullesposizione di quegli spunti che ci hanno particolarmente convinto. Riuscita, ad esempio, la figura del poliziotto pasticcione e corrotto Lo, che in qualche modo la fa franca senza trovare riscatto. Nonostante abbondino le scene comiche memorabile lo scambio tra i telefonini del poliziotto e del criminale non si tratta di un film comico, e ciononostante basato su una sorta di gigantesco anticlimax, nel tentativo di non risolvere alcunché dei caratteri dei personaggi. La lunga scena di esplorazione del palazzo, con i bei giochi di luce delle torce, è una metonimia del film: ogni possibile tensione è volutamente stemperata da una colonna sonora che va deliberatamente contro la diegesi. Così il montaggio frenetico, alla Tarantino, con cui seguiamo nei primi minuti del film i percorsi paralleli dei diversi personaggi, trae in inganno circa il ritmo del seguito, a causa del progressivo svuotarsi della città di notte. Continueremo sì a seguire lintrecciarsi delle piste per le strade, ma ad un ritmo sempre più lento, come in un contrappunto per aumentazione. I fatti di sangue del finale non sono neppure un duello, ma si trasformano in una festosa mattanza al rallentatore, una esecuzione in cui i due criminali si uccidono a vicenda perseverando nello spararsi perfino quando sono ormai sdraiati in terra; il poliziotto Lo ritrova fortunosamente la pistola che dà lavvio alla vicenda, e che credeva in pugno alle bande criminali, quando era invece smarrita in terra, sorta di comica agnizione. Film antinarrativo, come abbiamo anticipato, in cui i personaggi non acquistano competenze, non ricevono le sanzioni previste, e compiono performances quasi per caso, mossi più da una concatenazione meccanica di cause efficienti che da una logica di agenti, e tuttavia costruita perché il lettore si attenda il contrario. Un film tanto più riuscito quanto più lascia nello spettatore un qualche senso indefinibile di insoddisfazione. |