Ocula 4, dicembre 2003

Neo-giapponismo grafico

 

di Pier Pietro Brunelli e Valentina Mecchia



Si può tracciare un percorso che attraversa l'intera storia del Giappone e in cui le varie arti si legano e compenetrano proponendoci molteplici attualizzazioni di uno stesso spirito. È l'obiettivo di questo articolo che ci mostra l'affascinante continuità estetica e filosofica che anima la prassi di calligrafi e computer grafici.




In Giappone uno strumento semplice unisce pittura e scrittura: il pennello. La tecnica d’uso di questo e di altri materiali comuni quali la carta e l’inchiostro ha reso l’arte della calligrafia (shodo) e della pittura (suiboku) le varianti di una stessa pratica. Esse hanno in comune gli strumenti e i materiali, la tecnica e la nozione di ritmo adottata nella creazione. Entrambe si esprimono attraverso la linea di inchiostro. La linea, con il suo spessore variabile e la sua espansione poliforme, è il corpo dell’intuizione dell’artista, è il ritmo interiore che si rende visibile. Essa è il punto reso movimento (come pensava anche Kandinsky) e si presta a molteplici espressioni nella sua variegata spontaneità. L’inchiostro si versava sopra una piccola mattonella nera (suzuri), regolandone la densità con poche gocce d’acqua. La rapidità del gesto e il lento assorbimento della carta doveva dare luogo al segno calligrafico o anche ad una motilità di tracce narrative, capaci di esprimere il fluire di un’emozione o di un sentimento, il carattere di un animale, la simbolicità di un fiore o di un albero. Ecco allora che l’inchiostra diventava poesia verbo-visiva, messaggio figurativo di saggezza, lettera-immagine d’amore. In queste rappresentazione di testo e visione si condensa o si dilata la morfogenesi degli ‘ideogrammi’ di origine cinese (kanji). Dall’equilibrio tra pieno e vuoto si sentono e si vedono lo spazio e il tempo della ‘immaginazione grafica’, capaci di inventare e sintetizzare qualsiasi figura astratta o reale. Entrambe le arti della calligrafia e della pittura ad inchiostro si basano per la loro riuscita sul controllo assoluto del tratto e sulla padronanza del pennello. Ciò che è immaginato nello spirito fluisce attraverso il braccio e poi dalla mano alla carta, senza interruzione energetica. Questa tecnica basata sull’immediatezza, ma anche su una tradizione millenaria, si compenetra all’intuizione dell’artista. E’ fondamentale una percezione fisica e metafisica dell’immagine, che nasce e si evolve tra la materialità del foglio bianco e le tracce nere di inchiostro.

Il legame tra calligrafia e pittura è testimoniato dal fatto che spesso le due arti si danno insieme. E’ tipico riempire alcuni spazi bianchi di un dipinto con caratteri scritti. Testo e dipinto sono ad un tempo pittura e scrittura. In tal senso l’arte giapponese, e più ampiamente quella dell’estremo oriente, precedono la scrittura verbo-visiva della grafica occidentale, per la quale immagini e testo si integrano e si intersecano soprattutto con l’evolversi del messaggio propagandistico e pubblicitario.

L’influenza delle arti orientali in occidente, ed in particolare quella giapponese (giapponismo), inizia a manifestarsi nell’800 grazie alle prime grandi esposizioni universali. La rivoluzione degli impressionisti, per alcuni aspetti, ha senz’altro ricavato notevole ispirazione da artisti giapponesi come Hokusai, Utamaro, Hiroshige. Celebri sono le loro opere, realizzate specialmente con tecniche xilografiche, che raffigurano spontanei momenti di vita, posture e gesti colti nella loro dinamica naturalezza (come nella fotografia che, nella sua immediatezza, si contrappone alle pose plastiche dell’iconografia classica). Hokusai, che ispirò fortemente Degas, aveva un quaderno di schizzi chiamato ‘manga’ (in Giappone così si chiamano oggi i fumetti) nel quale ritraeva persone e cose nell’ambito della vita quotidiana, colte in attimi sfuggenti, ad esempio nell’atto di lavarsi, di abbandonarsi su un divano, di allacciarsi una scarpa. I soggetti umani degli artisti giapponesi non erano quasi mai di bell’aspetto; ciò che essi dovevano esprimere, attraverso le angolazioni aprospettiche e bidimensionali, le inquadrature diagonali, l’intaglio di pieni e vuoti, era una condizione di autenticità e naturalezza. Si pensi all’influenza delle opere di Utamaro sulle figure femminili create da Toulouse—Lautrec, contornate da un tratto nero, rapido e nervoso, che a volte le rende persino sgraziate, prive di bellezza idealizzata e tuttavia vibranti di fascino e di penetrante credibilità. L’influenza giapponese induce ad un graficizzazione della pittura, affinché senza l’illusione della tridimensionalità possa essere rappresentata una idea visiva della realtà, e quindi un’immagine ideogrammatica, sintetica, immediata. Tale concezione ha quindi influenzato quelle correnti artistiche novecentesche che si sono espresse soprattutto attraverso i manifesti litografici, il design e l’artigianato, rinunciando alla ricerca di effetti materici, tonali e prospettici, tipici della pittura ad olio e dei canoni accademici tradizionalmente perseguiti in occidente.

Con l’influenza della cultura visiva giapponese nell’arte moderna, gli schizzi, che di solito erano considerati materiale preparatorio, diventano sempre più oggetti di interesse formale ed estetico. Così era sempre stato nell’ iconografia giapponese, che, come abbiamo detto, predilige l’inatteso, la spontaneità del gesto. Ma va aggiunto con chiarezza che la spontaneità di cui si parla è estremamente disciplinata e codificata, come nell’estetica dei giardini Zen, dove la bellezza è data dall’alchimia tra il naturale e l’artificiale, dal connubio tra il selvatico e il culturale. L’arte, secondo lo Zen, seppure valorizza la spontaneità, non prevede l’improvvisazione e neppure la ricerca da parte dell’artista di una sua soggettività creativa che appaia originale ed innovativa. Se la creazione risulta di elevata qualità estetico-comunicativa ciò deriva proprio dalla capacità dell’artista di spersonalizzare la sua soggettività e di diventare, insieme ai suoi strumenti tecnici, una sorta di ‘canale trasparente’ attraversato da un flusso di ispirazione spontanea che ha le sue sorgenti nelle radici della tradizione. Il processo artistico deve allora esprimere una ritualità altamente codificata secondo gli insegnamenti dei maestri e secondo gli archetipi costituenti le forme originarie.

E’ fondamentale che l’artista dedichi se stesso alla esecuzione dei gesti tramandati dalla tradizione, e quindi che la sua soggettività risulti fedele ai principi originari. I materiali e gli strumenti rivestono una importanza primaria essendo gli oggetti preposti ad essere assimilati e a divenire l’estensione del corpo dell’artista.

Il risultato creativo non è da intendersi in modo separato dal processo che lo ha generato, esso è la traccia visibile dell’atto artistico, ma ciò che più conta è appunto la sua messa in atto. E’ interessante ricordare che la continuità tra immaginazione, atto e segno veniva sperimentata, da un maestro occidentale come Itten, attraverso esercizi di concentrazione e spontaneità che faceva svolgere ai suoi allievi della Bauhaus. L’attuarsi della creatività dalle fasi iniziali al risultato finale costituisce un’esperienza espressiva che è significativa nella sua totalità energetica ed estetica. Di conseguenza la grafica giapponese, che ha il suo antenato nella pittura ad inchiostro e nell’arte della calligrafia, si caratterizza per una forza espressiva volta all’evocazione, cioè all’apertura percettiva ed interpretativa da parte del destinatario piuttosto che alla forma chiusa, definita. Il destinatario dell’immagine giapponese deve essere mosso verso uno stato contemplativo per mezzo del quale interagisce con l’opera, quasi che essa lo conduca ad una visione altra, e ad un contatto energetico con gli impulsi che hanno dato vita a quell’opera. L’opera è dunque un tramite di vita, una pulsazione visiva tra spazi vuoti e pieni volta ad accogliere il pensiero di chi guarda per poi sospingerlo verso l’evocazione.

Dice un antico insegnamento:

La pittura risulta dalla percezione dell’inchiostro
L’inchiostro dalla percezione del pennello
Il pennello dalla percezione della mano
La mano dalla percezione dello spirito

(Shi Tao)

L’arte della calligrafia giapponese deriva dagli ideogrammi cinesi, ai quali furono applicate pronunce giapponesi. Una lingua ideografica non può prescindere dall’elemento dell’apparenza: per questo in Cina e in Giappone la calligrafia è considerata madre di tutte le arti figurative. Il principio spirituale delle Arti è un principio Zen. Esistono alcune arti denominate Do (Vie) che hanno stabilito un rapporto particolare con la dottrina Zen: esse si pongono e sono accettate come pratiche che possono costituire un percorso della meditazione. L’arte non è che uno dei molti modi in cui può avvenire l’esperienza una volta che la mente si sia concessa al vuoto. In questo senso la bellezza prodotta dall’arte si pone sullo stesso piano di una parola o di un gesto che scaturisca dal vuoto generato dalla pratica della meditazione. Nell’arte è visibile l’esperienza meditativa che si fa forma sensibile e questa può dunque essere comunicata senza la mediazione verbocentrica del logos. Dunque l’arte risulta anche un potente strumento di didattica e di produttività. Si deve considerare che, secondo la tradizione giapponese, l’arte non ha uno statuto separato dalla creatività dell’artigiano. La parola Gei (iniziale di Geisha) indica un significato radicale che unisce attività artistiche, tecniche ed artigianali, per evidenziare che la pratica artistica corrisponde ad un modus vivendi quotidiano, a un’etica che insegna ad esperire una costante relazione estetica e contemplativa nei modi di percepire e di agire la realtà.

Così, la funzione iconica e rappresentativa ha anche una funzione filosofica e pedagogica rivolta a coinvolgere in termini attivi la ricettività del destinatario, il quale viene chiamato ad esercitare una attenzione contemplativa verso le immagini. Il ‘destinatario Zen’ non solo vede le immagini, ma le legge, le ascolta, le sente, le esperisce.

Ancora oggi, in Giappone, la grafica segnaletica e di interfaccia è alquanto influenzata da aspetti iconici e narrativi che invitano ad una interpretazione relativamente aperta, nonostante la segnaletica abbia, proprio per la sua funzione, la necessità di esprimere un messaggio univoco. La segnaletica giapponese ricorda l’espressività del fumetto, riesce quindi ad essere chiara ed immediata, ma consente anche impressioni ed evocazioni di carattere emotivo e culturale. Ad esempio un cartello che indica "lavori in corso" può rappresentare un operaio che si inchina ritualmente nell’atto di scusarsi pubblicamente per il disturbo recato dai lavori.

Il fenomeno dell’espandersi del fumetto giapponese in occidente è correlato alla fascinazione che gli ideogrammi o i caratteri sillabici (hiragana e katakana) esercitano sull’immaginario delle metropoli e della globalizzazione. In un mondo sempre più omogeneo e stereotipato il calligramma giapponese affascina per una sua quota di mistero, di indecifrabilità, quasi che la sua creazione e la sua lettura dipenda da una sorta di codice segreto, che scaturisce dall’emotività e dalla soggettività personale. E’ come se il segno giapponese venisse esperito in quanto segno esotico-fantascientifico, cifra di un orientale misterium che attraversa il passato e il futuro. Sebbene il senso dell’ideogramma resti sconosciuto agli occhi occidentali, esso lascia immaginare la formula di portentose significazioni. Ne derivano una semiotica e un’estetica del segno che, nel fondere scrittura e figurazione, generano una molteplicità di ‘eventi visivi’ unici e irripetibili, in opposizione alla massificante omologazione dei segni globalizzati. Il ‘neogiapponismo grafico’ si diffonde insieme al sushi e ai brand delle tecnologie giapponesi, i suoi segni si possono osservare un po’ ovunque: graffiti, magliette, tessuti, copertine di CD, videogiochi, gadgets, fumetti.

Del resto, lo stesso concetto grafico di marchio, nella sua monocromaticità basilare, giocata sui pieni e sui vuoti ha da sempre subito le influenze dei designer giapponesi, degli annuals e dei prontuari grafici del ‘Sol levante’. Ciò ha contribuito a diffondere un’estetica della sinuosità, della morbidezza, dello schizzo, mettendo in crisi l’idea di marchio inteso come ‘timbro in bassorilievo’, come monogramma fondato su una solida rigidità tipografica. In tal senso la calligrafia ideogrammatica giapponese offre un importante contributo alle potenzialità espressive dell’immagine digitale, le quali consentono la rapida creazione, trasformazione e riproduzione in ogni modifica, formato e colore, di segni complessi, aventi caratteristiche morfologiche illustrative e pittoriche, più che geometrico-tipografiche. E’ quindi possibile trovare un tratto di continuità tra i principi tradizionali dell’arte Zen e l’impiego innovativo del computer. La tradizione grafica giapponese ha infatti insegnato l’arte della ‘irripetibile ripetizione’, cioè del gesto espressivo che pur essendo unico appartiene ad una classe di gesti espressivi ripetuti e tramandati nel tempo. Così, anche attraverso il computer ci si serve di elementi precostituiti (programmi, pixel, colori, pieni, vuoti) la cui ripetizione, secondo un certo progetto creativo, dà luogo a forme uniche, suscettibili di essere ulteriormente ripetute e moltiplicate secondo innumerevoli varianti.

L’attuale società ipertecnologica giapponese ha effettivamente sviluppato un tratto di continuità con la tradizione artistica, attraverso l’innovazione tecnologica dovuta all’ampio impiego del computer, strumento che coerentemente con gli antichi principi, viene ormai considerato una sorta di prolungamento simil-biologico delle potenzialità umane. Quindi la computer-grafica, che sembrerebbe essere quanto mai lontana dalla pittura ad inchiostro giapponese, ha una sua essenza che può richiamare l’estetica Zen, a patto che vi sia una particolare ‘dedizione d’animo’ dell’artista nei confronti dello strumento creativo — egli è come un Samurai che è sacerdote dello spirito della spada da lui utilizzata. L’artista si serve dello strumento, di quello antico così come del computer, non solo ‘servendosi di esso’, quanto invece ‘servendo ad esso’. Artista e strumento, non sono soggetto e oggetto, ma possono diventare, entro determinate condizioni, il canale che consente all’atto creativo spontaneo di esprimersi e di essere in armonia con la sua sorgente archetipica. Anche attraverso il computer ciò sembrerebbe possibile, qualora l’atteggiamento dell’artista sia quello di porsi in modo ricettivo rispetto alla ‘magia’ dello strumento stesso e agli insegnamenti che ne indicano l’impiego tecnico e creativo. Tali insegnamenti, dal punto di vista tecnologico, riguardano il know-how dei più innovativi e sofisticati software per l’immagine, ma, dal punto di vista estetico e progettuale riguardano la tradizione, ossia le opere dei maestri dell’immagine di ogni tempo e di ogni luogo.

Una massima giapponese sull’insegnamento delle arti dice:

Consiglio di andare a vedere
come i maestri trasmettono il loro spirito al pennello.

Oggi, dunque, si potrebbe reinterpretare tale ‘consiglio’ andando a vedere come i più abili grafici e creativi dell’immagine trasmettono il loro spirito al computer.









Immagini tratte dai filmati di animazione di Computer art dell'artista giapponese Yoichiro Kawaguchi.
Queste animazioni sono state realizzate impiegando degli algoritmi che si ispirano ai processi morfogenetici e che Kawaguchi elabora fin dal 1975.