Perché usiamo l'euro e parliamo in lire

 

di Giampaolo Proni



Abstract> Il saggio nasce dalla domanda: "Perché, visto che sappiamo quanto vale l'euro e lo usiamo quotidianamente, abbiamo questa difficoltà a 'parlare' e capire in euro?".
Poiché comprendere implica sviluppare l’interpretazione di un’espressione, per rispondere dobbiamo analizzare gli interpretanti di una espressione monetaria. Vedremo così che dobbiamo eseguire la conversione in lire per poter ‘capire’ una cifra in euro perché non riusciamo a connettere alla cifra il valore di scambio, cioè i beni equivalenti nella nostra esperienza di acquisto quotidiana.
In sintesi, un’espressione il cui interpretante è il riferimento a oggetti materiali, non può essere interpretata in maniera soddisfacente da equivalenze con altre unità di misura ma solo sulla base di esperienze o descrizioni della quantità stessa.
Questo articolo era apparso in questa stessa posizione in una versione diversa, che è disponibile in formato PDF cliccando qui. Nell’attuale versione, più breve, è stato presentato come comunicazione al X Convegno annuale della Società di Filosofia del Linguaggio, Rimini 19-21 settembre 2003. Rispetto a quella precedente mi limito ad affrontare il problema in modo più semplice ed eliminando alcune estensioni delle conclusioni sulle quali ritengo di dover riflettere ulteriormente.
Tuttavia, poiché la prima versione è stata pubblicata, e con ciò me ne sono assunto la responsabilità scientifica per la durata di tempo nella quale è stata disponibile (e resa riproducibile), mi pare corretto mantenere tale versione presente. Le nuove tecnologie di pubblicazione consentono questa forma di 'ritiro' dei testi, ma con ciò aprono nuove problematiche. Sono peraltro molto interessato all'argomento, e se qualche lettore ha contributi e osservazioni, sono lieto di accoglierle.


 

Questa breve indagine sulle pratiche linguistiche è partita nel maggio del 2002 da una constatazione personale, e cioè che, nonostante l’introduzione dell’euro da diversi mesi, gli italiani continuavano a usare le lire per esprimere certi valori, pur conoscendo benissimo il tasso di conversione.

Il motivo di questa scelta era semplice: io stesso, come tutti, mi trovavo a dover convertire in lire certe cifre per poterle ‘capire’. Dunque un problema di comprensione: gli italiani facevano ‘fatica’ a comprendere le cifre in euro, e, poiché facevano fatica a comprenderle, facevano fatica anche a usarle (1 .

Come possiamo spiegare in termini linguistici questa difficoltà di comprensione?

Innanzitutto dobbiamo precisare per quali cifre essa sorge.
“Un euro”, lo comprendiamo. “500.000 euro”, dobbiamo convertirlo in lire.
Se sentiamo la frase: “A Rimini un appartamento di 100 mq costa 450.000 euro”, prima di rispondere eseguiamo la conversione (circa 900 milioni, per la precisione 871.321.500) Poi diciamo “Capperi!”

Quindi la comprensione delle cifre in euro è in rapporto inversamente proporzionale al loro ammontare.

Ma vi è un’altra considerazione: le spese di importo alto sono anche le meno frequenti. Quanto più sono basse le cifre, quanto più comuni sono gli atti d’acquisto.(2 .

Possiamo dunque riformulare la nostra osservazione: facciamo fatica a comprendere le cifre in euro dei beni che acquistiamo con minor frequenza e che hanno prezzi più alti.

fig.1

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La ‘fatica’ a comprendere l’euro consiste, come abbiamo visto, nel fatto che, per capire certe cifre in euro dobbiamo eseguire (mentalmente o con la calcolatrice) la conversione in lire. Se invece l’espressione è in lire, la comprendiamo immediatamente.

fig.2

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Il fenomeno è certamente passeggero e destinato a terminare, al massimo per il naturale rinnovamento demografico.
Vi è però in esso qualcosa che ci colpisce. Quando lo faccio presente, in genere le persone manifestano una certa sorpresa: lo ammettono, ma non sanno come spiegarlo.

Perché devo eseguire la conversione in lire per poter ‘capire’ una cifra in euro?

E’ necessario, per rispondere, chiarire che cosa sognifica ‘capire’ un’espressione, e quindi a questo punto dobbiamo addentrarci nell’analisi dei processi di comprensione, cioè dei flussi interpretativi.

La comprensione, come nota De Mauro (3. , è un territorio nuovo per le scienze del linguaggio. Possiamo definirla, alla luce di una pragmatica che si rifà a Peirce e Eco, e con riferimento a una semantica esperienziale e inferenziale, così definita da Violi (4 come un’interpretazione condotta fino al raggiungimento di una capacità di risposta adeguata alla circostanza discorsiva e ambientale.
Proviamo quindi ad analizzare gli interpretanti di una espressione di tipo monetario.

Gli interpretanti della moneta

Il dizionario di economia ci dice che "E' moneta tutto ciò che viene comunemente accettato, in un dato ambito geografico, come mezzo di scambio e di pagamento e come unità di misura del valore" (5 .

L’uso della moneta come mezzo di scambio non è in questione in questa indagine: l’uso dell’euro è molto chiaro, pone tutt’al più problemi di abitudine percettiva (come quando rovesciamo i vari pezzi di centesimi di euro per capire il loro valore). Se un libro costa 15 auro, prendiamo un biglietto da 10 e uno da 5 e lo diamo al libraio.

La difficoltà sta nella funzione semiotica della moneta, quella di “unità di misura del valore” (Ovviamente, del valore di scambio). (6 .

Proviamo a sintetizzare gli interpretanti comuni di una espressione di quantità di moneta (7.

A. L’interpretante primario di un termine che esprime una quantità di monetà è il riferimento a tale quantità come combinazione di monete metalliche, banconote correnti o altri titoli di credito. Possiamo vederlo come un interpretante di tipo denotativo e/o un riferimento governato da una regola: 100 euro possono essere due biglietti da 50, cinque da 20 ecc.

B. In secondo ordine un interpretante sarà costituito da una corrispondenza tra tale quantità e i beni con i quali può essere scambiata, ovvero il valore di scambio o potere d’acquisto. Il significato di '100 euro' sono i beni che con tale cifra si possono acquistare.
E’ una relazione di equivalenza. Per es. 0,90 euro = un quotidiano italiano.
Come si stabilisce questa equivalenza?
Non attraverso un calcolo. La quantità di moneta non consente infatti di ricavare il suo valore di scambio senza altri riferimenti a beni. Basta pensare appunto alla lira, che aveva un'unità molto più piccola delle altre valute europee, per cui lo stesso bene misurato in lire sommava a migliaia mentre non arrivava a un'unità misurato in sterline britanniche. La relazione tra prezzo e bene è appresa induttivamente attraverso gli scambi effettivi e l'informazione, e si estende per comparazione e proporzione (se un gelato al Bar Sport costa due euro, un gelato al bar Mercedes costerà più o meno uguale, una pizza un po' di più ecc.).

C. Un altro interpretante di secondo ordine di una quantità di moneta è in relazione al potenziale di spesa del soggetto del discorso, sia esso il totale dei risparmi, la somma accantonata per l'acquisto, il credito che ha da sfruttare, il limite etico che si ritiene opportuno per un dato bene, ecc. In questo senso definiamo un prezzo come 'molto', 'poco', 'caro', 'a buon mercato’, o una somma come 'grande', 'piccola', ecc. Spesso questo interpretante ha funzione connotativa (8.

D. Un quarto interpretante della moneta è il rapporto con altre monete, cioè il valore di cambio. Questo valore è riferito a un'altra unità di conto e non a beni e quindi è quasi identica alla situazione determinata dal ‘change over’: l’intera ppolazione della UEM è stata ‘portata all’estero’ pur restando nello stesso posto.

E. Un quinto interpretante della moneta, sia pure meno frequente, è il tempo, in rapporto al quale si misura la variazione del capitale imprestato. In genere viene espresso in percentuale, cioè rapportato all’unità di tempo (anno) (9.

Questi interpretanti, nei processi di comprensione, possono essere attivati sia isolatamente sia insieme. Quali di essi impongono la conversione euro-lira e quali invece possono essere accantonati perché non presentano problemi?

Innanzitutto possiamo eliminare A.: il rapporto tra espressione linguistica e quantità di moneta metallica o di altro tipo è banale e non presenta problemi particolari. (Problemi di questo tipo si possono presentare ai continentali quando usano la moneta britannica: pence/pennies, scellini ecc.).
In secondo luogo non presenta problemi E., in quanto si tratta di valori percentuali, che quindi non variano con il variare della valuta.
Notevoli problemi li presenta D (il valore di cambio), ma possiamo assimilarlo a B e C.
Sono proprio questi, infatti, i casi in cui ci troviamo in difficoltà. Quanti di noi, all’annuncio del montepremi del Superenalotto, fanno la conversione in miliardi di lire per ‘farsi un’idea’? Quanti di noi, di fronte al menu affisso fuori di un ristorante, fanno la conversione in lire prima di dire “E’ caro”?

Una prima risposta

Possiamo allora tentare una prima risposta alla nostra domanda:

Devo eseguire la conversione in lire per poter ‘capire’ una cifra in euro perché non riesco a connettere alla cifra il valore di scambio, cioè i beni equivalenti nella mia esperienza di acquisto quotidiana. E di conseguenza la difficoltà si estende anche alla valutazione in termini di capacità di spesa soggettiva (C).

In sintesi ci troviamo di fronte a questo schema:

fig.3

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A questo punto, in una specie di gioco del perché (che è un esempio di educazione all’indagine scientifica) posso chiedermi perché non riesco a connettere la cifra in euro ai beni-equivalenti?

La risposta è la seguente:

Il rapporto tra prezzi in lire e beni si stabilisce nel corso dell’esperienza di scambi dell’individuo, che ha memorizzato una serie di prezzi in lire per una serie di beni. Questa stessa esperienza è assente nel momento del ‘change over’, e inizia a formarsi a partire dagli scambi più frequenti.
Il valore di scambio, insomma, è referenziale: sapere che posseggo 400 Euro non mi dice nulla se non so cosa posso comprarci. Mi dice poco anche sapere che posso comprarci 444 copie di un quotidiano. Mi dice qualcosa, invece, sapere che con 400 euro posso comprare un buon televisore o una settimana alle Canarie in bassa stagione. Tuttavia, se non ho mai fatto una spesa simile in Euro (né ricordo un prodotto con questo prezzo), non posso attivare tale conoscenza. La settimana alle Canarie l’ho acquistata in lire, così come il televisore. Dunque, eseguo la conversione in lire, e su questa base vado a recuperare una serie di beni memorizzati.
Solo a questo punto ‘ho capito’ il significato di ‘400 euro’.

Oggi, a distanza di 16 mesi, la situazione si è evoluta in modo tale da confermare l’ipotesi. Infatti, l’uso linguistico dell’euro si sta estendendo dai beni di acquisto più comune, verso quelli di acquisto più raro. La velocità del processo sembra progressivamente più lenta (come è logico attendersi). Possiamo pensare che i prezzi degli immobili –per esempio- per chi era adulto al momento del ‘change over’, saranno sempre ‘compresi’ solo in lire.(10 .

In sintesi, un’espressione il cui interpretante è il riferimento a oggetti materiali, non può essere interpretata in maniera soddisfacente da equivalenze con altre unità di misura ma solo sulla base di esperienze o descrizioni della quantità stessa. Sapere che ho un gallone di benzina nel serbatoio dell’auto mi dice poco se non ho mai visto un gallone di liquido. Se so a quanti litri equivale, posso fare la conversione; se so quante miglia faccio con un gallone, ho ottenuto qualcosa (a patto che sappia quanto è un miglio…).
Significato ed esperienza sono in questo (come in altri casi) strettamente connessi.

Conclusioni

Viviamo in una società linguisticamente più complessa di tutte quelle precedenti. Per restare solo all’ambito relativo alla moneta, un qualsiasi cittadino occidentale esegue, in una sola giornata, una quantità di transazioni economiche che non ha sicuramente paragoni nella storia. Alcune di esse, come le bollette con domiciliazione bancaria, vengono eseguite automaticamente.
E’ normale che tutto il vasto campo linguistico e semiotico relativo alla moneta sia un vero campo di battaglia retorica e persuasiva, nel quale il marketing dei prodotti e dei servizi finanziari, le burocrazie del denaro, le pubbliche amministrazioni, insomma tutti gli attori del gioco, usano a proprio vantaggio la leva della innovazione e della complessità linguistica.
La forza sociale del linguaggio resiste con facilità ai tentativi protezionistici e ideologici di controllare il lessico. Oggi, tuttavia, di fronte all’azione combinata dei media e delle burocrazie finanziarie e monetarie, si possono creare fasi di incertezza, dalle quali interessi particolari possono trarre illeciti vantaggi.
Il caso ‘dell’inflazione fantasma’, che costituisce argomento ormai quotidiano nei discorsi degli italiani e sui media, è legato a una difficoltà di comprensione analoga, che è stata sfruttata dall’offerta. Basti ricordare che il costo del quotidiano, pari a 77 centesimi immediatamente dopo il change over’, passò quasi subito a 90, con un aumento del 16%, otto volte circa l’inflazione programmata. Questa informazione non compare mai nelle inchieste dei quotidiani.

Gli studiosi del linguaggio possono aiutare ad affrontare questi problemi, così come compresero il valore della televisione per la diffusione della lingua e le dinamiche sociali dell’analfabetismo, e sicuramente non si tireranno indietro.

Rimini settembre 2003 / Pescara 27/11/03

Note

1) Primo, perché la comprensione entra in gioco anche nella costruzione degli enunciati; secondo, perché tendiamo a supporre la stessa difficoltà nei nostri interlocutori, e quindi anche a costruire i nostri enunciati in modo che siano compresi. Dunque la difficoltà è speculare: di comprensione e d’uso. BACK

2) Facciamo ovviamente eccezione per chi esercita questo tipo di commercio abitualmente.BACK

3) "Chi si occupa di comprensione degli enunziati (fonici o grafici ecc.) che danno corpo percepibile alle frasi e ai testi progettabili e possibili nelle lingue, ancor oggi ha la sensazione di inoltrarsi in un territorio nuovo. O, più esattamente, in un territorio nuovo per gran parte delle scienze linguistiche così come si sono evolute dall'Ottocento a tempi recentissimi" (De Mauro 1994:4)BACK

4) Violi, Patrizia, Significato ed esperienza, Milano, Bompiani, 1997. BACK

5) Dizionario dei termini economici, Milano, Rizzoli BUR, 1992. BACK

6) Infatti, escluso il valore d’uso, che la moneta non possiede per definizione; il valore sociale è anch’esso fondato sul valore di scambio.BACK

7) L’interpretante, definito come l’effetto del segno, è entità sociale e statistica, cioè effetto di senso prevalente nei riceventi di un segno in una comunità. Non è in ultima analisi diverso dal significato, anch’esso formato dall’uso sociale, ma quest’ultimo si intende in qualche modo fissato nel momento dell’analisi. BACK

8) Le circostanze e il contesto del discorso sono cruciali: anche due persone di reddito moderato possono, se stanno discutendo -per esempio- di calcio, definire 'piccola' una somma di diversi milioni di euro. BACK

9) Anche questo valore non consente di fare riferimento a beni: la remunerazione del denaro non dice nulla sul valore d'acquisto della moneta se non assieme al tasso di inflazione e, anche in questo caso, esprime solo una variazione. BACK

10) Analogamente a quanto si verificò in Francia nel gennaio del 1960, presidente De Gaulle, quando i 'nuovi franchi' sostituirono i 'vecchi franchi', con il valore di 1 per 100. Il cambio di valuta rientrava in un piano economico contro l'inflazione. Furono emesse nuove monete e banconote, ma non si usò il doppio prezzo data la facilità della conversione. Ciò nonostante i francesi continuarono per diverso tempo a usare la denominazione in 'vecchi franchi'. Ancora oggi, a oltre vent'anni di distanza, molte persone che li hanno conosciuti usano -parlando- i 'vecchi franchi' soprattutto per cifre alte, sopra i 10.000. Se sarà così anche per l'euro, ciò significa che tutti coloro che hanno usato le lire non riusciranno a sostituirle del tutto come entità semiotiche per il resto della loro vita. (Nicoletta Giusti e Laure Bonnaud, comunicazione personale). BACK

Riferimenti

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Giampaolo Proni