Questa breve indagine sulle pratiche linguistiche è
partita nel maggio del 2002 da una constatazione personale, e cioè
che, nonostante l’introduzione dell’euro da diversi mesi,
gli italiani continuavano a usare le lire per esprimere certi valori,
pur conoscendo benissimo il tasso di conversione.
Il motivo di questa scelta era semplice: io stesso, come tutti, mi
trovavo a dover convertire in lire certe cifre per poterle ‘capire’.
Dunque un problema di comprensione: gli italiani facevano ‘fatica’
a comprendere le cifre in euro, e, poiché facevano fatica a
comprenderle, facevano fatica anche a usarle (1
.
Come possiamo spiegare in termini linguistici questa
difficoltà di comprensione?
Innanzitutto dobbiamo precisare per quali cifre essa sorge.
“Un euro”, lo comprendiamo. “500.000 euro”,
dobbiamo convertirlo in lire.
Se sentiamo la frase: “A Rimini un appartamento di 100 mq costa
450.000 euro”, prima di rispondere eseguiamo la conversione
(circa 900 milioni, per la precisione 871.321.500) Poi diciamo “Capperi!”
Quindi la comprensione delle cifre in euro è in rapporto inversamente
proporzionale al loro ammontare.
Ma vi è un’altra considerazione: le spese di importo
alto sono anche le meno frequenti. Quanto più sono basse le
cifre, quanto più comuni sono gli atti d’acquisto.(2
.
Possiamo dunque riformulare la nostra osservazione:
facciamo fatica a comprendere le cifre in euro dei beni che acquistiamo
con minor frequenza e che hanno prezzi più alti.
fig.1
La ‘fatica’ a comprendere l’euro consiste,
come abbiamo visto, nel fatto che, per capire certe cifre in euro
dobbiamo eseguire (mentalmente o con la calcolatrice) la conversione
in lire. Se invece l’espressione è in lire, la comprendiamo
immediatamente.
fig.2
Il fenomeno è certamente passeggero e destinato
a terminare, al massimo per il naturale rinnovamento demografico.
Vi è però in esso qualcosa che ci colpisce. Quando lo
faccio presente, in genere le persone manifestano una certa sorpresa:
lo ammettono, ma non sanno come spiegarlo.
Perché devo eseguire la conversione in lire per poter ‘capire’
una cifra in euro?
E’ necessario, per rispondere, chiarire che cosa sognifica ‘capire’
un’espressione, e quindi a questo punto dobbiamo addentrarci
nell’analisi dei processi di comprensione, cioè dei flussi
interpretativi.
La comprensione, come nota De Mauro (3.
, è un territorio nuovo per le scienze del linguaggio. Possiamo
definirla, alla luce di una pragmatica che si rifà a Peirce
e Eco, e con riferimento a una semantica esperienziale e inferenziale,
così definita da Violi (4
come un’interpretazione condotta fino al raggiungimento
di una capacità di risposta adeguata alla circostanza discorsiva
e ambientale.
Proviamo quindi ad analizzare gli interpretanti di una espressione
di tipo monetario.
Gli interpretanti della moneta
Il dizionario di economia ci dice che "E' moneta
tutto ciò che viene comunemente accettato, in un dato ambito
geografico, come mezzo di scambio e di pagamento e come unità
di misura del valore" (5 .
L’uso della moneta come mezzo di scambio non è in questione
in questa indagine: l’uso dell’euro è molto chiaro,
pone tutt’al più problemi di abitudine percettiva (come
quando rovesciamo i vari pezzi di centesimi di euro per capire il
loro valore). Se un libro costa 15 auro, prendiamo un biglietto da
10 e uno da 5 e lo diamo al libraio.
La difficoltà sta nella funzione semiotica della moneta,
quella di “unità di misura del valore” (Ovviamente,
del valore di scambio). (6 .
Proviamo a sintetizzare gli interpretanti comuni di una espressione
di quantità di moneta (7.
A. L’interpretante primario di un termine che esprime
una quantità di monetà è il riferimento a tale
quantità come combinazione di monete metalliche, banconote
correnti o altri titoli di credito. Possiamo vederlo come un interpretante
di tipo denotativo e/o un riferimento governato da una regola: 100
euro possono essere due biglietti da 50, cinque da 20 ecc.
B. In secondo ordine un interpretante sarà costituito da una
corrispondenza tra tale quantità e i beni con i quali può
essere scambiata, ovvero il valore di scambio o potere d’acquisto.
Il significato di '100 euro' sono i beni che con tale cifra si possono
acquistare.
E’ una relazione di equivalenza. Per es. 0,90 euro = un quotidiano
italiano.
Come si stabilisce questa equivalenza?
Non attraverso un calcolo. La quantità di moneta non consente
infatti di ricavare il suo valore di scambio senza altri riferimenti
a beni. Basta pensare appunto alla lira, che aveva un'unità
molto più piccola delle altre valute europee, per cui lo stesso
bene misurato in lire sommava a migliaia mentre non arrivava a un'unità
misurato in sterline britanniche. La relazione tra prezzo e bene è
appresa induttivamente attraverso gli scambi effettivi e l'informazione,
e si estende per comparazione e proporzione (se un gelato al Bar Sport
costa due euro, un gelato al bar Mercedes costerà più
o meno uguale, una pizza un po' di più ecc.).
C. Un altro interpretante di secondo ordine di una quantità
di moneta è in relazione al potenziale di spesa del soggetto
del discorso, sia esso il totale dei risparmi, la somma accantonata
per l'acquisto, il credito che ha da sfruttare, il limite etico che
si ritiene opportuno per un dato bene, ecc. In questo senso definiamo
un prezzo come 'molto', 'poco', 'caro', 'a buon mercato’, o
una somma come 'grande', 'piccola', ecc. Spesso questo interpretante
ha funzione connotativa (8.
D. Un quarto interpretante della moneta è il rapporto
con altre monete, cioè il valore di cambio. Questo valore è
riferito a un'altra unità di conto e non a beni e quindi è
quasi identica alla situazione determinata dal ‘change over’:
l’intera ppolazione della UEM è stata ‘portata
all’estero’ pur restando nello stesso posto.
E. Un quinto interpretante della moneta, sia pure meno
frequente, è il tempo, in rapporto al quale si misura la variazione
del capitale imprestato. In genere viene espresso in percentuale,
cioè rapportato all’unità di tempo (anno) (9.
Questi interpretanti, nei processi di comprensione, possono essere
attivati sia isolatamente sia insieme. Quali di essi impongono la
conversione euro-lira e quali invece possono essere accantonati perché
non presentano problemi?
Innanzitutto possiamo eliminare A.: il rapporto tra espressione linguistica
e quantità di moneta metallica o di altro tipo è banale
e non presenta problemi particolari. (Problemi di questo tipo si possono
presentare ai continentali quando usano la moneta britannica: pence/pennies,
scellini ecc.).
In secondo luogo non presenta problemi E., in quanto si tratta di
valori percentuali, che quindi non variano con il variare della valuta.
Notevoli problemi li presenta D (il valore di cambio), ma possiamo
assimilarlo a B e C.
Sono proprio questi, infatti, i casi in cui ci troviamo in difficoltà.
Quanti di noi, all’annuncio del montepremi del Superenalotto,
fanno la conversione in miliardi di lire per ‘farsi un’idea’?
Quanti di noi, di fronte al menu affisso fuori di un ristorante, fanno
la conversione in lire prima di dire “E’ caro”?
Una prima risposta
Possiamo allora tentare una prima risposta alla nostra
domanda:
Devo eseguire la conversione in lire per poter ‘capire’
una cifra in euro perché non riesco a connettere alla cifra
il valore di scambio, cioè i beni equivalenti nella mia esperienza
di acquisto quotidiana. E di conseguenza la difficoltà si estende
anche alla valutazione in termini di capacità di spesa soggettiva
(C).
In sintesi ci troviamo di fronte a questo schema:
fig.3
A questo punto, in una specie di gioco del perché
(che è un esempio di educazione all’indagine scientifica)
posso chiedermi perché non riesco a connettere la cifra in
euro ai beni-equivalenti?
La risposta è la seguente:
Il rapporto tra prezzi in lire e beni si stabilisce nel corso dell’esperienza
di scambi dell’individuo, che ha memorizzato una serie di prezzi
in lire per una serie di beni. Questa stessa esperienza è assente
nel momento del ‘change over’, e inizia a formarsi a partire
dagli scambi più frequenti.
Il valore di scambio, insomma, è referenziale: sapere che posseggo
400 Euro non mi dice nulla se non so cosa posso comprarci. Mi dice
poco anche sapere che posso comprarci 444 copie di un quotidiano.
Mi dice qualcosa, invece, sapere che con 400 euro posso comprare un
buon televisore o una settimana alle Canarie in bassa stagione. Tuttavia,
se non ho mai fatto una spesa simile in Euro (né ricordo un
prodotto con questo prezzo), non posso attivare tale conoscenza. La
settimana alle Canarie l’ho acquistata in lire, così
come il televisore. Dunque, eseguo la conversione in lire, e su questa
base vado a recuperare una serie di beni memorizzati.
Solo a questo punto ‘ho capito’ il significato di ‘400
euro’.
Oggi, a distanza di 16 mesi, la situazione si è evoluta in
modo tale da confermare l’ipotesi. Infatti, l’uso linguistico
dell’euro si sta estendendo dai beni di acquisto più
comune, verso quelli di acquisto più raro. La velocità
del processo sembra progressivamente più lenta (come è
logico attendersi). Possiamo pensare che i prezzi degli immobili –per
esempio- per chi era adulto al momento del ‘change over’,
saranno sempre ‘compresi’ solo in lire.(10
.
In sintesi, un’espressione il cui interpretante
è il riferimento a oggetti materiali, non può essere
interpretata in maniera soddisfacente da equivalenze con altre unità
di misura ma solo sulla base di esperienze o descrizioni della quantità
stessa. Sapere che ho un gallone di benzina nel serbatoio dell’auto
mi dice poco se non ho mai visto un gallone di liquido. Se so a quanti
litri equivale, posso fare la conversione; se so quante miglia faccio
con un gallone, ho ottenuto qualcosa (a patto che sappia quanto è
un miglio…).
Significato ed esperienza sono in questo (come in altri casi) strettamente
connessi.
Conclusioni
Viviamo in una società linguisticamente più complessa
di tutte quelle precedenti. Per restare solo all’ambito relativo alla
moneta, un qualsiasi cittadino occidentale esegue, in una sola giornata,
una quantità di transazioni economiche che non ha sicuramente paragoni
nella storia. Alcune di esse, come le bollette con domiciliazione
bancaria, vengono eseguite automaticamente.
E’ normale che tutto il vasto campo linguistico e semiotico relativo
alla moneta sia un vero campo di battaglia retorica e persuasiva,
nel quale il marketing dei prodotti e dei servizi finanziari, le burocrazie
del denaro, le pubbliche amministrazioni, insomma tutti gli attori
del gioco, usano a proprio vantaggio la leva della innovazione e della
complessità linguistica.
La forza sociale del linguaggio resiste con facilità ai tentativi
protezionistici e ideologici di controllare il lessico. Oggi, tuttavia,
di fronte all’azione combinata dei media e delle burocrazie finanziarie
e monetarie, si possono creare fasi di incertezza, dalle quali interessi
particolari possono trarre illeciti vantaggi.
Il caso ‘dell’inflazione fantasma’, che costituisce argomento ormai
quotidiano nei discorsi degli italiani e sui media, è legato a una
difficoltà di comprensione analoga, che è stata sfruttata dall’offerta.
Basti ricordare che il costo del quotidiano, pari a 77 centesimi immediatamente
dopo il change over’, passò quasi subito a 90, con un aumento del
16%, otto volte circa l’inflazione programmata. Questa informazione
non compare mai nelle inchieste dei quotidiani.
Gli studiosi del linguaggio possono aiutare ad affrontare questi problemi,
così come compresero il valore della televisione per la diffusione
della lingua e le dinamiche sociali dell’analfabetismo, e sicuramente
non si tireranno indietro.
Rimini settembre 2003 / Pescara 27/11/03
Note
1) Primo, perché la comprensione
entra in gioco anche nella costruzione degli enunciati; secondo, perché
tendiamo a supporre la stessa difficoltà nei nostri interlocutori,
e quindi anche a costruire i nostri enunciati in modo che siano compresi.
Dunque la difficoltà è speculare: di comprensione e
d’uso. BACK
2) Facciamo ovviamente eccezione per chi esercita
questo tipo di commercio abitualmente.BACK
3) "Chi si occupa di comprensione degli enunziati
(fonici o grafici ecc.) che danno corpo percepibile alle frasi e ai
testi progettabili e possibili nelle lingue, ancor oggi ha la sensazione
di inoltrarsi in un territorio nuovo. O, più esattamente, in
un territorio nuovo per gran parte delle scienze linguistiche così
come si sono evolute dall'Ottocento a tempi recentissimi" (De
Mauro 1994:4)BACK
4) Violi, Patrizia, Significato ed esperienza, Milano,
Bompiani, 1997. BACK
5) Dizionario dei termini economici, Milano,
Rizzoli BUR, 1992. BACK
6) Infatti, escluso il valore d’uso, che la
moneta non possiede per definizione; il valore sociale è anch’esso
fondato sul valore di scambio.BACK
7) L’interpretante, definito come l’effetto
del segno, è entità sociale e statistica, cioè
effetto di senso prevalente nei riceventi di un segno in una comunità.
Non è in ultima analisi diverso dal significato, anch’esso
formato dall’uso sociale, ma quest’ultimo si intende in
qualche modo fissato nel momento dell’analisi. BACK
8) Le circostanze e il contesto del discorso sono
cruciali: anche due persone di reddito moderato possono, se stanno
discutendo -per esempio- di calcio, definire 'piccola' una somma di
diversi milioni di euro. BACK
9) Anche questo valore non consente di fare riferimento
a beni: la remunerazione del denaro non dice nulla sul valore d'acquisto
della moneta se non assieme al tasso di inflazione e, anche in questo
caso, esprime solo una variazione. BACK
10) Analogamente a quanto si verificò in
Francia nel gennaio del 1960, presidente De Gaulle, quando i 'nuovi
franchi' sostituirono i 'vecchi franchi', con il valore di 1 per 100.
Il cambio di valuta rientrava in un piano economico contro l'inflazione.
Furono emesse nuove monete e banconote, ma non si usò il doppio
prezzo data la facilità della conversione. Ciò nonostante
i francesi continuarono per diverso tempo a usare la denominazione
in 'vecchi franchi'. Ancora oggi, a oltre vent'anni di distanza, molte
persone che li hanno conosciuti usano -parlando- i 'vecchi franchi'
soprattutto per cifre alte, sopra i 10.000. Se sarà così
anche per l'euro, ciò significa che tutti coloro che hanno
usato le lire non riusciranno a sostituirle del tutto come entità
semiotiche per il resto della loro vita. (Nicoletta Giusti e Laure
Bonnaud, comunicazione personale). BACK
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