Discussione del seminario di Paolo Bozzi a cura di Francesco Galofaro:
La teoria e la pratica della musica come ingredienti per una teoria della conoscenza

 

Indice

1.0 Le parole e le cose.

2.0 Una lista di categorie.

      2.1 Il tempo e il moto perpetuo

            2.1.1 La ‘poppa’ della durata

            2.1.2 La ‘prua’ della durata.

            2.1.3 Genesi del tempo della fisica ed espressività

            2.1.4 Alla ricerca del ‘tempo giusto’.

      2.2 Lo spazio.

            2.2.1 Spazio visivo e uditivo

            2.2.2 Figura e sfondo.

            2.2.3 Attribuzione della fonte del suono.

            2.2.4 Interazioni tra spazio e tempo.

      2.3 Altre categorie

            2.3.1 Unità

            2.3.2 Identità

            2.3.3 Opposizione

            2.3.4 Adombramento

      2.4 Suonare insieme

3.0 Conclusione?

4.0 Discussione semiotica

      4.1 Continuo Vs. categoriale.

      4.2 Le soglie della semiosi.

 

 

 

State per ascoltare il moto perpetuo di Paganini. Paolo Bozzi in persona ha scelto quest’opera per illustrare in maniera esemplare l’ambizione che ha il ciclo di lezioni: dimostrare la possibilità di rifondare le categorie filosofiche sulla base della nostra percezione dell’esperienza musicale. E per la verità la portata del progetto ha fatto sì che solo le categorie di spazio e di tempo sono state affrontate approfonditamente; per ciò che riguarda le altre, la direzione di indagine è stata mostrata nell’ultima lezione.

1.0 Le parole e le cose

Il grande percettologo, iniziatore degli studi di fisica ingenua, in un lungo racconto autobiografico ha spiegato come è pervenuto a sviluppare le sue concezioni. Vi sono alcune premesse necessarie: dobbiamo essere coscienti del fatto che l’uomo non si rapporta direttamente alle cose in maniera immediata, come dimostrano i sogni e i fenomeni di afterimage, in cui percepiamo ancora la presenza di un qualcuno o qualcosa che non è più dove lo vediamo. Tra il soggetto scoperto dall’idealismo, il punto d’ossevazione, da un lato, e il mondo delle cose, dell’osservabile, dall’altro, possiamo inizialmente pensare vi sia una matrice bidimensionale, una griglia, che operi una sorta di mediazione. Questa gabbia è descrivibile tramite un codice di due cifre, in cui ciascuna cella stia per un . Man mano che elenchiamo però le funzioni che tale griglia dovrebbe compiere, ci rendiamo conto che una matrice bidimensionale non basta per descrivere la complessità di un oggetto, il che ci pone nelle condizioni di complicare il codice, prevedendo un sottocodice che modularmente descriva le parti interrelate che compongono l’oggetto, e un codice che descriva le interazioni dell’oggetto con il mondo delle cose. E’ così che da bidimensionale e piatta, la grigla acquista spessore e forma, diventa sempre meno ordinabile e numerabile, e finisce per somigliare ed aderire sempre più agli oggetti che descrive. Ecco che perveniamo alla percezione, un fenomeno non certo puntuale ma esteso, collocato tra due "altrove"; alle soglie tra percezione ed "altrove" vi è lo spazio per una pennellata di soggettività.

2.0 Una lista di categorie.

Alcune delle categorie di cui si occupa Paolo Bozzi sono riprese da Aristotele, mentre altre vengono riprese dalla sua esperienza di scenziato; il grande percettologo non si è però mai impegnato nel corso delle sue lezioni nella costituzione di un sistema, mettendo al contrario in guardia rispetto alla caducità delle teorie, le quali seguono le mode e mutano; quel che non muta sono piuttosto i fenomeni osservabili che di volta in volta vengono in quelle inquadrate. Con questo spirito, sono state enumerate le categorie di Tempo, Spazio, Unità, Identità, Opposizione, Adombramento. Quel che si vuol dimostrare è che "se anche il mondo fosse fatto tutto di musica, avremmo tutti gli elementi necessari a fondare una teoria della conoscenza sistematica".

2.1 Il tempo e il moto perpetuo

Bergson è molto presente nel discorso di Bozzi, perché l’idea di durata descrive il tempo della percezione senza dubbio meglio del concetto di "tempo degli orologi" utilizzato dai fisici. Ciononostante, il percettologo muove da una critica alle sciocchezze sul tempo visto come istante-che-fugge-e-non-ritorna-più del quale sono infarcite le lezioni di metafisica di Bergson. Proprio la musica dimostra questo. Ascoltando il moto perpetuo di Paganini, ci si rende conto che esso non viene ascoltato "nota per nota", ma che la nostra percezione comprende unità più vaste, gruppi strutturati di diverse note, e poi frasi e periodi. E qui il riferimento è a Schutz, allievo di Husserl, del quale sono stati recentemente pubblicati in Italia i Fragments on the Phenomenology of music, Gordon&Breach Science Publishers, New York 1976 (tr. it. Frammenti di Fenomenologia della musica, Guerini e associati, Milano, 1996).Tra il tempo della memoria, il tempo ricordato, e quello dell’istante puntuale, vi è il tempo della presenza vivida, in cui le note non sono ricordate in quanto sono ancora presenti alla nostra percezione; tale tempo può essere indagato: Bergson lo chiama durata reale, per Husserl è il tempo di presenza; per James è il presente specifico, e come tale ha una sua prua ed una poppa. In ogni caso è tale da rendere implausibile una teoria del presente puntuale.

2.1.1 La ‘poppa’ della durata.

Per ciò che riguarda i rapporti della durata con il passato, le differenze tra memoria iconica, o della presenza vivida, e memoria schematica, riguardante una rappresentazione, è ben analizzata da Turvey per ciò che riguarda il dato visivo; la dicotomia è valida anche per il dato musicale, con alcuni importanti scostamenti che rendono musica e visione simili, ma non coincidenti. Restando in tema di rapporto con il passato, è comunque importante sottolineare come il rapporto con il passato, la ripetizione, la variazione, siano alla base del concetto di forma musicale; se in una ciaccona, una passacaglia, non siamo in grado di riconoscere il rapporto tra variazioni e tema, non riconosceremo nessuna forma musicale.

2.1.2 La ‘prua’ della durata.

La forma riguarda anche i rapporti del presente con il futuro: rifiutando l’ottica della scienza, che vuole il presente come lama che taglia il tempo in due semirette, il futuro musicale può essere considerato come una struttura che si rivela nel suo farsi. Vi è già nel nostro presente una direzione che rende il confine con il futuro più o meno labile, a seconda del nostro ruolo, se ad esempio siamo ascoltatori, esecutori che leggono, che suonano a memoria o ad orecchio, improvvisatori. Il riconoscimento di strutture è legato alle nostre aspettative, e implica anche il dover essere, il dover-emergere in un determinato contesto fornito dal passato. La percezione dello scorrere del tempo è diverge sensibilmente a seconda delle aspettative di cui è riempito lo spazio tra le note. Per questo motivo la percezione del tempo di chi esegue musica è più lenta rispetto a quella di chi la ascolta: l’ascoltatore riempie forse tale spazio di attese, l’esecutore di ‘elaborazione semantica. La medesima cosa accade a chi aspetta di essere servito al caffè: se è solo, il tempo non passa mai, se è in compagnia, impegnato in una conversazione, non si renderà neppure conto dello scorrere del tempo.

2.1.3 Genesi del tempo della fisica ed espressività

Il tempo degli orologi, il bergsoniano ‘tempo spazializzato della fisica’, è un prodotto della nostra percezione:siamo infatti molto bravi a distribuire isocronicamente eventi che accadono in tempi diversi. Cogliamo l’isocronismo quando qualcuno non va a tempo, produciamo l’isocronismo quando, da esecutori, andiamo a tempo, stando al di sotto della soglia di 9ms sopra la quale la simultaneità non viene più percepita. Ma c’è di più: l’espressività di una esecuzione umana rispetto a quella inespressiva di un computer, che va perfettamente a tempo, risiede in una serie di scostamenti da una scansione regolare che noi percepiamo, e tuttavia facciamo rientrare in un medesimo battito. La deviazione dell’esecuzione dalla scansione matematica del tempo rende la musica non letterale, non machinica e umana. Il concetto di anticipo o ritardo implica naturalmente una scansione regolare: la tensione che si genera tra i due tempi genera l’espressività.

2.1.4 Alla ricerca del ‘tempo giusto’.

Sappiamo tutti come l’opposizione lento/veloce sia rilevantissima nell’espressività musicale. Ma a monte di questo fenomeno ve ne è uno più elementare, ossia il ‘tempo giusto’ di alcune partiture, un tempo percepito come ‘naturale’ da porre in relazione con ogni probabilità con il ritmo cardiaco. Già Aristotele parlava, qualitativamente, di ‘naturale’ e di ‘violento’ in relazione al movimento: la scienza moderna ha accantonato queste categorie. Il moto del pendolo, notava Galileo con grande meraviglia, che il tempo di oscillazione di un pendolo non dipende dall’arco di oscillazione. Gli esperimenti di fisica ingenua hanno dimostrato invece che in sede sperimentale perfino gli studenti di fisica cadono nell’errore di regolare –grazie ad un motorino- l’oscillazione "naturale" di un finto pendolo in modo proporzionale all’arco di oscillazione. Non si tratta di un fenomeno fisico, bensì estetico.

2.2 Lo spazio.

Lo spirito sistematico vorrebbe percepire identità tra fenomeni acustici e visivi, ma così non è; il che ci porta a diffidare di una teoria che propugni un nucleo centrale logico mentale o ideale retrostante i diversi fenomeni percettivi. Infatti, per ciò che riguarda lo spazio, la teoria della gestalt ha provato che una distribuzione omogenea degli stimoli sulla retina è percepita come spazio uniforme, e che le discontinuità in questo spazio emergono come figure, oggetti, piani. Non accade questo nel campo uditivo: nelle camere anecoiche l’assenza di riflessione del suono dalle pareti è percepita come sordità.La grandezza dello spazio che percepiamo acusticamente dipende infatti dai rumori che ci circondano, e non tanto dal loro numero, quanto dalla loro forma, dalla loro struttura.

2.2.1 Spazio visivo e uditivo

E’ un fatto filosoficamente rilevante che lo spazio visibile sia collocato all’interno di uno spazio uditivo più ampio; ad esempio, lo spazio uditvo si estende anche dietro di noi, ben oltre i limiti del campo visivo. Lo spazio uditivo non conosce i limiti posti alla vista da una parete; è possibile che dietro questi fenomeni ci sia addirittura una ragione evolutiva. Per questi motivi è rilevante ai fini della analisi della categoria di spazio ciò che viene dalla musica. Boyle, nel suo sensation and perception in psychology, riporta un esperimento di Prat che comprova il fatto che, indipendentemente dal fatto che il suono provenga in realtà da un’unica fonte, i suoni acuti vengono percepiti dalla maggior parte dei soggetti come provenienti dall’alto, quelli gravi, dal basso. E’ possibile che alla base di questi fenomeni vi sia la risonanza del suono nelle diverse parti del corpo; infatti, quando ascoltiamo il suono con le cuffie percepiamo distintamente lo spazio nella testa. Sul legame tra i due spazi si deve aggiungere la nostra capacità di discriminare i suoni endogeni (ronzii, acufeni), semplicemente variando la posizione della testa. Sperimentalmente è possibile provare un’altra interazione interessante tra spazio sonoro e spazio visivo: indipendentemente dal fatto che il suono provenga in realtà da un’unica fonte, a punti in moto sinusoidale vengono attribuiti, dalla maggior parte dei soggetti, suoni la cui frequenza viene fatta oscillare, mentre a punti in moto rettilineo vengono attribuiti suoni con una frequenza stabile nel tempo. Essendo il movimento una funzione di spazio e tempo, questo esperimento comprova anche una relazione stretta tra spazio sonoro percepito e tempo percepito, su cui ritorneremo in seguito. In ogni caso gli eserimenti di cui sopra comprovano il fatto che non localizziamo i suoni nello spazio fisico, bensì ricostruiamo lo spazio a partire da una integrazione tra il dato visivo e le sorgenti sonore.

2.2.2 Figura e sfondo.

La discriminazione tra figura e sfondo non opera solo in campo visivo, ma anche in campo musicale. Come già notava Helmholtz nelle sue opere sull’acustica psicofisiologica, è possibile discriminare una struttura da uno sfondo sonoro. La letteratura scientifica chiama questo fenomeno coctail party effect, in quanto esso è alla base della focalizzazione di singole frasi nel chiacchiericcio. Non si tratta di un fenomeno fisico, in quanto non è una questione di volume. Non si tratta neppure di un fenomeno semantico, in quanto accade anche se le persone parlano lingue a noi sconosciute. E’ semplicemente un fenomeno riguardante la rilevanza percettiva di talune organizzazioni. Fenomeni simili accadono in musica, dove ciò che ha una sua articolazione (melodica, ritmica, etc.) viene percepito come figura, mentre ciò che è non si muove, ciò che è ripetitivo, diviene sfondo. In questo campo abbiamo anche fenomeni di multistabilità simili a quelli delle illusioni ottiche, quando vi è articolazione in entrambe le parti, come nel contrappunto.

2.2.3 Attribuzione della fonte del suono.

Il "terzo suono" di Tartini, percepibile quando uno strumento a corda esegue determinati bicordi particolarmente intonati, è senza dubbio nell’orecchio di chi ascolta, non nello spazio. Ciononostante viene percepito come proveniente dal violino. Ma se ad eseguire il bicordo sono due strumenti, il terzo suono proverrà da una regione intermedia tra i due. L’attribuzione della sorgente del suono è un fenomeno acustico peculiare; chi suona la prima volta in una orchestra, sa che ci si sente ‘espropriati’ del suono, che non viene percepito come proveniente dallo strumento, e finisce per essere attribuito al direttore d’orchestra. A questo scopo, sarebbe forse interessante una semiotica del gesto direttoriale, per comprendere il modo in cui il direttore ‘esegue’ un determinato brano. Ancora, è fondamentale il rapporto tra tatto e suono nell’esecuzione, in quanto il suono viene percepito come solidale al tocco: se si vuole una prova si suoni uno strumento con una mano anestetizzata.

2.2.4 Interazioni tra spazio e tempo.

Hume considera il tempo come un succedersi di sensazioni, mentre lo spazio è definito come contiguità di sensazioni. Da questa definizione segue il fatto che essi non abbiano una esistenza autonoma. Se abbiamo una serie di luci equidistanti, che si accendano con un ritmo non isocrono, chi osserva non percepirà l’equidistanza, ma ‘aggiusterà’ le distanze sulla base del ritmo. Questo esperimento e quello sul movimento riportato in 2.2.1, comprovano uno schema di teoria della conoscenza per il quale lo spazio e il tempo interferiscono tra loro.

2.3 Altre categorie

2.3.1 Unità

Aristotele elenca alcune caratteristiche della categoria di unità; prima fra tutte quella di continuità. Anche in musica ciò che è continuo viene percepito come unico: un suono viene percepito come continuo anche se facciamo variare un parametro nel tempo, come il suo volume; un caso particolare è quello del glissando, in cui note diverse vengono percepite come un tutt’uno.

Ancora per Aristotele, uno è l’intero e ciò che ha qualche figura e forma. Una è la melodia anche se è composta di una serie di parti, incisi, note etc. Unitaria è anche la composizione, della quale siamo sempre in grado di valutare la coerenza. Si tratta di unità per contatto o per legame esteriore, per la quale anche una linea spezzata è ‘continua’.

A dimostrare l’importanza di questa categoria per la musica, il discorso sulla ‘fusione’: i bicordi dissonanti vengono infatti percepiti come due suoni distinti in misura diversa a seconda del tipo di urto, mentre i bicordi consonanti vengono percepiti come una nota sola. Come si vede, l’idea di unità dell’armonia è piuttosto elastica, proprio come il concetto che ne ha Aristotele. Negli accordi non percepiamo l’individualità di una nota, a meno che una delle note componenti non preceda leggermente l’accordo; non si tratta di un fenomeno fisico, perché tale continuità della nota nell’accordo viene percepita anche quando quella nota smette di suonare, e ciò è stato dimostrato sperimentalmente; questo è alla base di una serie di fenomeni musicali che spaziano dal legame tra ‘concerto’ e ‘concertino’, a determinate tecniche come il contrappunto per sincopi o la tecnica pianistica per eseguire una coda su un pedale.

2.3.2 Identità

L’identità coinvolge in musica la riconoscibilità della melodia nella ripetizione, nel trasporto, nei fenomeni speculari tipici del contrappunto, nella variazione e in mille altre forme. Da un punto di vista fisico un suono ripetuto due volte non è e non può essere lo stesso; tuttavia è proprio così che noi lo percepiamo, entro una certa soglia. Riconosciamo l’identià nelle modulazioni, nonostante muti l’altezza di tutti i suoni. E’ interessante a questo proposito soffermarci sull’effetto-eco. Quale caratteristica deve avere una coppia di suoni perché il secondo venga percepito come eco del primo? Le caratteristiche riscontrate in laboratorio sono: una diminuzione del volume del secondo suono (meno di un decimo del primo), della sua durata (la lunghezza deve essere maggiore) e un certo lasso di tempo tra l’uno e l’altro. In questo modo, basandosi su fenomeni di identità, la musica produce un effetto di spazialità; l’effetto-eco non è altro che una attribuzione di causalità tra due fenomeni (non a caso nel contrappunto canonico, la voce che precede si chiama dux, quella che segue, comes, n.d.r.).

2.3.3 Opposizione

L’opposizione entra in gioco in molti fenomeni musicali: sentiamo come fenomeni di opposizione come il moto contrario o i fenomeni di consonanza e dissonanza; l’opposizione è alla base del riconoscimento di una struttura, come dimostra l’avvicendarsi di un tema A e di un tema B nella forma sonata; un tipo particolare di opposizione, ‘partecipativa’, nasce dalla riconoscibilità di un profilo melodico rovesciato, fenomeno questo tipico del contrappunto.

2.3.4 Adombramento

Questa categoria copre tutti i fenomeni di presenza amodale. La parte ‘amodale’ di un oggetto è quella presupposta, ma non percepita, a completamento di qualcosa (il retro di un solido, l’altra metà della luna). Spesso si tratta di una attribuzione di esistenza a qualcosa che in realtà non c’è. Anche in musica avviene questo: se un suono viene interrotto da rumore bianco, per poi riprendere, noi percepiamo la continuità di quel suono nel rumore bianco; continuiamo a sentirlo anche se dal rumore bianco noi escludiamo la frequenza di quel suono. Lo stesso avviene con due frammenti di scala ascendente interrotti da rumore bianco, percepiti come un’unica scala musicale.

2.4 Suonare insieme

Il nostro orecchio è in grado di discriminare due suoni consecutivi purché la distanza tra questi si mantenga nell’ordine dei 4/6 ms. Tale soglia è molto al di sotto di quella reperita per gli stimoli visivi. Ora, molte dispute sulla ‘credenza’ e sulla nostra capacità cognitiva di raffigurarci gli stati mentali altrui cadono se si tiene presente che un gruppo di esecutori, un quartetto ad esempio, sono in grado di mantenersi sotto quella soglia anche quando "attaccano" a suonare, mantenendo una capacità di seguire quel che fanno gli altri e contemporaneamente eseguendo il pezzo secondo una curva interpretativa. La condivisione dell’oggetto sonoro è pertanto misurabile con il cronometro, nell’ordine dei millisecondi. A questo proposito, sarebbe interessante approfondire l’esistenza di microcodici di natura prossemica tra gli interpreti.

3.0 Conclusione?

La materia del corso è smisurata, eppure si trattava non certo di fondare un nuovo sistema filosofico basato sulla musica, quanto piuttosto di dimostrare la possibilità di fondare il nostro sapere su quest’arte, in grado di convalidare molti fenomeni accertati, ma anche di mettere in crisi talune certezze e di aggiungere nuove conoscenze al nostro bagaglio. Innumerevoli sono i sentieri solo mostrati e non compiutamente esplorati dal corso, sentieri estremamente suggestivi, come ad esempio l’idea di ‘copiare’ la fisica creando un linguaggio formalizzato per poterci riferire con precisione ai fenomeni della percezione del tempo, o il portare avanti la comparazione degli aspetti visivi e uditivi della percezione senza limitarsi alle analogie sottolineando le differenze, o ancora il tentativo di rifondare una filosofia del tempo basata sull’esperienza musicale. Tutto questo nell’ottica di confrontare con i fenomeni percettivi, analizzabili e comprovabili, teorie più vaste, come semantica, estetica, filosofia. Crediamo che il corso abbia raggiunto il suo obiettivo, abbia cioè fornito gli elementi per giustificare il suo assunto iniziale: Se il nostro mondo fosse fatto tutto di musica, avremmo comunque tutti gli elementi per fondare una teoria sistematica della conoscenza.

4.0 Discussione semiotica

Le lezioni di Paolo Bozzi meritano una qualche attenzione anche da parte dei semiologi, e non solo per ciò che riguarda la possibilità di fondare una semantica musicale. Infatti, per una serie di motivi, l’attenzione della semiotica in questi anni si è spostata su tematiche molto vicine a quelle trattate da Bozzi. Nell’ambito della semiotica francese, infatti, l’analisi del meccanismo dell’enunciazione testuale da un lato, e di quello passionale dall’altro, hanno portato alla riscoperta delle posizioni di Bergson riguardo alla durata e ad una indagine sulla continuità come fondamento del meccanismo categoriale (si pensi al lavoro di Zilberberg). In ambito italiano, per altre vie, Umberto Eco si è interrogato sull’origine della semiosi, sul "processo di interpretazione del mondo che (…) assume una forma ‘aurorale’, fatta di tentativi e di ripulse, la quale è già semiosi in atto" (Kant e l’ornitorinco, introduzione), sul terminus a quo della semiotica.

4.1 Continuo Vs. categoriale.

Alla semiotica post-greimasiana Paolo Bozzi sembra dare costantemente e ragione e torto; ragione nel sottolineare l’importanza della dimensione durativa in tutta una serie di fenomeni sul piano diacronico e processuale; torto in quanto nella percezione della durata continuiamo ad essere in presenza di fenomeni discontinui: si pensi all’importanza delle strutture nella nostra percezione del tempo, della forma, dell’identità etc. La concezione di Bozzi non è riducibile allo strutturalismo d’un tempo; la sua prospettiva è infatti interessante in quanto le strutture vengono colte, in chiave fenomenologica, nell’atto del loro farsi, nel loro divenire forma, non certo sotto un aspetto statico e neppure come un dato. Gli effetti espressivi, la tensione, non dipende da fenomeni continui, ma dal contrasto che si viene a creare tra strutture e deviazioni dalle strutture stesse (tra quasi-struttura e quasi-continuità?), come nel caso dei fenomeni di scostamento da una ripetizione "letterale" del testo ovvero da una sua scansione isocrona, scostamento che contraddistingue l’interpretazione del testo (cfr.2.1.3).

4.2 Le soglie della semiosi.

L’analisi della percezione può costituire le basi per una semantica della musica o le scoperte cui perviene si esauriscono in se stesse? Posto di fronte a questa domanda, Bozzi ha citato la semiotica musicale di Eero Tarasti (Sémiotique musicale, PULIM-Press universitaires de Limoges, Limoges, 1996) come esempio di teoria in accordo con i fenomeni percettivi, ma più vasta di essi, a significare che la dimensione semantica non coincide con quella percettiva, pur essendo ad essa strettamente legata. Tuttavia, nonostante la percettologia non sia sufficiente a generare da sola una teoria semiotica, è interessante che le teorie semiotiche si adattino alle scoperte dei percettologi. In quei 4-6 millisecondi che separano note percepite come compresenti da note consecutive, si annida forse un complesso meccanismo inferenziale inconscio? E’ forse basato su codici di natura prossemica? La percettologia non ci fornisce una risposta su questo problema, ma è certo che una teoria semiotica dell’interpretazione non può certo ignorare l’esistenza di questo tipo di soglie, di questo tipo di limiti naturali alla semiosi, indagandole anche sotto l’aspetto pragmatico; dalla percettologia è infatti possibile cogliere anche l’importanza del metodo sperimentale, e del fenomeno; le teorie mutano o muoiono, gli approcci si susseguono, i sistemi crollano e i paradigmi vengono sostituiti, ma i fenomeni restano, in attesa di essere spiegati da nuove teorie, approcci, sistemi e paradigmi.

Francesco Galofaro