Laboratorio di Analisi Semiotica degli Oggetti

Università di Bologna

Dipartimento di Scienze della Comunicazione

Docente: Michela Deni

Analisi di Gozi Elisa

L’ambiente Scavolini

 

  

1.0 - Introduzione:

 

L’oggetto d’analisi del mio lavoro è un ambiente, più precisamente la cucina Scavolini modello 03Dream. L’analisi che vorrei proporre parte dall’analisi semiotica di altri ambienti, realizzate da Jean-Marie Floch (Floch, 1995), da Maria Elena Normanni (Normanni, 2002) e da Michela Deni (Deni, 2002). Scopo dell’analisi è mettere in luce i caratteri dell’abitare una cucina Scavolini,  i valori inscritti nelle sue pratiche abitative, gli effetti di senso che vuole generare e come questi vengono prodotti dai singoli componenti dello spazio.

Analizzare un ambiente dal punto di vista semiotico è senz’altro molto complesso: si potrebbero prendere in considerazione moltissimi aspetti e ritrovarsi di fronte ad una mole di lavoro enorme. In realtà qui cercherò di circoscrivere l’oggetto d’analisi e di concentrare la mia attenzione soltanto su alcuni aspetti e tematiche proprie dell’ambiente cucina. Sempre per questo motivo mi limiterò ad analizzare un unico modello di cucina, senza realizzare confronti con altri modelli della stessa azienda o di altre aziende. Certamente sarebbe interessante vedere e confrontare la cucina Scavolini con quelle di altre marche, per vedere in che cosa si differenziano e se le proposte dei progettisti di altre ditte sono più o meno funzionali o creano un ambiente più intimo e personale rispetto a questa cucina, ma come ho detto sarebbe un lavoro lunghissimo e persino diverso da quello che intendo proporre.

Premesso ciò voglio cercare di definire i punti cardine della mia analisi e fare un po’ di chiarezza su che cosa è oggetto di questo lavoro e cosa non lo è.

Partendo dal lavoro di Jean-Marie Floch e dal materiale che ho raccolto riguardo all’azienda Scavolini (analisi del suo catalogo di cucine, del suo sito Internet, della pubblicità aziendale) farò una breve analisi dell’identità e della filosofia aziendale, dei valori inscritti nel suo prodotto e dell’ideologia del marchio Scavolini. Definiti i tratti privilegiati dall’azienda nella realizzazione delle sue cucine e il target di riferimento dei suoi prodotti (o utente modello), l’analisi andrà più sul particolare, studiando l’ambiente costruito dal modello specifico di cucina. Quindi il mio interesse si concentrerà soprattutto sull’importanza degli oggetti e delle parti della cucina nel costruire lo spazio, a livello interoggettivo e intersoggettivo. Se l’analisi dell’ambiente sarà certamente da considerarsi come l’oggetto specifico della mia analisi, non mancherò però di sottolineare alcuni elementi particolari della cucina stessa, elementi che possono essere definiti come oggetti funzionali o disfunzionali sulla base del concetto di fattitività proposto dalla semiotica degli oggetti (Deni, 2002). Capire quali oggetti sono funzionali – e in che termini -  e quali lo sono meno mi aiuterà a definire gli effetti di senso che vengono generati nel complesso dall’ambiente, quali aspetti emergono in modo preponderante e come tali oggetti determinano le pratiche abitative degli utenti. Sarò infine attenta alla relazione che viene a instaurarsi tra l’utente della cucina e la cucina stessa, nella sua totalità. Il saggio di Maria Elena Normanni mi sarà utile per cercare di definire il concetto di intimità iscritto nel modello Dream Scavolini.

Ecco le linee generali della mia analisi: l’identità aziendale, il caso specifico di cucina (l’analisi dell’ambiente e il rapporto tra funzionalità comunicativa e operativa di alcuni elementi dell’ambiente) e, infine, il tipo d’intimità generata da tale modello.

 

2.0 - L’identità Scavolini:

 

               

Definire l’identità dell’azienda Scavolini non è semplice come potrebbe sembrare all’apparenza: tutti conosciamo gli spot dell’azienda, in televisione come sulla carta stampata, dove vediamo Lorella Cuccarini[1] nella sua splendida ed enorme cucina Scavolini, mentre cucina eccezionali manicaretti e allo stesso tempo gioca con i suoi bambini felici e sorridenti. Tutti conosciamo a memoria lo slogan pubblicitario “Scavolini la cucina più amata dagli italiani” e sarebbe molto facile pensare alla Scavolini come l’azienda leader in Italia, che produce cucine con amore, con materiali veri e caldi, perenni, cucine che daranno ovunque un senso di serenità e intimità e quel tocco di stile nuovo e tradizionale al tempo stesso. Ma per comprendere meglio l’azienda e lo stile, i valori inscritti nei suoi prodotti, sarà più utile andare per gradi e seguire un po’ il ragionamento che Jean-Marie Floch porta avanti nel suo saggio “La casa di Epicureo” all’interno dell’opera Identità visive.

Floch ci spiega come attraverso il buon uso del mobilio sia implicata una certa ideologia, per cui in ogni età della vita i mobili sarebbero investiti di valori di consumo particolari. Si acquistano e si apprezzano i mobili a seconda che si sia vecchi o giovani, a seconda che ci si “imbarchi nella vita” o che vi si sia già ben inseriti.

Il buon uso di cui si parla dipende dai valori di consumo che vengono scelti e proposti dalla singola azienda. Floch nel saggio realizza il quadrato dei valori di consumo, derivato dall’opposizione dei valori d’uso e dei valori di base di un ambiente o un oggetto proposto, nel nostro caso il mobilio. Presupposto un soggetto e un oggetto investito di valori, i valori di base sono i valori di cui il soggetto investe quell’oggetto, l’oggetto di valore appunto, che è la meta cui aspira il soggetto all’interno del programma narrativo principale. I valori d’uso invece sono quelli di cui il soggetto investe gli oggetti secondari, che servono all’interno di programmi narrativi d’uso, per portare a termine, in un secondo momento, il PN principale. Per chiarire la differenza tra valori di base e valori d’uso Floch fa l’esempio della scimmia (soggetto) che vuole mangiare la banana (valore di base) e che per prenderla deve usare il bastone (valore d’uso).

Ora, la proiezione della categoria “valore d’uso” vs “valore di base” sul quadrato semiotico permette di riconoscere quattro grandi tipi di valorizzazione che Floch chiama: pratica, ludica, utopica e critica.

 

MOBILI SOLIDI                    valorizzazione                                      valorizzazione     MOBILI TRADIZIONALI

                    E MODULABILI                           pratica                                                    utopica                   O MODERNI

 

 

MOBILI ECONOMICI        valorizzazione                                     valorizzazione       MOBILI LUSSUOSI

E ASTUTI                      critica                                                    ludica                  E RAFFINATI

 

 

·   La valorizzazione PRATICA corrisponde ai valori d’uso o meglio detti i valori utilitari.

·   La valorizzazione UTOPICA corrisponde ai valori di base o anche detti i valori esistenziali.

·   La valorizzazione LUDICA è la negazione di quella pratica: è l’esaltazione dei valori di gratuità, valori che possono essere tematizzati sia come ludici sia come estetici.

·   La valorizzazione CRITICA è la negazione di quella utopica: è la soluzione sottoposta alla logica del calcolo e dell’interesse, che esalta la soluzione elegante, l’astuzia e il buon rapporto costo/vantaggio o qualità/prezzo.

 

 

Tale assiologia del consumo per Floch è sottesa ai discorsi (cataloghi, spot, esposizioni, ecc) sul mobilio tenuti dai fabbricanti di mobili e dai clienti stessi: infatti, le sedie, i tavoli possono essere descritti come funzionali, pratici, sicuri, solidi e moderni, come tradizionali, lussuosi, raffinati oppure come economici e scaltri. Dietro a queste descrizioni si nascondono in realtà le nostre quattro valorizzazioni:

 

 

 

·  Mobili funzionali e solidi sono PRATICI, cioè mezzi al servizio di un fine

·  Mobili lussuosi e raffinati sono mobili in cui la valorizzazione LUDICA è certamente predominante, e  non è la loro funzionalità a renderli veramente di valore

·   Mobili moderni o tradizionali, che sono in grado di inscrivere il soggetto-cliente nella sua epoca o di concretizzare la sua nostalgia per un’epoca diversa, mobili visti come immagini dell’identità del soggetto, sono certamente carichi di una valorizzazione UTOPICA

·   Mobili, infine, venduti come economici e in vario modo utilizzabili, dipendono dalla valorizzazione CRITICA, e rappresentano la scelta ideale, il buon rapporto qualità/prezzo, l’intelligenza degli spazi.

 

 

 

 

Il riconoscimento di questa assiologia è molto utile poiché ci permette di collocare i diversi fabbricanti a seconda che le loro offerte rinviino a una delle quattro valorizzazioni. Ogni venditore di mobili concepisce e presenta una vasta gamma di prodotti che ci vengono presentati, sia visivamente sia testualmente, in un modo specifico che sottolinea questa o quella valorizzazione. Per cogliere quale tipo di valorizzazione sta alla base di un prodotto o di  un’azienda basta analizzare il complesso dei racconti e delle rappresentazioni raccolte nei cataloghi, negli spot pubblicitari e, nel caso, anche nel sito internet dell’azienda, dove spesso compaiono informazioni più accurate sulla filosofia aziendale e sui suoi prodotti.

Tornando però al concetto di buon uso del mobilio, Floch fa poi un altro passo avanti: i quattro grandi tipi di valorizzazione individuati corrispondono alle diverse età della vita. Viene proposto un vero e proprio progetto di vita, con un suo ordine.

Appena ci si imbarca nella vita una giovane coppia cerca mobili economici, di base. In questo momento della vita conviene far buon uso di una superficie limitata con una spesa minima: ed ecco che compare in risposta a questi bisogni un mobilio “critico”.

Giungono poi nuovi bisogni: la famiglia si allarga e servono mobili resistenti e funzionali, mobili “pratici” dunque. Si raggiunge infine una certa agiatezza: per il piacere della messa in scena o per ricompensarsi dell’agiatezza meritata, si ricerca la raffinatezza delle materie e quindi un mobilio “ludico”.

Il tempo passa e ci si preoccupa di un’arte di vivere che sia sempre più personale, di un mobilio su misura, che rappresenta la nostra identità, tradizionale o moderna che sia. Alla fine del percorso della nostra vita i mobili sono “utopici”, al fine di creare e far vedere agli altri il nostro universo personale.

 

 

 

 

 

     

             “ALLEVARE I FIGLI”                                           “CREARE IL PROPRIO UNIVERSO”

 

MOBILI SOLIDI                    valorizzazione                                      valorizzazione     MOBILI TRADIZIONALI

                    E MODULABILI                           pratica                                                    utopica                  O MODERNI

 

 

MOBILI ECONOMICI        valorizzazione                                     valorizzazione       MOBILI LUSSUOSI

E ASTUTI                      critica                                                    ludica                E RAFFINATI

 

         “INIZIARE LA VITA“                                                  “OFFRIRSI E RICEVERE”

 

Floch prosegue poi nel suo saggio con l’analisi del caso Ikea e di quello Habitat, studiando a grandi linee le diverse filosofie aziendali e le ragioni del successo di queste proposte abitative. In quest’analisi vorremmo fare la stessa cosa: cercare di capire qual è la filosofia di Scavolini, se è possibile capire da quale tipo di valorizzazione dipende il suo prodotto e per quale età della vita è stata progettata una sua cucina.

Comincio dunque la mia analisi considerando come materiale principale il catalogo delle cucine Scavolini, catalogo che per altro non comprende tutte le proposte di cucine, ma soltanto i modelli di cucine tra le quali è compresa quella specifica che voglio analizzare (Scavolini infatti propone tante diverse collezioni, all’interno delle quali ritroviamo diverse varianti che condividono tra loro impostazioni stilistiche, ma che sono diverse per le strutture di base).

Inoltre, per definire più in generale l’offerta aziendale e capire meglio le sue caratteristiche, mi sono servita spesso del sito aziendale www.scavolini.com , e del materiale relativo alla cucina oggetto di quest’analisi (libretti di istruzione, ecc).

 

2.1 – Il catalogo:

 

Il catalogo Scavolini Happening prende in considerazione cinque modelli di cucine (che già dal nome cercano di descrivere il tipo di cucina e di ambiente che esse creano e cui meglio si adattano): Life, City, Dream, Home, Play. Come spiega il trafiletto nella prima pagina del catalogo (in cinque lingue diverse) “Happening è un programma di cucine che interpreta nuove esigenze d’uso e di abitabilità: aree per la preparazione di cibi centralizzate, efficace organizzazione di vani di contenimento, grande agibilità delle diverse zone operative, soluzioni e design finalizzati all’espressione di attitudini personali e vita relazionale. Il programma comprende cinque modelli di cucina che hanno impostazione stilistica similare ma diverse strutture di base (Ciliegio Bellagio, Bianco, Grigio Alluminio, Noce antico, Rovere Decapé)  per consentire una scelta assolutamente personale tra le molte tipologie di ante, maniglie e colori disponibili che rendono possibili ben 1131 versioni. “

Di materiale per fare qualche considerazione riguardo alla valorizzazione scelta dall’azienda già ne abbiamo molto, ma andiamo oltre, nella pagina affianco, dove vengono delineati i tratti dei cinque modelli: la cucina Life “con struttura in Ciliegio Bellagio, manifesta i nuovi contenuti della cucina contemporanea: centralità dei principali servizi (lavaggio e cottura), contenitori tutt’intorno alle pareti, superamento delle divisioni tra soggiorno e cucina.”, la cucina City “con struttura Bianca, interpreta il piacere di vivere in uno spazio gratificante dove manifestare gusto raffinato, creatività e voglia di relazioni. Le soluzioni sono le più innovative; design, tecnologia e colore hanno grande rilevanza nell’ambiente cucina.”, la cucina Dream “con struttura Grigio Alluminio, lascia molto spazio all’inventiva e alla creatività. Il gioco dei colori (alcuni decisamente nuovi) sono determinanti per definire la personalità dell’ambiente e il carattere di chi la vive.”, e ancora la cucina Home  e la cucina Play.

Il catalogo Scavolini prosegue, diviso per modelli, mostrando le varianti di colori e diverse realizzazioni di ambienti, a volte ripetendo le stesse parole per descriverli, ma sempre lasciando più spazio alle immagini piuttosto che alle parole.

E certamente sono le cucine e le foto che ci parlano più che le descrizioni di queste, che nelle parti più specifiche diventano solo brevi didascalie, con particolari sui materiali e i codici dei prodotti, ma considerando quanto abbiamo appena letto e dando solo una breve occhiata alle immagini, possiamo già capire su quali valori punta l’azienda e magari avere già in mente l’utente modello, la sua età e il suo stile di vita.

Come appare chiaramente, l’obiettivo di Scavolini è di offrire un prodotto efficace, funzionale, contemporaneo, raffinato e soprattutto personale: ecco comparire chiaramente la valorizzazione utopica, prima di tutto, ma anche quella ludica. Le cucine interpretano “ il piacere di vivere in uno spazio gratificante dove manifestare gusto raffinato, creatività e voglia di relazioni”, sono in grado di dirci qualcosa riguardo “la personalità dell’ambiente e il carattere di chi la vive”, creano cioè il nostro universo, rispecchiano la nostra identità, parlano di noi, ed esprimono allo stesso tempo un “gusto raffinato”, sono cucine lussuose, non per tutti, soprattutto non per coloro che stanno per metter su famiglia. Ma questo aspetto si comprende meglio se passiamo ad analizzare il sito internet della Scavolini, dove l’azienda parla più precisamente di sé, della sua storia e filosofia, ma anche del suo target di riferimento.

 

2.2 – Il sito:

 

La prima pagina del sito Scavolini mostra sullo sfondo l’immagine di Lorella Cuccarini, felice e sorridente mentre cucina all’interno della sua Scavolini rosso fuoco (colore che peraltro riprende quello del marchio dell’azienda) e in alto e in basso compaiono i link alle pagine del sito: dall’alto a sinistra, vicino al marchio aziendale, scorriamo i vari collegamenti alla HOME, alla storia della COMPANY, ai CONTATTI, e al portale KITCHENS.IT. (parte istituzionale del sito)

In basso da sinistra invece scorriamo i link al servizio del cliente che vuole comprare una cucina:  in alto possiamo accedere a tutte le informazioni sull’azienda e su dove possiamo comprare la nostra cucina, in basso possiamo scegliere la nostra cucina, tra i vari modelli proposti. Per cui passiamo in visione le pagine di RICERCA MODELLI  per NOME, STILE/FINITURA/COLORE, CASE, o attraverso la RICERCA GUIDATA, ancor prima di cercare il rivenditore a noi più vicino o di curiosare su quali attività la Scavolini sponsorizza.

Le pagine che più ci interessano sono quelle relative alla COMPANY e quella della RICERCA GUIDATA a partire dalle CASE.

Nella pagina sulla compagnia scopriamo subito che: “La missione aziendale: il vero patrimonio di un’azienda è costituito dai clienti soddisfatti.”, poi che “l’azienda Scavolini  nasce a Pesaro nel 1961 dal lavoro e la passione dei fratelli Valter ed Elvinio Scavolini. In pochi anni si trasforma da piccola azienda a carattere artigianale in una delle più importanti aziende manifatturiere del centro Italia, fino a quando, nel 1984, conquista la leadership del settore, che peraltro mantiene tuttora”, che il suo prodotto è “di successo, innovativo e differenziato dalla concorrenza. I plus: la gamma di oltre 50 modelli, il design, frutto di una collaborazione tra architetti, tecnici e uomini di marketing, la qualità dei materiali (atossici e idrorepellenti), il rapporto qualità/prezzo senza rivali”. Inoltre veniamo a sapere che Scavolini è “un’impresa attenta ai mercati esteri: distribuzione non solo in Italia ma nel mondo”, ma soprattutto viene ad esplicitarsi ciò che avevamo già intuito in precedenza, e cioè che “Scavolini  produce cucine per la fascia medio/ medio-alta del mercato e che, per completare il piano di consolidamento ed espansione della sua quota di mercato, ha intrapreso la strada della diversificazione dell’offerta, creando un gruppo. La gamma di prodotti si è allargata, conquistando nuove fasce di mercato e per coprire ad esempio la fascia medio-bassa è stata lanciata la linea Scavolini Basic. Nel 1996 ha acquisito inoltre l’azienda Ernestomeda, che si posiziona nella fascia medio-alta/alta, con  un prodotto di marca a prezzo competitivo.”.

Appare dunque esplicitato chiaramente quello che già si era capito: Scavolini produce cucine per la fascia medio/medio-alta del mercato, cioè per famiglie che hanno già raggiunto una stabilità economica e che, come diceva Floch, si ricompensano di un’agiatezza meritata, non per giovani coppie alle prese con la vita.  Per loro l’azienda sta cercando nuove soluzioni (Scavolini Basic), per accaparrarsi una fetta sempre più grande di mercato, diversificando la sua offerta e cercando una soluzione vantaggiosa per tutte le fasce di età degli utenti. Non ho approfondito la mia ricerca su queste cucine Basic, per non allontanarmi troppo dal mio oggetto di ricerca, ma certamente la politica aziendale per promuoverle sarà basata su valorizzazioni più critiche e pratiche.

Inoltre, nel sito, Scavolini tende a sottolineare il suo aspetto vincente, di una piccola azienda che si è fatta da sola, col lavoro di anni, fino a raggiungere il successo: è come se Scavolini replicasse più in grande lo stesso percorso di quella famiglia che acquista il suo prodotto, che da una parte acquista Scavolini perché oggi è l’azienda leader, quindi la migliore (dove cercare la ricompensa per gli sforzi di una vita se non nella cucina migliore del mercato?). Ma allo stesso tempo acquista Scavolini perché come noi è un’azienda locale che è giunta ad altissimi livelli, pur non dimenticando mai da dove è partita. Anzi, Scavolini tende a contrapporre o meglio coniugare la tradizione con la modernità, due valori fortemente inscritti nel suo marchio: ciò possiamo vederlo negli spot, ma anche se diamo un’occhiata alle manifestazioni e agli eventi che Scavolini sponsorizza (“il Rossini Opera Festival: dal 1982 Scavolini è lo sponsor di questa manifestazione che mette in scena cantanti, registi, sceneggiatori e attori nell’interpretare le opere del musicista pesarese; lo Sport: dal 1975 è sponsor della squadra di pallacanestro di Pesaro, che ha vinto per ben due volte lo scudetto e altri importanti premi. Insieme la squadra e l’azienda condividono l’immagine vincente. Dal 2003 inoltre Scavolini  sponsorizza la squadra di pallavolo femminile di Pesaro”).

Scavolini ricerca l’innovazione, lo stile, il design, cerca soluzioni contemporanee e porta avanti la modernità in fatto di cucine, ma all’interno di queste cucine pone persone che amano e rispettano la tradizione, vivono per quei valori come la famiglia e la serenità famigliare. L’azienda è nata a Pesaro e promuove Pesaro e la sua storia, la sua arte, lo sport, ma allo stesso tempo il mercato si allarga, non solo perché intende allargare la sua offerta fino a ricoprire la fascia medio-bassa e quella alta del mercato, ma anche perché tende oltre Pesaro, oltre l’Italia, verso un mercato mondiale, con sedi in tutte le città più importanti del mondo (i  termini complessi “passato” + “futuro”, ma anche quello “Qui” + “là”, spazio topico + eterotopico vengono sempre attualizzati).

“Qualità Certificata: nel 1996 Scavolini ha ottenuto il riconoscimento di Qualità Certificata perché realizza cucine di alto livello, per le quali effettua controlli rigorosi, seleziona accuratamente i materiali, realizza prove di laboratorio che verificano la perfetta funzionalità di ogni elemento.”

“Idrorepellenza: cucine che resistono all’acqua, ai vapori, al calore. La loro struttura, le ante in laminato e la parte decorativa sono idrorepellenti. Per la tenuta dei bordi vengono usati collanti che resistono all’acqua e alle alte temperature. Atossicità: riguardo per la tutela della salute e dell’ambiente. Scavolini usa materiali di classe E1, con minimo di formaldeide contenuta.  La lucidatura dei piani in granito, marmo, composti e dematop avviene meccanicamente, senza piombo. Scavolini  privilegia l’uso di materiali ad alta reciclabilità, come alluminio e acciaio per i piani, gli schienali, le ante e i complementi. Consiglia e propone inoltre elettrodomestici a basso consumo energetico: ad esempio non propone frigoriferi con CFC, sostanze responsabili di effetto serra e del buco nell’ozono.” I prodotti Scavolini non solo sono valorizzati ludicamente e utopicamente, ma anche praticamente, poiché sono cucine resistenti, solide, di alto livello non solo per il design e la ricercatezza, ma anche per i materiali, tutti scelti e di prima qualità e per questo estremamente duraturi e resistenti, ma anche atossici, nel rispetto dell’ambiente e delle persone che vivono gli ambienti.

Anche la valorizzazione pratica dunque trova posto nel disegno aziendale ed è importante considerare questo aspetto, sempre all’interno della dicotomia “passato” vs “futuro”: infatti vengono sperimentati nuovi materiali, nuovi stili, ma resta inscritto il valore del tempo, della durata, perché la solidità dei materiali antichi (legno, ferro, acciaio) non deve lasciare il posto a materie meno antiche e raffinate, come la plastica. Si cerca di rinnovare la tradizione, di renderla contemporanea: non a caso i materiali usati non lasciano posto a composti chimici, surrogati. La qualità sta prima di tutto nelle materie: Ciliegio Bellagio, Bianco, Grigio Alluminio, Noce antico, Rovere Decapé, elementi forti, duraturi, di qualità proprio perché antichi, e che allo stesso tempo trasmettono quei valori famigliari che non vanno perduti; il tutto nel rispetto della natura che ci circonda (elemento che connette passato e futuro) e della persona stessa (dunque ancora amore per la famiglia, perché chi compra Scavolini sa di aver fatto la scelta migliore anche per la salute propria e dei propri cari).

Detto ciò, pare sufficientemente chiaro che Scavolini dia una valorizzazione utopica in primis al suo prodotto, successivamente ludica e pratica e risulta vera l’ipotesi di Floch che vede corrispondere un mobilio diverso per ogni età e stato economico.

Tanto più che questo viene ribadito da Scavolini anche nella sua pagina per la ricerca guidata per CASE, dove vengono proposti i vari tipi di cucina in base alla propria abitazione. “Stili di vita e cucine: tante collezioni e in ogni collezione tanti modelli diversi per dare a tutti la possibilità di ritrovare anche in cucina il proprio stile”. In questa pagina compaiono 8 tipi – generi di case (international, fashion, night and day, new classic, high classic, nature, old italy e basic) con relative fotografie e didascalie, utili a identificare la propria dimora tra le otto categorie proposte.

International: oggetti, arredi, architetture: le nuove regole del design esistono. Rigore, pulizia e semplicità. Nella seconda metà degli anni Novanta sono andati affermandosi nuovi codici del design, nell’arredamento come nell’architettura. Al di là delle mode, si è fatto strada un modo di “disegnare” sempre più orientato alla ricerca dell’essenziale un po’ in tutti i contesti stilistici (a ben guardare anche nel classico le forme si sono, in questi ultimi anni, sensibilmente ripulite).

In tutto il mondo la tendenza più significativa nell’arredamento delle case moderne è la “semplificazione”: arredare sembra voler dire non più “mettere” in una casa, ma “togliere”.

E, poiché di mobili non ne possiamo fare a meno, quest’operazione di sottrazione, per continuare ad essere un’operazione di gusto, investe la forma, i colori, i materiali e le regole compositive dei mobili stessi. Domina il bianco, ma anche i contrasti forti (come il rapporto tra bianco e legni scuri) sia nella relazione tra i colori, che in quella tra i materiali (acciaio e legno, vetro temperato e metallo, ecc.), le linee delle composizioni sono continue, la decorazione quasi assente.

Il proprio “vissuto” nella casa, la stratificazione delle proprie esperienze attraverso gli oggetti e le cose deve essere gestita con misura: le nuove case sembrano aver bandito il disordine.”

Fashion: serate informali con gli amici, party, cene di lavoro. La Casa in abito da sera.

Una casa da mostrare come un abito un po’ speciale, magari da sera. Perché c’è chi fa della propria casa un luogo di incontro, di relazione sociale, per stare in assoluto relax con gli amici più intimi, o per i party in cui piace, a volte, rispettare le regole del bon ton. Comunque una casa aperta, con grandi spazi per ricevere e la possibilità di stare ovunque senza cadute di stile.

Ecco perché le cucine per questo pubblico un po’ sofisticato, se non proprio “alla moda”, devono, quantomeno, essere in uno “stile di moda”, essere, cioè, riconoscibili nella loro capacità di interpretare l’ideologia di gusto dominante.Oggi viviamo in un’epoca in cui si tende ovunque alla semplificazione del disegno e le cucine di quest’area non possono che fare proprio questo carattere della moda. Non è il troppo rigoroso ed essenziale territorio del “minimalismo”.

È uno stile che dal minimalismo sembra aver preso la propensione a ripulire la forma dei mobili dall’eccesso di orpelli per arrivare ad un disegno più lineare, ma che, in ogni caso, non rinuncia alla sua voglia di eleganza e di lusso, alla sua innata raffinatezza. Sono i materiali - marmi, vetri, acciai, legni particolari - i colori - il bianco, ovviamente, ma anche blu, rossi, gialli - il trattamento delle superfici, come le laccature lucide o i laminati lucidi ed opachi, a dare a queste cucine la loro inequivocabile appartenenza al mondo della moda e del lusso.”

Sono solo altri esempi che sottolineano ancora le valorizzazioni delle cucine Scavolini e che non fanno che confermare la mission aziendale prima esplicitata: soddisfare la fascia media/ medio-alta del mercato cucine. Ma dobbiamo fare attenzione a non confondere questo minimalismo delle forme e dei colori: le linee pulite, il disegno privo di eccessi, non sono la testimonianza di un predominio della valorizzazione pratica o, ancora, di quella critica, anzi. La raffinatezza, l’eleganza e la ricercatezza stanno nel ripulire l’ambiente di ciò che non serve e lo rende goffo, ingombrante. Alla base di tale scelta più minimalista resta comunque una valorizzazione ludica, estetica, forse solo in un secondo tempo pratica. Ce lo dice la stessa azienda: “è uno stile che dal minimalismo sembra aver preso la propensione a ripulire la forma dei mobili dall’eccesso di orpelli per arrivare ad un disegno più lineare, ma che, in ogni caso, non rinuncia alla sua voglia di eleganza e di lusso, alla sua innata raffinatezza”. I colori semplici (bianco e nero), i materiali così diversi e posti l’uno accanto all’altro (legno e acciaio, vetro e metallo) non sono lì per caso, non danno in alcun modo un senso di banalità o poca attenzione: è dopo uno studio accurato e lunghissimo che si giunge alla semplicità, al minimalismo appunto.

 

3.0 - La cucina DREAM 03 Scavolini:

 

Sulla base del catalogo Scavolini e del sito dell’azienda intendo ora analizzare nello specifico  la cucina Dream (design Vuesse), cucina che fa parte del programma Happening e che propone tre varianti, tre modelli diversi tra loro per colore, disposizione e realizzazione. Il modello di cucina che analizzo è il modello 03Dream, con ante in laminato antracite, colore opaco grigio e bianco, con bordi in alluminio e con maniglie a ponte a tutta lunghezza. Il catalogo descrive questo ambiente come “un ambiente volutamente ricercato e raffinato”.

 

MODELLO 03 DREM (SITO SCAVOLINI)

 

Naturalmente questo modello viene adattato di volta in volta allo spazio a disposizione, proprio perché come si legge in Normanni “l’ambiente domestico è precondizione e risultato del processo significante dell’arredare” (Normanni, 2002: 111): nell’adattare questo modello agli spazi a disposizione, i disegnatori devono modificare il progetto originale, cercando però di mantenere le linee fondamentali del disegno e lo stile del modello.

Spesso la cucina che ne risulta è molto diversa rispetto all’originale, ma Scavolini produce cucine componibili, che vengono e devono essere adattate allo spazio preesistente (a dove sono collocate le prese della luce, del gas, dell’acqua, ecc): l’idea di personalizzare lo spazio, di disegnare la propria cucina, è la forza del marchio e l’immagine che l’azienda stessa vuole trasmettere, ma è evidente che personalizzare significa cambiare delle impostazioni stilistiche generali, che spesso finiscono col far perdere il disegno originale e lo stile su cui si voleva puntare, per finire con una cucina totalmente diversa e che magari non ci piace neanche più tanto.

Ma la “colpa” non è dell’azienda: i modelli che propone da catalogo sono meravigliosi, collocati in spazi enormi, con luci stratosferiche, che rendono l’ambiente futuristico; non è di certo “colpa” dell’azienda se poi il soggetto che personalizza la sua cucina e l’architetto del rivenditore fanno un lavoro pessimo (!). Leggiamo sul sito internet che i singoli rivenditori collaborano sempre con l’azienda e che vengono formati continuamente al fine di realizzare i bisogni e i desideri dei clienti, ma nessuno può garantirci la soddisfazione totale se andiamo a modificare le impostazioni originarie.

Per questo, anche se possiamo avere dei dubbi riguardo le modifiche apportate durante la fase d’adattamento, tutto sommato l’ambiente che si apre davanti a noi conserva gran parte dell’idea e dello stile proposti all’inizio: le linee semplici, allungate delle maniglie, dei cassettoni, dei piani, della cappa; la cucina è tutta sviluppata in orizzontale e mira a ricreare per le sue impostazioni un ambiente minimalista, funzionale e ricercato allo stesso tempo.

 

3.1 – Fattitività del modello 03Dream Scavolini:

 

Da questo momento focalizzo la mia attenzione sul concetto di fattitività di questo prodotto ed ambiente, vorrei vedere in che modo si sviluppa e se è reale la funzionalità di cui tanto si vanta l’azienda, vedere se questi oggetti d’uso, singolarmente e nel loro rapporto interoggettivo, ci permettono davvero di completare le nostre azioni quotidiane, se davvero facilitano queste azioni o le complicano. Capire come si relazionano le varie parti della cucina mi permetterà in seguito di analizzare l’intimità creata, dato che una cucina prima di tutto deve essere funzionale e ben costruita per diventare un ambiente caro a chi la vive e soprattutto intimo.

Parto per questo dal testo di Michela Deni Oggetti in azione, dove viene introdotto fin dall’inizio il concetto di fattitività, come il risultato del rapporto tra funzionalità comunicativa e operativa di un oggetto. L’ipotesi che Deni porta avanti è che ogni oggetto d’uso ha delle potenzialità, come processo di significazione, di influenzare e prescrivere azioni e pratiche d’uso e quindi anche di modificare le relazioni intersoggettive di coloro che si trovano a usare tali oggetti, o semplicemente in presenza di questi.

Gli oggetti d’uso infatti quasi sempre e inconsapevolmente ci impongono azioni inevitabili a causa dell’usabilità o utensilità, inscritta nella loro forma e struttura, nei materiali che lo compongono, nei suoi colori, cioè nella sua interfaccia comunicativa che interagisce con il soggetto operatore. Quando un oggetto funziona bene non ci accorgiamo nemmeno che esso è in grado di svolgere a pieno il suo compito. Per cui l’analisi oggettuale predilige studiare quei casi in cui subentrano errori progettuali o disfunzioni, che impediscono il corretto utilizzo dell’oggetto.

Il concetto di utensilità ci è molto utile: questa categoria semantica oppone l’oggetto funzionale a quello disfunzionale, il primo svolge con efficacia l’azione per cui è stato progettato, il secondo invece non funziona bene per diversi motivi. Nel primo caso ci chiediamo come accade che un oggetto stimoli i processi d’azione adeguati, a partire dagli stadi d’azione virtuali inscritti nella sua struttura e rappresentati dalla sua morfologia. Nel secondo caso invece ci chiediamo perché questo sia disfunzionale? La sua disfunzionalità può essere causata da un conflitto tra funzionalità comunicativa e operativa, oppure da una semplice difficoltà di interpretare l’oggetto (e la sua funzione comunicativa) o dal suo cattivo funzionamento (funzione operativa) (Deni, 2002: 12).

In entrambi i casi si parte dal presupposto per cui esistono alcune tracce nell’oggetto che sono più significative di altre nella relazione tra oggetto e soggetto, tracce, indizi del suo corretto uso, o meglio marche enunciative.

Compare allora il concetto di affordance: le affordance di un oggetto sono i suoi inviti all’uso, ed indicano le caratteristiche morfologiche degli oggetti che invitano ad usarli in un modo particolare e a compiere certe azioni piuttosto che altre, secondo la regola per cui la forma segue la funzione (Gibson, Norman).

Le affordance (simili alle pertinenze morfologiche definite da Prieto) “sono in un certo senso oggettive, reali e fisiche, al contrario dei valori e dei significati che sono considerati soggettivi, apparenti e mentali. Ma, a tutti gli effetti, un’affordance non è né una proprietà oggettiva né una proprietà soggettiva oppure può essere entrambe, se volete.” (Gibson, 1979: 129 trad. in Deni, 2002: 15). Gibson vuole farci intendere che le affordance sorpassano la dicotomia soggettivo/oggettivo in quanto sono un fatto sia dell’ambiente sia del comportamento dell’osservatore. L’affordance non è una proprietà ma “una relazione attivata tra l’oggetto e il meccanismo che interagisce con esso. Il medesimo oggetto può dimostrare diversi tipi di affordance nei confronti di individui diversi. “ (Norman, 1998: 128, 129 tr.it). Qui Norman vuole farci capire che esistono affordance reali e percepite: “il design riguarda entrambe, ma le seconde sono in grado di stabilirne l’usabilità” e “riguardano più le convenzioni che la realtà” (Norman, 1998). Concordiamo con Deni (2002) quando afferma che il concetto di affordance resta comunque un concetto parziale perché non permette di capire in cosa consistono le potenzialità d’uso di un oggetto né attraverso cosa un oggetto arriva a manifestarle.

Qualsiasi oggetto costruisce e seleziona il proprio utente modello attraverso l’organizzazione degli elementi che compongono la sua morfologia e attraverso le marche enunciative (che consentono tra l’altro di riconoscere il progettista implicito, l’industria o la scuola di progettazione nello stile, le concezioni sociali, culturali, ecc). Dunque ogni oggetto funziona come un testo, luogo di interazione ed esistenza di autore modello e lettore modello (Eco, 1979) e l’oggetto è il risultato di una strategia enunciativa complessa.

Per Norman l’oggetto è un sistema, in cui convergono il modello concettuale del progettista e il modello concettuale che l’utente sviluppa a proposito dell’oggetto e del suo funzionamento: un modello concettuale adeguato è quello che ci permette di prevedere ogni effetto dell’azione che ci troviamo a compiere (gli utensili hanno modelli concettuali più semplici rispetto agli oggetti tecnologici).

L’interazione con il sistema (l’oggetto) è il momento in cui convergono i due modelli concettuali del progettista e dell’utente: un buon progetto prevede che il modello concettuale del progettista corrisponda a quello dell’utente, nel caso contrario saremo di fronte a errori frequenti.

Prima di interpretare un oggetto lo percepiamo: la percezione è antecedente all’inferenza semiotica, è un processo di semiosi primaria prodotta non solo da segni ma anche da oggetti, che tramite i loro inviti all’uso attivano la percezione delle sue caratteristiche costitutive, più o meno oggettive per una data cultura.

E’ importante però introdurre delle categorie di suddivisione degli oggetti a partire da alcuni aspetti percettivi e funzionali che li caratterizzano: un esempio di classificazione può essere quella di Violi (in Deni 2002), per cui gli oggetti possono distinguersi in 3 categorie: di BASE, SOVRAORDINATA, SUBORDINATA.

 

CATEGORIE

DI BASE                       SOVRAORDINATA                   SUBORDINATA

       (es. sedie, tavoli)                                   (es. mobilio)                            (es. sedia o tavolo particolare)

 

In caso di ambiguità gli indizi migliori sono quelli che risultano più caratterizzanti per tale categoria; le categorie sovraordinate hanno pochi indizi in comune, quelle subordinate troppi; le categorie di base sono le più usate: se si considerano queste categorie i programmi d’azione presupposti dagli oggetti sono in gran parte gli stessi (es. per i vari spazzolini il PN è sempre lavarsi i denti) e le variazioni morfologiche di ogni oggetto (es. spazzolino specifico) possono determinare attribuzioni assiologiche diverse o, sul piano funzionale, delle diverse microsequenze gestuali.

Per riconoscere a quale categoria appartiene un oggetto il rapporto forma-funzione è determinante: è necessario distinguere tra i tratti percettivi, che dipendono dalla configurazione morfologica dell’oggetto, e gli aspetti funzionali dell’oggetto, che rappresentano lo scopo dell’oggetto, codificabili da una data cultura e fortemente discriminanti per definire lo stesso. I tratti percettivi non hanno a che fare con la funzione dell’oggetto, ma ne permettono la riconoscibilità; i tratti funzionali sono quelli costitutivi dell’identità degli oggetti, sono proprietà sovraordinate rispetto a quelle percettive, e sono attribuibili all’oggetto anche quando questo è rotto.

In alcuni casi un oggetto non viene ben interpretato rispetto le sue proprietà funzionali originarie perché collocato al di fuori del contesto d’uso e nella situazione specifica acquisisce proprietà funzionali e percettive diverse, perché risemantizzato in base al contesto: l’oggetto viene allora “bricolato” a partire dai tratti morfologici-percettivi o funzionali e “si sorpassa il PN di base dell’oggetto per realizzare un PN d’uso, eletto a nuovo PN di base” (Deni, 2002: 22).

Dal punto di vista della narratività, l’approccio metodologico di Greimas per interpretare gli oggetti è determinante: egli studia gli oggetti a partire dai programmi gestuali e dalle sequenze d’azione previste dagli stessi. Al di là del saper-fare dell’utilizzatore, esiste un saper-fare inscritto nella competenza dell’oggetto specifico: gli oggetti da una parte prescrivono un saper-fare negli utenti e dall’altra possiedono un saper-fare, attraverso cui compiono l’azione (es. oggetti performativi come le fotocellule). Quando a un oggetto si delega la competenza avviene allora un debrayage attoriale, cioè lo spostamento di un saper-fare da un attore ad un altro, in questo caso l’oggetto stesso. L’oggetto tecnico delega ancora la competenza al soggetto dell’azione, quello tecnologico propone la competenza debrayata all’oggetto e il soggetto diviene sempre più incompetente. (Deni, 2002: 24,25).

Nel quadro raffigurato viene a modificarsi la distribuzione dei ruoli assunti da oggetti d’uso e utenti nelle diverse pratiche d’azione; gli oggetti da attori non umani diventano soggetti competenti in relazione all’uomo, una sorta di aiutanti o, a seconda dei casi, di antisoggetti.

La fattitività di un oggetto è la sua capacità potenziale di comunicare le modalità d’uso, mettendo in atto delle sequenze d’azione effettive (nel caso di oggetti performativi) o provocandole (dimensione fattitiva); la fattitività deriva comunque dalle modalità del far-fare. “Ogni relazione fattitiva presuppone 2 soggetti distinti: un soggetto modale (l’oggetto d’uso) e un soggetto del fare (utente), entrambi dotati di un percorso narrativo proprio. Il soggetto modale ha una competenza pragmatica virtuale, attivata grazie alla performanza cognitiva del soggetto del fare (la sua interpretazione e il suo uso). L’oggetto d’uso (livello pragmatico) dunque, attraverso alcune sue caratteristiche morfologiche, induce l’utente a capire come usarlo (livello cognitivo), attivando così una competenza altrui” (Deni, 2002: 27).

Come già accennato, il luogo di interazione tra l’utente, l’oggetto e l’azione è l’interfaccia, distinta in interfaccia-soggetto e interfaccia-oggetto (es. la prima può essere il manico di un coltello, la seconda la lama dello stesso). “Le interfacce, organizzando la funzionalità comunicativa di un oggetto, determinano in gran parte la sua funzionalità operativa” (Deni, 2002: 29).

Il contratto che viene a stabilirsi tra oggetto e soggetto consta essenzialmente di due momenti distinti e complementari: la presenza fatica dell’oggetto e il suo uso, due momenti della fattitività nella dimensione narrativa. “La sola presenza dell’oggetto può modificare lo statuto dell’utente già a partire dalla relazione di giunzione che si realizza dalla funzione fatica presente in molti oggetti: l’oggetto diventa il soggetto che seduce e che si fa desiderare. Poi l’uso effettivo dell’oggetto implica una relazione determinata e articolata in uno stato di congiunzione o disgiunzione all’interno del processo in atto, ma in entrambi i casi lo stato di giunzione che lega soggetto e oggetto è conseguente all’accettazione implicita e individuale del contratto enunciativo proposto dall’oggetto”(Deni, 2002: 32).

PRESENZA FATICA    USO

CONTRATTO NEL SUO ASPETTO INIZIALE                            PRATICA D’USO

                                                             E DI CONTATTO

 

 

 

L’articolazione della dimensione fattitiva proposta da Deni in Oggetti in azione presuppone 4 livelli di fattitività negli oggetti, spesso fortemente correlati e dipendenti:

 

 

1.                       oggetti manipolatori nella relazione con il soggetto che li usa;

2.                       oggetti che strutturano i processi d’azione del soggetto utilizzatore;

3.                       oggetti che costruiscono un contesto ambientale in relazione ad altri oggetti (dimensione interoggettiva);

4.                       oggetti che modificano le relazioni intersoggettive e condizionano le relazioni tra i soggetti.

 

Alla luce di quanto introdotto fin’ora, cerco di analizzare la cucina 03Dream Scavolini, soprattutto gli elementi costitutivi (oggetti d’uso) dal punto di vista della fattitività e delle funzioni comunicativa e operativa.

La funzionalità è una caratteristica centrale dei modelli Scavolini: è proprio grazie alla sua funzionalità, alla sua straordinaria organizzazione, che ci è permesso di sfruttare al meglio il nostro tempo e persino di divertirci in cucina, mentre si cucina. Una funzionalità verificabile e verificata, come ci viene sempre ricordato e garantito sul sito (qualità certificata, semplicità d’uso, design essenziale e adatto a comunicarci le azioni che corrispondono ad ogni oggetto), tanto più che Scavolini si è concentrata anche al fine di proporre modelli di cucine adatti anche ai disabili, tanto il suo lavoro è funzionale. E certamente Scavolini ha raggiunto livelli ottimali per quanto riguarda l’uso delle sue cucine: la fattività dei suoi elementi, le potenzialità d’uso inscritte nei suoi componenti e presenti nelle interfacce, che intuitivamente ci guidano ad un loro corretto utilizzo.

E’ facile scorgere le marche enunciative, ad esempio delle maniglie dei cassetti, sia orizzontali sia verticali, del forno, ecc, e lo è, non soltanto perché siamo abituati ad aprire i pensili della cucina a quel modo, ma anche perché, come direbbe Norman, le sue parti hanno una buona visibilità, cioè ogni singola parte dell’oggetto funzionale all’azione è visibile e trasmette il messaggio giusto (tira per aprire), senza la necessità di ingombrare il design e la funzione comunicativa con scritte o simbologie varie.

Ma non solo: le affordance, gli inviti all’uso delle maniglie sono aiutati dalla presenza di alcuni vincoli, di diversa natura: vincoli fisici (non è possibile aprire uno sportello o un cassetto in altro modo), vincoli culturali (rispettano una convenzione culturale precisa), semantici (il nostro scopo è aprire quindi bisognerà tirare) e persino logici.

 

PARTICOLARE DELLE MANIGLIE IN ALLUMINIO A DIMENSIONE VARIABILE

 

 

Ad evidenza di ciò basta osservare con quanta naturalezza chiunque inconsapevolmente tira la maniglia per aprire il cassetto o lo sportello: l’inconsapevolezza operazionale è un’ottima verifica per capire se un oggetto è davvero funzionale.

Dunque i progettisti di questa cucina sembrano conoscere le teorie di Norman per cui ogni oggetto deve prevedere in sé la possibilità di errore perché prima o poi verrà commesso, e per cui è necessario ridurre al minimo tali probabilità di errore, avvalendosi di corrette formulazioni di inviti all’uso e dei vincoli appena detti. E se tale affermazione è generalizzabile alla  maggior parte degli oggetti di questa cucina, certamente non è assolutizzabile per la totalità di questi.

In questo genere di oggetti, quasi sempre la forma, l’interfaccia dell’oggetto, sottolinea e esplica la funzione dell’oggetto stesso: come nelle maniglie, dove i tratti percettivi implicano gli aspetti funzionali. Inoltre è propriamente detto che per nessuno degli oggetti presenti in questa cucina è possibile effettuare una risemantizzazione contestuale: il programma d’azione di base resta sempre lo stesso e per tutti i soggetti che lavorano, anche per la prima volta, in cucina.

Ma esistono alcuni casi limite, alcuni oggetti che non subito è chiaro usare ed interpretare in modo corretto.

Considerati i quattro livelli della fattitività e le quattro tipologie di oggetti d’uso descritti da Deni, posso dire che gli oggetti presenti in questo modello non sono mai oggetti manipolatori, dove il soggetto-utente si trasforma in oggetto di fronte all’oggetto performatore o totalmente tecnologico. In questa cucina la tecnologia è relegata agli elettrodomestici, che naturalmente non sono parte del modello ideato da Scavolini e quindi non vengono da me presi in considerazione. Gli oggetti sono invece elementi che strutturano i processi d’azione dell’oggetto utilizzatore e che tramite la loro dimensione interoggettiva determinano le diverse valorizzazioni inscritte nel prodotto Scavolini e quindi anche le relazioni intersoggettive.

Sono tutti oggetti tecnici e non tecnologici: prescrivono azioni specifiche a chi li usa ma non sono loro i soggetti attivi delle azioni: in quanto oggetti in azione, essi per essere usati hanno bisogno dell’uomo, agente attivo sull’oggetto, pur essendo a volte gli stessi oggetti a diventare soggetti agenti, che guidano l’utilizzatore, facendogli eseguire un percorso preordinato, basato sulla segmentazione delle sue azioni, poste persino in sequenza gerarchica tra loro rispetto allo scopo. Anche se l’oggetto compie un’azione, lo fa sempre attraverso chi lo usa: è una macchina pigra, che va aiutata a funzionare.

Tra gli oggetti che non vengono annoverati tra i più intuitivi all’uso, nel modello Dream compaiono le maniglie delle vetrinette poste sopra la zona lavello.

 

LA MANIGLIA DELLE VETRINE

 

Queste maniglie sono molto più piccole e sottili rispetto alle altre, persino di conformazione diversa: presuppongono l’uso delle dita e del palmo della mano, che possono impugnarla da sotto o da sopra (sarebbe meglio da sopra, ma chi può capirlo se non dopo un uso ripetuto?). Sono maniglie particolari perché particolare è l’apertura di queste vetrine e dunque la sequenza d’azioni presupposta: non dobbiamo tirare verso di noi (come abbiamo fatto con tutte le altre maniglie), ma tirare verso l’alto, perché la specificità di queste vetrine è quella di aprirsi verso l’alto al fine di proteggere l’utente da colpi alla testa, come avviene spesso in cucina quando ci si dimentica degli sportelli in alto aperti.

 

 

PARTICOLARE DELLE VETRINE

 

Questo sistema di apertura è certamente ricercato e funzionale, ma le prime volte in cui si usano tali sportelli – per carenza di marche enunciative e funzionalità comunicativa - non si sa bene verso dove tirare, quanta forza imprimere al movimento, e si ha sempre paura di rompere lo sportello, reso all’aspetto più fragile dalla presenza del vetro.

Con l’uso diventa automatico il movimento da compiere, ma certamente c’è alla base dell’oggetto specifico una difficoltà comunicativa riguardo alla funzionalità operativa di questo tipo di apertura: funzionalità comunicativa e operativa non collaborano, non è immediato percepire la fattitività e il movimento inscritto in quella particolare maniglia. Forse, ricorrendo a qualche semplice simbologia, (ad esempio ad una freccia verso l’alto) sarebbe più facile capire il corretto movimento da compiere. I vincoli fisici circoscrivono le operazioni possibili e sono facili da interpretare (se spingiamo verso di noi l’anta non scorre, si oppone al nostro movimento), ma ciò non ci dice molto riguardo a cosa provare alternativamente (si va per tentativi, con il terrore di rompere il meccanismo di scorrimento).

La colonna forno, invece, è collocata in modo funzionale: avere il forno ad un’altezza tale ci permette di sforzare di meno la schiena e di assumere posizioni più corrette per la nostra salute; il sistema per la raccolta differenziata, resa quasi impossibile nelle cucine tradizionali, in cui non era in alcun modo contemplata e che di solito proponeva un unico scomparto-bidone, in questo modello è al contrario prescritta: abbiamo sotto il lavandino un cassetto, diviso in tre vani, con maniglie (utili al fine di trattenere tre diversi sacchi dell’immondizia o anche per essere comodamente estratti), che ci costringono a dividere l’immondizia per generi. Siamo di fronte ad una cucina moderna e intelligente, che senza grandi sforzi ci permette di fare la cosa giusta, diversificare la spazzatura e salvaguardare l’ambiente; l’oggetto ci fa-fare qualcosa a cui solitamente rinunciavamo per egoismo personale e il nostro abituale non adempiere a tale obbligo morale è risolto: siamo cittadini che amano e rispettano l’ambiente.  Latour (1993, 1998) a questo proposito parla di “pratica delegata”, partendo dalle sue analisi del groom (la pompa di chiusura della porta ), dei dossi artificiali, delle cinture di sicurezza nelle automobili e dei portachiavi degli alberghi: tutti questi oggetti permettono ai soggetti di comportarsi adeguatamente in ogni situazione, perché “traducono un’azione da un attante (umano) a un altro (un oggetto) attraverso un processo di delega che trasferisce un’ingiunzione morale o sociale a un oggetto” (Deni, 2002: 43). Tale delega fa sì che le chiavi dell’albergo vengano restituite perché troppo pesanti, e nel nostro caso,  ci obbliga a praticare la raccolta differenziata.

 

IL BIDONE PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

 

 

E grazie alle scelte progettuali che determinano specifiche relazioni interoggettive e intersoggettive, siamo ancora bravi e silenziosi utenti in cucina, persino durante la preparazione dei cibi: infatti i cassetti di questa cucina non ci permettono di lasciare aperti i cassetti perché si chiudono da soli e senza fare rumore; così la cucina è sempre in ordine e, da brava aiutante, compie persino azioni per noi, ci facilita la vita, non ci ingombra mai il passaggio e ci fa apparire agli occhi di tutti come perfetti e ordinati, silenziosi e attenti utenti dell’ambiente.

I cassetti della cucina sono molto interessanti ancora per altri motivi: infatti sono molto capienti e resistenti, possono reggere diversi chilogrammi e per questi motivi permettono che ad esempio tutta la nostra batteria di pentole stia all’interno di un solo cassetto. E’ facile sapere dove sono le cose in ogni momento, certamente non perdiamo più tempo ad aprire tutti gli sportelli per cercare dov’è una padella, ma è davvero così utile? Se prima perdevamo tempo a cercare le cose, ora lo perdiamo a tirarle fuori, perché se ci stanno tutte in un cassetto così profondo e capiente, è anche vero che ci stanno perché sovrapposte. E’ davvero più funzionale? E’ un sistema organizzativo efficace dal punto di vista dell’ordine (formale), ma non dal punto di vista sostanziale/funzionale, perché effettivamente non ci fa risparmiare del tempo. La sequenza di azioni che dobbiamo compiere per portare a termine il mostro compito (prendere una pentola) non si semplifica affatto, ma paradossalmente si allunga e per portare a termine il PN principale dobbiamo mettere in atto tanti piccoli PN d’uso. L’oggetto d’uso è funzionale soprattutto se ci facilita questo processo di  microsequenze gestuali e non solo se ci permette di capire come funziona.

 

IL CASSETTO PORTA PENTOLE

 

 

 

Ancora,  il cassetto porta posate è stato studiato per contenere e dividere tutte le posate: a differenza di quello per contenere le pentole, risulta più efficace, perché ci permette di dividere tutto e dare ordine, un ordine che facilmente si può ristabilire ogni volta, perché i diversi vani ce lo permettono. In questo caso le microsequenze di gesti si semplificano moltissimo e sulla base di ciò possiamo riconoscere intuitivamente la funzionalità inscritta nell’oggetto.

 

 

IL CASSETTO PORTA POSATE

 

Infine vorrei concentrarmi sulla colonna porta cibi: è estremamente funzionale e i suoi tratti percettivi sottolineano la sua logica organizzativa e il suo scopo (contenere in modo facile e ordinato i cibi).

 

                                                              

PARTICOLARE COLONNA DISPENSA

 

 

A differenza del cassetto per le pentole, prendere un oggetto è molto semplice, perché non si impone una sovrapposizione in profondità degli oggetti, ma i diversi cesti, anche grazie alla visibilità, garantiscono un facile reperimento di tutto. Certamente i cesti più alti non saranno facili da raggiungere per chiunque, ma  in generale la cucina è abbastanza bassa e allungata e per questo permette un agile accesso a tutti.

Dunque Scavolini ha realizzato nel modello Dream 03 una cucina moderna, semplice e funzionale, una cucina pratica e allo stesso tempo raffinata, che attraverso alcune sue caratteristiche morfologiche (le sue forme, i colori, i materiali usati) induce l’utente a capire come usarla in modo abbastanza chiaro ed è in grado di far-fare quasi sempre al soggetto l’azione che vuole fargli fare, e dal punto di vista semiotico ciò è interessante perché tali aspetti/qualità vengono comunicati attraverso una configurazione dell’ambiente determinata dalle caratteristiche degli oggetti.

 

 

 

4.0 - L’intimità dell’abitare:

 

L’analisi fin qui condotta ci permette di affrontare un’altra tematica fortemente connessa all’analisi fattitiva dell’ambiente cucina. Infatti, partendo dal saggio di Maria Elena Normanni sull’abitare e dalle considerazioni cui siamo giunti, vorrei cercare di capire quale tipo di intimità viene prescritto dalle cucine Scavolini e come si determina tramite la pratica oggettuale. Se da una parte il capitolo precedente ci ha permesso di mostrare che effettivamente la cucina Dream 03 è stata realizzata tenendo conto del rapporto tra funzione operativa e funzione comunicativa e che la sua funzionalità ci permette di percepire l’ambiente come un aiutante nelle nostre faccende domestiche, ciò è stato utile per arrivare al tema dell’intimità, perché soltanto quando un ambiente ci risulta “amico” ed effettivamente ci facilita la vita possiamo sentirci a casa e quindi percepire quel senso di intimità e protezione che, vedremo, è alla base dell’etimologia del termine stesso “abitare”.

Nel saggio Normanni parte da un’analisi sul concetto di intimità e sul significato di “abitare”: per Martin Heidegger (1976) il termine wohnen (abitare) è correlato al concetto di bauen (costruire) e di essere (ich bin – io sono). Per cui abitare significa costruire, dare forma, ma anche e soprattutto abitare nella pace. Persino nella tradizione latina è possibile ritrovare tali etimologie ricorrenti, connesse al  significato di abitare: per cui è verificabile la stretta relazione tra l’abitazione e l’idea di riparo, ma anche il tema della dimensione fattitiva, manipolativa dell’abitare.

Se gli elementi più profondamente connaturati all’atto di abitare sono dunque due (casa come rifugio e casa come ambiente di vita costruito e manipolato) è importante per l’autrice approfondire queste relazioni.

E’ naturale e intuitivo per noi capire il primo significato di casa, quello di casa come rifugio, come momento di isolamento e di sicurezza, dove ritrovare e conoscere se stessi, dove ritornare: è come se la casa costituisse un’estensione del nostro corpo, tanto da identificarci in lei. E ciò diventa evidente ad esempio quando subiamo furti o invasioni esterne e ci sentiamo violati noi stessi, violata la nostra persona; oppure quando pensiamo alla casa di un defunto e al fatto che essa ci parla di lui. Siamo circondati da questo continuo antropomorfismo della casa e al suo rimando all’intimità: intimità intesa come ambiente vissuto ed interiorizzato, come incarnazione nello spazio di legami e relazioni, ma anche come rimando degli oggetti al contatto umano, che li rende vivi ed animati.

Ricalcando il percorso suggerito da Normanni (2002), riproponiamo alcuni autori che ci danno suggerimenti importanti per il concetto di intimità che vogliamo affrontare. Il concetto di STIMMUNG (intimità) è l’assunto fondamentale per cui la casa è l’uomo: come dice Praz (1981), “dimmi come abiti e ti dirò chi sei” (un po’ come in Floch e come viene sottolineato nel sito stesso della Scavolini che parte dalle case per farsi un idea di chi le abita e suggerire quale cucina gli si addice di più). La casa è la proiezione dell’io e secondo l’autore il senso dell’interno è nato in tempi relativamente recenti: nel Medioevo fiammingo viene per la prima volta espresso il significato di intimità della casa, nei quadri di Jan Van Eyck e Vermeer. Ciò non lo ritroviamo nei quadri rinascimentali, dove infatti predomina l’elemento architettonico. Ma che cosa in questi quadri ci fa sentire l’intimità? La presenza e il continuo rimando al contatto umano, all’uso diurno e amoroso degli oggetti. “In questi ambienti si respirano le relazioni tra persone, ma anche tra persone e cose” (Normanni, 2002: 94).

Per quanto riguarda il secondo aspetto connesso all’abitare, le riflessioni di Franco La Cecla (1993) riguardo la “non istantaneità dell’abitare” sono senz’altro indicative: “l’abitare non è qualcosa di istantaneo, ma che si conquista e costruisce con il tempo” (La Cecla, 1993: 73). L’appropriarsi di un luogo implica infatti un processo reciproco tra identità e luogo, un insieme di pratiche culturali che permettono all’individuo o al gruppo di situarsi in uno spazio e identificarsi in esso, instaurando un senso di appartenenza (concetto di “mente locale” di La Cecla).

Inoltre l’abitare presuppone una separazione tra un dentro e un fuori: il fare mente locale significa rendersi conto di questa separazione. Per La Cecla, però, tale sistema viene messo in crisi dalla città moderna, regolarizzata ed igienizzata , dove lo spazio è sempre meno manipolabile e sempre più astratto, in quanto sempre più rigido, organizzato secondo criteri esterni e impersonali, indipendenti dagli individui. Ciò determina uno smarrimento di coscienza dei soggetti riguardo al nostro rapporto diretto di manipolazione e appropriazione con lo spazio.

In tutti i casi vengono sempre fuori queste due importanti componenti dell’abitare: la dimensione interiore dell’intimità e dell’affettività e la dimensione dinamica, attiva e interazionale, processuale, del nostro vivere lo spazio.

Da un punto di vista oggettuale, secondo Normanni noi dobbiamo ancora però comprendere la potenza degli oggetti, nel senso della loro diretta influenza sulla nostra vita, non solo perché questi influenzano fortemente i nostri stati d’animo, ma anche perché elementi della dimensione intersoggettiva soggetto-oggetto. I bambini capiscono meglio di noi che il mondo materiale è un terreno di continua sperimentazione e conquista: nel loro smontare e rimontare gli oggetti capiscono la loro importanza e le loro potenzialità, non considerandoli solo per la loro semplice funzione d’uso o per il loro aspetto materiale.

La relazione soggetto-oggetto è molto più complessa di quanto ci è dato pensare: non è il soggetto che investe valore nell’oggetto e gli dà un anima. Pensiamo agli oggetti rituali africani, ai feticci, che “non solo rappresentano la divinità, ma sono una sua rappresentazione” (Normanni, 2002: 99). Gli oggetti rimandano ad altro, va riconosciuta la loro alterità. Ma ci sono momenti specifici in cui l’emergenza della loro vitalità si rende manifesta: pensiamo ancora all’oggetto di un defunto. In questo caso ricorriamo alla metafora-mediazione del ricordo, perché questo è il massimo che la nostra cultura può sopportare, cioè che l’oggetto sia portatore di memoria, non riconoscendo l’alterità all’oggetto.

Ed è questo che differenzia il mondo moderno da quello indigeno: la continua e ripetuta rimozione dell’alterità delle cose, rimozione che diventa ancora più evidente se consideriamo la produzione industriale degli oggetti, che toglie originalità e singolarità ad essi. Lo stesso uso ne risulta trasformato: all’uso locale si contrappone quello funzionale, generalizzato e prefissato delle società moderne; l’oggetto indigeno si esplica all’interno del rituale, quello moderno si distacca da tutto, tutto chiuso nella sua funzione, già data, che costituisce il suo inizio e la sua fine. Per cui, come afferma Normanni,  “l’oggetto industriale viene deprivato di ogni capacità relazionale con chi lo usa” (diverso grado di accettazione di questa relazione simbolica ed efficace).

Cosa cambia però nel modo di abitare della società moderna? Secondo Normanni  sono la velocità e il cambiamento i due elementi centrali della modernità, che modificano anche le nostre modalità abitative, in tre diversi modi:

 

1.   temporaneità della residenza (cambiamo più volte abitazione e ciò comporta una frequente frammentazione del legame fisico ad un luogo, con seguenti strategie e pratiche di risposta)

2.   movimento di dislocazione e riaggregazione (esperienze globalizzanti, non più locali, eventi a distanza, individui interagenti non più presenti contemporaneamente nello stesso luogo e conseguente dinamica di riaggregazione su base fiduciaria)

3.   diffusione delle tecnologie (che da una parte rendono la casa più chiusa in sé – casa bunker – e dall’altra più aperta e in costante contatto con l’esterno)

 

Tutto ciò determina una costante ridefinizione dello spazio della Stimmung.

 

L’apporto di Baudrillard (1972) alla sintassi e alla pratica oggettuale è determinante secondo Normanni, perché egli per primo intuisce la necessità di fondare l’analisi degli spazi domestici in un’ottica di sintassi degli oggetti: è l’organizzazione spaziale degli oggetti, la loro distribuzione che consente di definire gli habitat e gli atteggiamenti pratici collegati. Può succedere che “gli oggetti non rimandino un’immagine omogenea di status: alcuni connotano uno status reale, altri uno status a cui si aspira” (Normanni, 2002: 105).

Egli poi dalle riviste di arredamento per primo coglie segnali divergenti: da una parte la ricerca/possibilità di personalizzazione, dall’altra la compresenza di tendenze stilistiche opposte (minimalismo, decorativismo, recupero antico, ecc.). Tali tendenze rappresentano modalità di emergenza di una ridefinizione complessiva dell’universo dell’intimità. Oggi, per Normanni, “sono cambiate le coordinate di riferimento dell’abitare” e così si riapre il gioco della “pratica quotidiana di determinazione dello spazio vissuto” (Normanni, 2002: 106).

Un altro importante apporto di Baudrillard (1968) all’analisi semiotica degli ambienti si basa sulla correlazione storica tra tipologia dell’arredamento e la struttura sociale: l’interno tipicamente borghese, costituito dall’insieme sala da pranzo e stanza da letto, sottolinea come questo rappresenti la struttura gerarchica e patriarcale della famiglia borghese. “Con il passaggio al “sistema funzionale”, l’ambiente domestico moderno si presenta destrutturato ma non ristrutturato e niente viene a sostituire il potere espressivo dell’antico ordine simbolico” (Normanni, 2002: 106). Questi spazi destrutturati trovano la loro giustificazione in ciò a cui servono e si svuotano della loro capacità di rimandare ad altro, all’universo affettivo a ad un ordine morale. “E quanto più procede questa riduzione/liberazione dell’oggetto limitatamente alla sua funzione, tanto più si spinge avanti questa tendenza alla componibilità, alla modularità e alla trasformabilità, fino a che i valori organizzativi e combinatori soppiantano definitivamente quelli simbolici e gli stessi valori d’uso. L’ordine morale viene sostituito da un ordine di tipo organizzativo. L’ambiente esteriorizzato dell’arredamento moderno si contrappone a quello interiorizzato dell’arredamento tradizionale: il valore dominante non è più quello del possesso e dell’intimità, bensì quello del controllo e dell’organizzazione” (Normanni, 2002: 107).

Ecco che Baudrillard propone un’analisi sintattica degli ambienti: negli arredamenti moderni gli elementi sono resi liberi; l’operazione che il sistema funzionale compie è dunque quella di ridurre tutto ad elementi che non valgono più in quanto tali, ma per il loro valore relativo di elementi che significano solo all’interno della reciproca opposizione, in quanto liberi e disponibili al gioco. A tale proposito l’autore propone un analisi delle “strutture d’ambiente“: colori, calore, materiali, forme e spazio: ad esempio il calore deriva per l’autore dall’opposizione caldo/freddo, nelle tonalità dei colori, delle materie e delle forme, per cui il significato emergerebbe solo nel contrasto; i materiali si basano sull’opposizione tra naturale/artificiale, ecc (Baudrillard, 1968).

L’ambiente domestico è precondizione ma anche risultato del processo significante dell’arredare: è carico di orientamenti potenziali, di possibilità multiple ma non infinite.

Nella sua analisi Normanni poi prende in analisi due importanti riviste di arredamento e studia in particolare il modo “faticoso” di definire l’intimità nel caso Ikea (riprendendo Floch), ma quello che ci interessa è fare delle considerazioni sulle conclusioni a cui giunge grazie a queste analisi. Infatti dalle riviste emerge la compresenza di almeno tre modelli di soluzione spaziale e d’arredo, che presentano elementi di disomogeneità persino al loro interno:

 

1.   spazi volumetrici e semivuoti scanditi da pannellature di mobili e contenitori trasformabili,   con colori neutri o totalmente bianchi, materiali brut;

2.      spazi stracolmi di oggetti, densi, colorati, di materiali eterogenei;

3.      spazi ibridi, ambienti minimalisti che fanno da contenitore ad un mix di stili eterogenei, armoniosamente fusi (nuovo eccletismo).

 

Queste riviste vengono studiate da Normanni secondo le categorie: caldo/freddo, funzionalità/espressività, naturale/artificiale, tradizione/tecnologia, ma risulta evidente che le tendenze dell’abitare rimandano fondamentalmente a due campi di valore: uno relativo all’universo intimo, interiore e personale (dove tutto è caldo e vicino, in quanto evoca una relazione), l’altro relativo a tutto ciò che è sentito come esterno, separato, finito in se stesso.

E tale discorso sull’abitare giustifica la compresenza all’interno dello spazio domestico contemporaneo di questa opposizione fondamentale intimità/funzionalità.

Ciò che viene proposto dalle riviste è “un idea un po’ romantica dell’abitare in cui la casa è vista come il luogo dove si condensano le contraddizioni della società moderna e dove l’individuo è tutto conteso tra il ricomporre le trame della propria affettività e identità ed il tuffarsi in una realtà tecnologica che lo affascina, ma che è da addomesticare” (Normanni, 2002: 115).

A questa lettura potrebbe unirsi quella per cui alla base dell’arredamento moderno c’è la confessione di un’impossibilità di qualunque stile e un profondo cambiamento nel significato di abitare: “le linee purificate degli oggetti minimali sembrano una sospensione di giudizio da parte dei designers, una rinuncia a uno stile definito, ricomposizione che solo il soggetto che abita può attuare, riallacciando i fili della frammentarietà e la dilatazione della propria esperienza. La ridefinizione dell’intimità sembra dunque spostarsi nella nostra società ad un livello strettamente individuale: l’individuo diventa designer del suo spazio e definisce la sua intimità. La ridefinizione dell’intimità passa attraverso il soggetto e le sue pratiche abitative” (Normanni, 2002: 116, 117).

 

La cucina ha un ruolo centrale all’interno di ogni abitazione: al giorno d’oggi, come sottolinea Normanni, con il passaggio al sistema funzionale, l’ambiente domestico viene destrutturato ma il ruolo che la cucina-sala da pranzo poteva avere all’interno di un’abitazione tipicamente borghese non è tanto cambiato. “Il centro di gravità nel buffet sottolineava la struttura gerarchica e patriarcale della famiglia e le relazioni tra oggetti e gli oggetti stessi rappresentavano le relazioni umane” (Baudrillard, 1968, tr. it.: 19); al giorno d’oggi invece le abitazioni sono sempre più “sfruttate”, al fine di riempire gli spazi nel miglior modo possibile, e sembra che sia scomparso l’interesse nel personificare i rapporti umani. Certamente la cucina e la casa stessa sono cambiate e stanno cambiando, ma la centralità dell’ambiente cucina è ancora evidente.

Nelle cucine Scavolini si tende a dare una voce a queste due e opposte tendenze: da una parte c’è il desiderio di rendere sempre più strutturato e funzionale, sempre più moderno e adeguato l’ambiente cucina, semplificando le forme, ricercando un design pulito, mai superfluo, per permettere anche all’ambiente più tradizionale e tradizionalista della casa di mutare forma; dall’altra però si vuole sottolineare ancora e ulteriormente la centralità di questo spazio, delle sue funzioni, allargando sempre di più le azioni e le operazioni permesse al suo interno, puntando ancora sulla famiglia e sui valori ad essa connessi, sul fatto che è la cucina l’ambiente di relazione per eccellenza, perché con i tempi moderni non vi è altro luogo nella casa se non la cucina appunto per parlare, confrontarsi, durante i pasti e nei momenti più intimi.

La cucina dunque, più che la casa stessa, è il luogo di isolamento e di sicurezza, il luogo più indicativo di chi vive quell’ambiente e più personalizzato, il luogo dunque più intimo, perché, come già detto, luogo di ristoro e di relazioni famigliari, di contrattazione e d’equilibrio, di intimità, come dice Heidegger (1976), dove abitare nella pace. E’ anche un luogo fortemente manipolabile, soprattutto, come è emerso dall’analisi, se la cucina è una cucina componibile Scavolini, una cucina che viene adattata alle singole esigenze spaziali, che propone moduli ripetibili ma personalizzabili. Ecco che inizia ad aver senso la frase di Praz (1981) per cui la casa è l’uomo e per cui è possibile capire chi siamo da dove abitiamo: è la stessa filosofia di Scavolini ed è straordinariamente evidente soprattutto se consideriamo la pagine del suo sito, dove è possibile effettuare una ricerca del proprio modello di cucina, del modello più adatto a noi, sulla base del tipo di abitazione in cui viviamo (international, fashion, night and day, new classic, high classic, nature, old italy e basic).

Quali sono allora le strategie dell’azienda volte a farci sentire che una cucina Scavolini è così intima? E’ senz’altro molto diversa dalle cucine rappresentate nei dipinti dei fiamminghi, ambienti che la Normanni ha definito come intimi. Dove compare il contatto umano, da dove si capisce che è un ambiente da vivere e che rispecchia le relazioni interpersonali? Perché il marchio ha puntato sull’immagine dei valori famigliari promuovendo cucine moderne, a volte persino minimaliste, che certamente non danno subito l’idea tradizionale di cucina?

Certamente non possiamo pensare ai pensili, alle vetrine, ai materiali come l’acciaio o il vetro come a materiali caldi o ad oggetti che, come i feticci indigeni, rimandano a qualcos’altro: siamo nel 2005 e la modernità dell’abitare ha destrutturato gli ambienti, ha svuotato di rimandi ad altro ogni oggetto d’uso a favore della tanto amata funzionalità. Certamente Scavolini, come abbiamo già notato, punta su materiali ricercati e quanto più possibile umani e calorosi (legni, materiali atossici, rispettosi dell’ambiente, intelligenti,ecc), ma col modello Dream 03 non siamo di fronte alla classica cucina di una volta, con il camino, il legno ovunque, i materiali grezzi ma resistenti, i colori caldi, ecc. Siamo di fronte ad un ambiente totalmente soggiogato dalla logica della funzionalità, dell’organizzazione dello spazio in modo utile ed intelligente. Qui gli oggetti non rimandano all’uomo e alle sue azioni, ma diventano comunque carichi di significati e di intimità, da almeno due diversi punti di vista:

 

1.             Scavolini ha realizzato talmente bene le sue cucine, in modo funzionale, semplice ma  ricercato, che non c’è più tempo da perdere nel ricercare le pentole tra gli scaffali, nel prendere gli ingredienti di qua e di là: tutto è organizzato alla perfezione, niente richiede più perdite di tempo, cucinare diventa veloce, fare persino la raccolta differenziata non è più faticoso. E tutto il tempo risparmiato grazie all’abilità organizzativa di questo ambiente possiamo investirlo meglio: insomma - per scelte progettuali e strategie di configurazione discorsiva (sito, pubblicità ecc.) - ne risulta che la funzionalità, la modernità e la tecnologia di Scavolini ci permettono di impiegare meno tempo a cucinare, ma più tempo in cucina, coltivando i rapporti famigliari e prendendoci più cura e in modo più amorevole dei nostri cari.

2.             Allo stesso tempo entra in gioco il fenomeno-possibilità della personalizzazione della cucina da parte del soggetto: Normanni aveva concluso il suo saggio parlandoci di come la ridefinizione dell’intimità oggi punti sul fattore individuale e sulla personalizzazione dell’ambiente abitativo da parte del singolo, l’impossibilità ormai di proporre soluzioni abitative univoche, modelli di intimità adatti a generi di persone o a tutti. Se l’intimità passa per la formula individuo, Scavolini lavora in questo senso: propone dunque cucine “uniche” per ricercatezza, fattezza e funzionalità, e adatte ad ognuno di noi.

 

Le cucine Scavolini dunque non rimandano ad altro fin dall’inizio: diventano tramite la personalizzazione e la vita vissuta elementi che rimandano ad altro, a ricordi, a cene, a momenti intimi. Quella che Scavolini promuove non è un’intimità preconfezionata: è l’intimità dell’universo creato dall’individuo e attorno all’individuo.

Anche il rapporto tra soggetto e oggetto non è del tutto simile a quello descritto da La Cecla (1993) riguardo all’oggetto industriale: la cucina Scavolini è per molti aspetti da considerarsi un oggetto industriale e per questo apparentemente chiuso nella sua funzionalità, privato di ogni capacità relazionale con l’individuo; in realtà, come si sforza a dimostrare efficacemente l’azienda, la funzionalità dell’oggetto Scavolini non è una fredda e chiusa funzionalità, perché è proprio grazie alla sua efficacia che il soggetto ha più tempo da dedicare a sé e agli altri. Per cui la cucina non è neutrale e semplicemente utile all’uso: è viva, animata, diventa un ambiente ricco di affettività, al punto che da semplice oggetto diventa soggetto aiutante del soggetto operatore. E’ grazie a lei che abbiamo vita più facile, è lei che attivamente ci aiuta a risparmiare tempo, il suo intervento non è passivo ma cooperativo. Non siamo di fronte a cucine supertecnologiche, dove il soggetto passivamente attende di ritrovarsi il piatto pronto di fronte: qui l’interazione soggetto-oggetto è ancora preponderante, ed evidente resta la centralità del soggetto operatore che domina il suo ambiente, ma è inevitabile sviluppare un senso di protezione e sicurezza all’interno di una cucina progettata a tua misura, che ti aiuta a vivere meglio.

Questi sistemi di valorizzazione emergono dalle pratiche di significazione degli elementi che ho considerato nell’analisi, (filosofia aziendale,  funzionalità degli oggetti) che mi hanno permesso di comprendere come si configura l’intimità, l’intimità specifica e propria di questa cucina.

Velocità e cambiamento, i caratteri della modernità che secondo Normanni modificano le nostre pratiche abitative e il nostro concetto di intimità, vengono compresi e sfruttati al meglio nella cucina Scavolini: proprio la velocità sta alla base del suo utilizzo e questo concetto di velocizzazione della vita e del continuo cambiamento viene in qualche modo inglobato e attutito nei suoi effetti nell’ambiente Scavolini. La velocità di vita diventa velocità di preparazione e più tempo libero da spendere al meglio (per le famiglie nelle relazioni, per i single per tutto il resto), il cambiamento diventa funzionalità al servizio degli stessi valori della tradizione. Una cucina Scavolini è “per sempre”, dal momento che come diceva Floch viene comprata in uno stadio maturo della vita: i suoi materiali sono splendidi ma resistenti, nuovi ma antichi, pratici ma raffinati, e destinati dunque ad accompagnarci per tantissimo tempo. Allora perché preoccuparci della temporaneità della nostra residenza visto che Scavolini in ogni caso ci seguirà ovunque? E perché temere la tecnologia se sfruttata bene e al nostro servizio? Cambiamo casa ma gli ambienti restano, la nostra cucina Scavolini resta un punto fermo e un punto dove riscopriamo sempre le nostre radici e noi stessi. E la stessa intimità ci segue: è la costruzione dell’immagine aziendale e la qualità materiale degli oggetti stessi a produrre questo effetto di senso, questa intimità che ci segue.

 

 

 

4.1 - L’intimità Scavolini:

 

Considerati infine i tre modelli di soluzione spaziale e di arredo, ritrovati dalla Normanni nelle riviste specializzate, e le categorie di analisi di un ambiente da lei proposte, cerchiamo di definire come si propone la cucina Scavolini Dream e di tirare le somme di quanto detto fin ora sull’intimità creata.

La cucina è senz’altro da ascrivere tra il primo genere di ambienti descritti: un ambiente minimalista, fatto di spazi volumetrici continui e semi-vuoti, “che interpreta nuove esigenze d’uso e di abitabilità : aree per la preparazione di cibi centralizzate, efficace organizzazione di vani di contenimento, grande agibilità delle diverse zone operative, soluzioni e design finalizzati all’espressione di attitudini personali e vita relazionale” (catalogo Scavolini).

Non è un ambiente denso di oggetti, o per lo meno non dovrebbe diventarlo, e non propone assolutamente una commistione di stili diversi: regna un'unica logica, quella del design semplice, pulito e trasparente, dove la semplicità comunicativa vuole esaltare quella operativa.

Propone certamente categorie opposte all’interno della sua fattura, come peraltro avevamo già visto: se per esempio consideriamo la categoria di caldo/freddo ci arrivano messaggi contrastanti ad esempio nei materiali e nella loro porosità (materiali caldi come il legno che “respira” della sua struttura, ma anche freddi come l’acciaio del lavandino, della cappa, del piano nel modello originale, delle maniglie, o il cristallo delle due vetrine sopra il lavello). Ciò genera la compresenza di effetti di senso opposti (caldo e freddo) che coesistono e collaborano alla costruzione dello stesso ambiente complesso e permettono agli abitanti dello spazio di vivere di volta in volta e valorizzare gli aspetti che desiderano.

Per quanto riguarda il colore sono certamente predominanti i colori freddi-neutri, che respingono o assorbono la luce (bianco, grigio, nero). Dal punto di vista delle tinte dunque prevale un effetto di senso più moderno, che punta a valorizzare la tecnologia e l’innovazione di questo ambiente.

Considerata invece la categoria funzionalità/espressività siamo ancora di fronte all’opposizione già incontrata tra la funzionalità della sua struttura e il rimando ad altro che acquisisce la stessa col tempo: funzionalità che diventa tradizione con l’uso continuo e il rimando alle esperienze di vita vissuta in questo spazio. Ancora la categoria naturale/artificiale ritorna: naturali e atossici molti materiali (legno, acciaio, vetro), artificiali e avveniristici altri (fibre sintetiche, laminato polimerico, ecc).

Si rafforza sempre di più l’isotopia del contrasto: nella cucina Dream 03 troviamo tutto e il contrario di tutto, caldo e freddo, naturale e artificiale, innovazione e tradizione e tutti gli elementi che fanno parte dell’ambiente vogliono avvalorare tale isotopia di continuo, sottolineare la presenza di questi semi e la loro opposizione, al fine di far emergere l’effetto di senso profondo di tutta la composizione.

Intimità e funzionalità non sono più un out-out, ma convivono nella cucina Dream, per quell’ideale romantico di cui parlava Normanni per cui le contraddizioni della società moderna vengono interiorizzate nell’abitazione e nella cucina, luogo dove restare affascinati dalla tecnologia e dalle possibilità di controllo e organizzazione, ma allo stesso tempo luogo che ci permette di tessere la nostra affettività in tutta sicurezza e intimità appunto.

Convivono, inoltre, anche per quell’impossibilità di definire uno stile dell’abitare moderno: il minimalismo dei designer è una sospensione di giudizio, una rinuncia alla composizione di uno stile definito, cosa che sarà il soggetto dell’abitare a fare, costruendo, manipolando, personalizzando il proprio ambiente. Ma va anche considerato, dal punto di vista ludico, come un fine a cui mirano i designer moderni. (v.valorizzazioni).

Dall’analisi dunque risulta che l’intimità di una cucina Scavolini è strettamente individuale: la mia cucina è intima per me, perché parla di me, della mia famiglia, delle nostre abitudini, conferendole spesso un aspetto molto più caotico e disordinato di quanto la linea pura non ammetta o prescriva.

Ma d’altronde la ridefinizione dell’intimità passa attraverso noi e le nostre relazioni e pratiche abitative, per cui è impossibile definire a priori cosa determini l’intimità del modello Dream Scavolini, quali elementi o disposizione di essi acuisca questa sensazione: solo l’uso, le tracce del nostro passaggio, le nostre modalità di relazionarci tra noi in cucina e con la cucina determinano la situazione particolare e l’intimità di questa cucina; certo è però che Scavolini realizza le sue cucine nella consapevolezza che le pratiche abitative e l’intimità non sono prescrivibili e, alla luce di ciò, la sua forza sta nella grande diversificazione dell’offerta, che resta comunque di alta qualità e funzionalità.

 

5.0 - Conclusioni:

 

I tre punti di vista applicati allo studio dell’ambiente cucina Scavolini mi hanno permesso di delineare i tratti salienti dell’abitare questo ambiente.

Applicando le categorie d’analisi proposte da Floch ho individuato l’utente modello delle cucine Scavolini e i valori inscritti nei vari modelli (esistenziali e ludici), valori che sono risultati inscritti anche nel modello Dream 03, oggetto specifico di quest’analisi. Applicando poi gli studi di Deni sul livello fattitivo degli oggetti, ho cercato di definire il ruolo attanziale complessivo della cucina Dream 03 e, tramite lo studio di alcuni suoi componenti in termini di funzionalità ed efficacia comunicativa, ho identificato il ruolo di aiutante che essa riveste nei confronti del soggetto operatore. Infine, l’analisi di Normanni e le categorie proposte da Baudrillard mi hanno permesso di capire tramite quali elementi della cucina (materiali, forme, colori, ecc) si sviluppa e prende vita l’intimità proposta da Scavolini e quali effetti di senso essa genera nel soggetto che opera in questo ambiente.

Questi tre punti di vista, inoltre, hanno fatto emergere per vie diverse la presenza costante e ripetuta di alcune isotopie, di tipo temporale e spaziale: rileggendo l’analisi della filosofia aziendale, del suo modello-cucina specifico, degli oggetti che costituiscono tale ambiente e della loro fattitività, e infine dell’intimità generata da esso, il tema della temporalità e della spazialità riappaiono frequentemente.

Attraverso l’analisi delle valorizzazioni inscritte nei prodotti Scavolini, avevamo notato quanto l’azienda miri a far convivere innovazione e tradizione, design moderno all’interno di un contesto classico come quello della cucina, impostata tutta sui valori della convivialità e sui rapporti umani.

Tutto il materiale studiato sull’azienda e sui suoi prodotti mira a mettere in evidenza tale dicotomia; la fattitività dei singoli elementi della cucina evidenzia l’estrema semplicità e funzionalità d’uso di questi ma sempre al servizio di valori antichi (famiglia, rispetto dell’ambiente, ecc); l’intimità generata è una continua pratica di negoziazione tra passato e futuro.

Passato, presente e futuro sono semi ridondanti, semi attualizzati e allo stesso tempo assiologizzati positivamente: il termine complesso “passato+futuro” viene costantemente affermato, sia nel testo verbale che nella morfologia stessa della cucina, ed entrambi vengono determinati euforicamente.

L’innovazione è positiva quanto lo è la tradizione ed entrambi servono, l’uno al servizio dell’altro.

Allo stesso tempo i termini contrari “qui e là”, “interno ed esterno”, “spazio topico ed eterotopico”, vengono attualizzati e determinati euforicamente: se pensiamo all’azienda, Pesaro è stato l’inizio di tutto, ma continua ad essere la sede dell’azienda e di tutte le sue sponsorizzazioni, nonostante le mire economiche portino l’azienda ad esportare i suoi prodotti all’estero; se invece pensiamo alla cucina, la tendenza ad includere all’interno dell’ambiente diverse e nuove attività, nuovi spazi e nuove possibilità di convivialità, non solo legate al momento del pasto (in quanto viene creato un ambiente funzionale alla preparazione dei cibi, ma anche esteticamente curato e ricercato, tanto da ammettere diversi usi dello stesso ambiente), risulta allo stesso modo provata.

I semi temporali ritornano ancora nella seconda parte dell’analisi, quella riguardante l’aspetto morfologico della cucina Dream: la temporalità è inscritta nei materiali (nuovi e di tendenza, ma anche solidi e classici, atossici e quindi nel rispetto dell’ambiente futuro e della salute di chi amiamo), nella semplicità delle forme e dell’uso (in questo caso è una temporalità futura virtualizzata, in quanto resa possibile dal corretto e pratico uso dell’oggetto aiutante nel nostro PN cucinare, ma a valenza tradizionalista, in quanto viene chiaramente proposto di sfruttare il tempo risparmiato per coltivare le relazioni), ecc.

Infine abbiamo visto in che modo la modernità e i suoi caratteri (velocità e cambiamento) vengono assorbiti all’interno del disegno Scavolini e della sua trama di valori: allora la funzionalità, frutto dell’innovazione, viene messa al servizio dell’uomo, della sua vita, che grazie ad essa migliora e diventa significativamente più semplice, e l’oggetto cucina, che dovrebbe svuotarsi di alterità, perché frutto della società moderna e di una catena industriale, in realtà si riempie di quei valori che a suo modo permette e sostiene.

Dunque passato e futuro collaborano all’interno dell’ambiente cucina, trovando giustificazione l’uno nell’altro e si valorizzano a vicenda, creando un ambiente complesso e ricco di sfumature, le quali permettono a chiunque compra una cucina Scavolini di sentirsi soddisfatto, realizzato personalmente, e soprattutto permettono al soggetto-utente di identificarsi in ciò che vuole, in ciò in cui crede, a seconda che prediliga la modernità o senta la nostalgia di qualcosa di lontano dal presente.

 

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[1] La nota testimonial ha concluso da poco il suo contratto con l’azienda.