Il linguaggio del consumo nelle strategie pubblicitarie

 

 

di Marianna Boero


Indice

 

 

 

  1. Introduzione                                                                              

 

0.1.  Semiotica e scienze sociali                                           

0.2.  Lo sguardo semiotico                                                  

0.3.  La prospettiva sociologica                                           

0.3.1.      Bisogni, consumi, produzione:

            verso la postmodernità           

0.4.  Le fasi del lavoro                                 

 

                                                                                                            

  1. La sociosemiotica della pubblicità              

 

1.1.  Il campo sociosemiotico                       

1.1.1.      Sociosemiotica e sociologia:

 quali differenze tra i due approcci?                            

1.1.2.      I presupposti teorici

della sociosemiotica                                                   

1.2.  L’analisi sociosemiotica della

 comunicazione pubblicitaria                                                    

1.2.1.      I modelli retorici                                                        

1.2.2.      I modelli narrativi                                                       

1.3.  L’analisi della comunicazione pubblicitaria

nell’opera di Jean Marie Floch                                     

1.3.1.      Una tipologia comportamentale dei

 viaggiatori della metropolitana                        

1.3.2.      Pubblicità di automobili e sistema

   dei valori di consumo                                                 

   1.3.2.1. Lo spot pubblicitario della

    Citroën BX                                                  

1.3.3.      L’identità visiva nella campagna

 pubblicitaria della penna Waterman                           

 

 

2.  Il consumo nell’epoca della postmodernità                        

 

2.1. I nuovi scenari del consumo                                                     

         2.1.1. La deideologizzazione

 e la dematerializzazione del consumo                            

                   2.1.1.1. La moto                                                         

                   2.1.1.2. I jeans                                                            

         2.1.2. Il protagonismo dei desideri

 e delle emozioni                                               

2.2. Le tante identità del consumatore postmoderno            

         2.2.1. Il nuovo consumatore: un profilo ideale             

         2.2.2. Tra individualismo e nuove forme di socialità    

2.3. Trend di consumo e trend sociali                                              

         2.3.1. Fusion e sincreclettismo                                   

         2.3.2. La femminilizzazione della società                                 

         2.3.3. Il polisensualismo                                                        

         2.3.4. La mass costumization                                                 

         2.3.5. L’estetizzazione della vita quotidiana                            

         2.3.6. L’emergere dell’ironia nei consumi                               

         2.3.7. Il recupero del passato                                                

         2.3.8. Ecopragmatismo                                                         

         2.3.9. La perdita di egemonia del minimalismo            

 

 

      3. L’analisi dei testi pubblicitari                                               

 

   3.1. Il consumatore postmoderno nei testi pubblicitari                      

               3.2.Alcuni esempi di analisi                                                 

        3.2.1. L’acqua minerale Rocchetta                                         

        3.2.2. Il profumo Aroma Source di Lancôme            

 

 

      4. Conclusioni                                                                                       



      0. Introduzione

 

 

            0.1. Semiotica e scienze sociali

 

    Negli ultimi anni i contatti tra semiotica e scienze sociali sono diventati sempre più frequenti e sistematici: da un lato le scienze sociali rivolgono sempre più frequentemente la loro attenzione agli strumenti dell’analisi semiotica, dall’altro la semiotica stessa mostra un rinnovato interesse per discipline quali la sociologia, il marketing e la comunicazione pubblicitaria, confermando la sua natura operativa oltre che teorica.

    L’interesse del mondo delle scienze sociali nei confronti della semiotica può essere spiegato tenendo presente come quest’ultima, attraverso l’originalità del suo sguardo, fornisca una nuova chiave di lettura per le tradizionali problematiche sociali e, allo stesso tempo, metta in luce delle nuove problematiche, attinenti ad esempio al comportamento di consumo degli individui. A sua volta la semiotica sembra essere sempre più attratta da questo universo di problemi legati alla significazione.

    Inoltre la crescente complessità assunta dai fenomeni comunicativi nelle società contemporanee post-industriali porta i professionisti della comunicazione e i responsabili delle ricerche nelle aziende a cercare nuovi strumenti di analisi per capire i meccanismi e l’evoluzione del comportamento comunicativo. Nasce quindi una collaborazione tra semiotica e scienze sociali che, a partire dagli anni Novanta, ha conosciuto una vera e propria strutturazione grazie alla nascita di una nuova disciplina, la sociosemiotica, che si occupa dello studio di tradizionali temi sociali da un punto di vista semiotico.

    Dunque, guardare alle scienze sociali con occhi semiotici permette di vedere i problemi da un’altra angolazione, di riformularli secondo un’altra prospettiva; bisogna però ricordare che “se i modelli semiotici offrono al sociologo un certo incremento di conoscenza rispetto ai risultati raggiungibili con le proprie metodologie, il loro uso in campo sociale porta il semiologo a mettersi alla prova, a dover raffinare le categorie d’analisi” [Marrone 2001: X]. Prima di entrare nello specifico della sociosemiotica è opportuno quindi rendere conto di questo scambio tra oggetti di studio e metodi di analisi; i prossimi paragrafi rappresentano pertanto una descrizione di questo duplice movimento.

 

 

            0.2. Lo sguardo semiotico

 

    La crescente complessità dei comportamenti legati al mondo del consumo  pone in primo piano la necessità di ricorrere a nuovi strumenti di analisi, in quanto i fenomeni di consumo diventano sempre più fenomeni simbolici e culturali [Semprini 1990: 39] e gli strumenti tradizionali d’indagine tendono a essere meno efficaci[1]. Di fronte a questa situazione l’approccio semiotico alle problematiche del consumo e delle comunicazioni pubblicitarie risulta particolarmente interessante in quanto potrebbe condurre a una riformulazione radicale di alcuni temi attuali nel mondo del mercato, come la teoria del comportamento di consumo o l’analisi del problema della marca. Cerchiamo quindi di chiarire alcuni punti e, in particolare, di capire che cos’è la semiotica e come nasce il suo interesse per le scienze sociali.

    La semiotica è la scienza dei segni, nel senso che tradizionalmente il suo oggetto di studio è tutto ciò che può essere utilizzato come segno. Come scrive Marrone [2001: XI], “è segno un filo di fumo nel cielo che indica la presenza del fuoco, un agglomerato di nubi che lascia presagire la pioggia, il profumo di un alimento che ne garantisce la bontà, una parola che sta per una cosa, un annuncio pubblicitario che cerca di persuadere a comprare un certo prodotto”. In altre parole possiamo dire che un segno è “tutto ciò che dà adito a una relazione tra due termini, dove il primo è di tipo empirico (il fumo, la nuvola, il profumo, la parola, l’annuncio esperito attraverso i sensi) e il secondo è di tipo concettuale (il fuoco, la pioggia, la gradevolezza dell’alimento, la cosa, il prodotto ricostruiti intellettualmente).” [ibid.: XI] Bisogna però precisare che, al di là della definizione dei dizionari, che definisce il segno come “un qualcosa che sta per qualcos’altro”, il segno è soprattutto “un evento, una procedura che rende possibile una razione di rinvio tra un primo elemento di ordine sensoriale e un secondo di ordine intellettuale”. Dunque, continua Marrone [2001: XI], “l’oggetto di studio della semiotica non è costituito né dagli elementi di tipo sensoriale (espressioni) né dagli elementi di ordine intellettuale (contenuti), ma dalla loro relazione di rinvio (significazione)”.

    I sistemi di significazione sono moltissimi: il sistema della moda, il sistema pubblicitario, l’organizzazione spaziale, oltre che, ovviamente, la lingua naturale. Infatti un certo modo di vestire può rinviare all’appartenenza socio-culturale di chi lo indossa, uno spot pubblicitario può rinviare a un modello di consumo sociale, una certa organizzazione spaziale può rinviare a un modo di intendere le relazioni interpersonali [2]. [Traini 2001: 3] La significazione è un fenomeno sociale, dipendente dai sistemi culturali entro cui gli individui si trovano a vivere, a operare, a parlare, a interpretare:

 

    Sono entità sociali le lingue, sistemi formali di regole possedute da innumerevoli parlanti senza essere di proprietà di nessuno. Sono entità sociali i codici cinesici, i quali regolano i gesti che accompagnano o sostituiscono la comunicazione verbale. Sono entità sociali i sistemi di regole che permettono il riconoscimento e la produzione delle immagini. Sono entità sociali le logiche che predispongono l’interazione tra le persone, i  loro comportamenti, desideri, bisogni, valori, ma anche i modi di vestire, nutrirsi, abitare, salutare ecc. Sono logiche sociali anche i principi che permettono a uno scrittore di comporre una poesia o a un pittore di dipingere un quadro.[Marrone 2001: XIII]

 

 

    Nel momento in cui i sistemi di significazione vengono utilizzati per relazionarsi con gli altri si ha la comunicazione. La semiotica può quindi essere definita come “la disciplina che studia i fenomeni di significazione e di comunicazione”. [Traini 2001: 3] Questa disciplina nasce a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento in due ambiti diversi: da un lato grazie a Ferdinand De Saussure, dall’altro grazie a Charles Sanders Peirce. I due studiosi arrivano alla fondazione di questa disciplina[3] parallelamente, senza sapere nulla l’uno degli studi dell’altro; da loro sono discese poi due “correnti”, rispettivamente quella strutturale e quella interpretativa.

    Abbiamo richiamato in estrema sintesi questi concetti per sottolineare come sin dalle origini la semiotica si sia proposta come uno studio della società [Marrone 2001: XV]. Ferdinand De Saussure[4] infatti definiva la semiologia come “una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale”, una scienza interessata quindi allo studio dei sistemi di segni, siano essi lingue, riti, costumi o alfabeti particolari. Anche Peirce, fondando la corrente interpretativa, conferma l’interesse della semiotica per il mondo sociale: egli infatti si sofferma più sulla comunicazione che sulla significazione in quanto non ritiene possibile studiare i segni senza tener presente l’ambiente esterno e il processo d’interpretazione a esso legato.

    La semiotica inoltre, a partire dagli anni Sessanta, ha mostrato un forte interesse anche per la comunicazione pubblicitaria, arrivando a una concezione meno critica di questo tipo di comunicazione, legata soprattutto alla ridefinizione del destinatario come soggetto interagente con il messaggio pubblicitario. Ritorneremo su questo aspetto in seguito quando parleremo di sociosemiotica della pubblicità; nel prossimo paragrafo verranno invece ricordati i punti principali della prospettiva sociologica applicata al mondo del consumo.

 

 

            0.3. La prospettiva sociologica

  

    Il consumo sta cambiando profondamente ruolo e funzione: da attività semplice e controllabile come era sta diventando un fenomeno sempre più complesso, che richiede al consumatore una competenza e una maturità di scelta sempre più elevate. Il divario tra i comportamenti concreti del consumatore e la sua conoscenza reale si va perciò allargando sempre di più e le strategie adottate dalle imprese sono spesso molto distanti dai bisogni reali dei soggetti.

    Il cambiamento della natura del consumo è legato soprattutto alle profonde trasformazioni che, già a partire dagli anni Novanta, hanno riguardato le società industriali avanzate. L’era della modernità, di cui il consumatore è stato uno dei protagonisti, sta infatti volgendo al termine, lasciando il passo all’epoca nuova della postmodernità. [Fabris 2003] Il consumatore, e con esso il consumo inteso come uno dei fenomeni sociali più rilevanti delle moderne società avanzate,  è quindi un soggetto in costante evoluzione perché immerso nel grande flusso del cambiamento (sociale, tecnologico, economico) in corso [ibid.: 11]. Ecco così, come sottolinea Fabris, “il definitivo affrancarsi dal binomio – fondativo per le scienze economiche – reddito-prezzo; il consumo che sfuma i suoi significati tangibili per divenire linguaggio e comunicazione […]; il rapido declino delle categorie solitamente impiegate per descriverlo (il reddito, la demografia); il crescere delle presunte irrazionalità nelle scelte; l’espansiva discrezionalità e autonomia del consumatore; il disincanto e, insieme, un nuovo incanto per il mondo delle merci; l’irrompere delle emozioni e del ludico; la fluidità e le leggerezza […]”. Dunque, sul fronte del consumo, sta per avere inizio una nuova fase della storia “che vede il protagonismo di un consumatore eclettico, pragmatico, orientato nelle sue scelte dal case by case approach che genera modelli di consumo più simili ad un patchwork costantemente cangiante che alla trama lineare cui eravamo abituati”.

    Fabris però precisa che la postmodernità non deve essere intesa come momento conclusivo della modernità, ma piuttosto come inizio di un nuovo ciclo di storia:

 

                                     Eppure, inesorabilmente, tacitamente senza segnali vistosi, va lasciando il passo all’epoca nuova della postmodernità. Da intendersi non come momento conclusivo della modernità, ma appunto come inizio di un nuovo ciclo della storia: una proposta di civilizzazione ancora allo stato nascente forse non culturalmente egemone ma certamente condivisa e diffusa. L’epoca della modernità continua a permeare ancora molte nostre scelte e permarrà a lungo e non ha certo esaurito il suo potenziale di progettualità e razionalità. Del resto la società la società agricola e preindustriale ha coesistito a lungo con la società moderna e tuttora permane in aree di sottosviluppo e di ritardo culturale. Ma, in prospettiva, il futuro sarà della postmodernità, la società nuova in cui stiamo entrando e che già impronta tanta parte del nostro essere. [Fabris 2003:14-15]

 

 

    La postmodernità è dunque la direzione verso cui ci stiamo inoltrando, una realtà diffusa, ma non ancora maggioritaria. Abbiamo già sottolineato come l’evoluzione della società abbia cambiato il ruolo e la funzione del consumo. Vediamo più da vicino in cosa consistono questi cambiamenti.

 

 

0.3.1. Bisogni, consumi, produzione: verso la postmodernità

 

    Nonostante nell’era della modernità si parlasse di società dei consumi, il consumo in quell’epoca non era altro che un’area marginale. [Fabris 2003: 15] L’etichetta di società dei consumi indicava più che altro un fatto oggettivo individuabile nella cosiddetta società del benessere, caratterizzata dalla scomparsa della pressione dei bisogni. Il bisogno infatti sembra appartenere ormai solo a frange ristrette della popolazione, ai poveri, agli emarginati, ai cosiddetti bisognosi, appunto. Per la maggior parte della popolazione europea occidentale e statunitense i bisogni primari come la fame, il freddo e la malattia hanno perso i loro connotati più urgenti. Il progresso della scienza e l’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione hanno portato infatti a una dilatazione del mondo delle merci che contrasta con la penuria di altre epoche[5].

    Ma il consumo, nell’era della modernità, era legato soprattutto alla produzione. Come afferma Fabris, il consumo era per lo più un de cuius della produzione, una variabile dipendente dagli obiettivi di accumulazione e di profitto che caratterizzano la società capitalistica. L’oggetto principale di studio e di legittimazione sociale era pertanto la produzione, “dai meccanismi finanziari che la generano ai processi di innovazione; dalla centralità della cultura della fabbrica alla vastissima area del lavoro, il sindacato, le relazioni industriali; dalla collocazione professionale, ai fini dell’appartenenza di classe, alle ‘regole scientifiche’ del management, alle teorie dell’organizzazione.” [Fabris 2003:16] Il consumo era, in altre parole, linguaggio della produzione e, pertanto, manipolazione più o meno manifesta operata dall’industria.

    Nell’epoca nuova della postmodernità il consumo invece sta assumendo un ruolo inedito e centrale. Di Nallo [1992] osserva che “le società post-industriali portano, tra le loro caratteristiche definitorie, quella di allontanarsi dalla centralità della produzione. In questo modo si apre al consumo la possibilità di allagare il proprio potenziale di autonomia. Infatti, continua Di Nallo, il consumo, che era stato linguaggio delle società della produzione, inizia ad adottare schemi propri, liberi dal riferimento alla logica della produzione, e si propone come linguaggio di se stesso.

    Prima di analizzare specificamente il linguaggio del consumo, bisogna fare alcune precisazioni terminologiche. Come abbiamo visto, il consumatore può essere definito il protagonista della postmodernità. Il termine consumatore però, sottolinea Fabris, è riduttivo e ambiguo, oltre che fortemente espressivo di quell’epoca della modernità da cui stiamo prendendo le distanze. Dal punto di vista etimologico consumare indica modalità di fruizione dei prodotti ormai passate; consumare infatti significa distruzione, logorio, annullamento fisico di un bene:

 

     L’idea sottesa è che senza la scomposizione e la successiva distruzione di un bene economico l’individuo consumatore non possa ricavare da esso alcuna utilità o godimento. È la descrizione di un processo entropico che conduceva sempre dall’ordine del prodotto manufatto ad un disordine irreversibile, conseguente alla sua fruizione e al soddisfacimento di un bisogno.[6]

 

 

    Questa accezione del termine consumare sembra non essere più adatta per descrivere la nuova natura del consumo, basti pensare al settore dei servizi che non rientra nell’insieme di beni che si distruggono con l’uso. Inoltre il consumo non sembra più essere legato al bisogno inteso come “spinta impellente a soddisfare una necessità vitale” [Benigno e Salvemini  2002]: il bisogno infatti non è più una spinta naturale, meccanica, inevitabile, ma un prodotto culturale, cioè un’elaborazione che traduce le urgenze fisiche e le trasforma in precisi schemi di comportamento sociale. Le motivazioni di consumo, così come le tipologie di beni, sono estremamente varie, pertanto la semplicità delle categorie tradizionalmente impiegate per spiegare il consumo contrasta con la sua crescente complessità. Consumare infatti può essere ricerca di piacere, di divertimento, ma anche un atto di ribellione. Pensiamo ad esempio ai jeans: negli anni Settanta indossare i jeans, indumento proprio della working class, al posto dei calzoni con la piega allora in vigore, assumeva il significato di contestazione dei modelli dominanti; analogamente indossare la gonna a fiorellini, lo scialle e gli zoccoli in legno, ovvero quello che era considerato il “vestito da strega”, significava criticare l’atteggiamento misogino negli anni del protofemminismo.[7]

    È molto importante sottolineare questo aspetto perché “permette di spostare un ampio comparto del consumo dall’area accreditata dagli economisti a quella assai più reale e convincente dell’agire umano.” [Fabris 2003: 20] Per questo motivo Fabris preferisce usare il termine individuo-consumatore piuttosto che semplicemente consumatore, in quanto il consumatore descritto in ambito economico, isolato, atomizzato proteso al perseguimento egoistico di obiettivi di consumo, se mai esistito è un lascito della modernità che la postmodernità non accoglie. La nuova epoca sarà caratterizzata dalla nascita dell’homo aestheticus[8], che inventa nuove forme di socialità, animato dalle emozioni e proteso, secondo un’espressione di Maffesoli, a epifanizzare il reale: il consumo, in quest’ottica, diventa il collante delle nuova forme di socialità.

 

 

            0.4. Le fasi del lavoro

 

     La realtà odierna del consumo, al di là di alcune tendenze generali, si presenta quindi sotto il segno della frammentarietà. Ciò comporta che le analisi del consumo non possano continuare a essere separate nelle ottiche delle diverse discipline sociali che vengono di volta in volta adottate, in quanto il consumo è una realtà complessa. Le attività di consumo infatti, essendo delle azioni la cui natura è contemporaneamente sia individuale che collettiva, appartengono alla categoria delle azioni sociali complesse. Scrive Codeluppi:

 

                                I comportamenti di consumo sono sociali e complessi perché dietro l’apparentemente solitario rapporto instaurato dai consumatori con i beni nascondono la ricca realtà sociale di un rapporto che implica la necessità di una continua interazione con gli altri soggetti, e che coinvolge dunque l’intera gamma delle manifestazioni della personalità umana. Ne consegue che le dinamiche di cambiamento del sociale si riflettono sul sistema del consumo, trasformandolo i uno dei più rilevanti tratti emblematici delle attuali società complesse e della nostra vita quotidiana e perciò anche in un osservatorio privilegiato per la comprensione dei meccanismi di funzionamento e di riproduzione dell’intera struttura societaria. Per capire tali meccanismi occorre perciò capire il consumo, capire cioè come e perché  consumano oggi i beni disponibili sul mercato. [Codeluppi 1989: 16]

 

 

                            Alla luce di queste considerazioni si comprende che la natura multiforme del consumo rende indispensabile l’interazione di più discipline quali il marketing, l’antropologia, la semiotica. È proprio sul rapporto tra quest’ultima e il consumo, inteso soprattutto come sistema di comunicazione che ci concentreremo in questa sede. Scopo di questo lavoro è infatti arrivare a un punto di incontro tra sguardo semiotico[9] e prospettiva sociologica nella descrizione dei modelli di consumo. I cambiamenti che interessano i processi comunicativi fanno sì che gli strumenti di indagine e di lettura debbano essere rinnovati continuamente.

                             Le pagine che seguono cercano di descrivere il linguaggio del consumo nell’ambito delle strategie pubblicitarie, sia dal punto di vista sociosemiotico che da quello prettamente sociologico, mostrando la notevole differenza che intercorre tra le due discipline. Nel primo capitolo si parlerà del campo sociosemiotico e, in particolare, dell’applicazione di questa disciplina al mondo della pubblicità; molto importanti in proposito sono le analisi di Jean Marie Floch che avvicinando il consumo da un angolo semiotico ne fornisce un’interpretazione originale e innovativa. Il secondo capitolo rappresenta invece una riflessione sociologica sul consumo e sul consumatore postmoderno: in questo caso saranno le riflessioni di Giampaolo Fabris a guidarci nel nostro percorso. Infine, nella terza parte, cercheremo di analizzare dal punto di vista sociosemiotico alcuni  testi pubblicitari tratti da riviste e cataloghi di carattere generale in cui viene rappresentato il consumatore postmoderno.


 

 

 


1. La sociosemiotica della pubblicità

 

 

            1.1. Il campo sociosemiotico

 

    Che cos’è la sociosemiotica? Da un po’ di tempo a questa parte il termine sociosemiotica torna insistentemente, ma darne una definizione univoca è piuttosto difficile. Lo dimostra il vivace dibattito in corso tra gli studiosi impegnati in materie diverse tra loro ma convergenti nelle problematiche da indagare, come la filosofia del linguaggio, la sociologia della comunicazione, e così via. [Marrone 2001] Certo è che sta diventando sempre più forte l’esigenza di un’integrazione degli studi sul linguaggio e sulla società: infatti, come sottolinea Marrone [2001: X], “laddove il semiologo sperimenta spazi d’analisi che garantiscano l’aggancio empirico delle proprie teorie, il sociologo va alla ricerca di modelli che permettano di comprendere quei fenomeni di senso – tanto immateriali quanto fondamentali – che regolano le nuove forme della socialità.” Questo emerge soprattutto per questioni al tempo stesso semiotiche e sociologiche come ad esempio le modalità di consumo, i nuovi valori politici o gli effetti della ricezione mediatica. Questi temi richiedono infatti modelli di interpretazione che trascendano la tradizionale separazione tra oggetti e metodi disciplinari e impostino un’unica problematica, che si può definire, appunto, sociosemiotica.

    La sociosemiotica nasce pertanto con l’intento di mostrare come alcuni temi di interesse sociologico[10] possano essere studiati efficacemente a partire dai modelli semiotici. Abbiamo visto infatti che la significazione è un fenomeno sociale dipendente dal sistema culturale in cui gli individui operano[11]. Dunque, in linea di principio, semiotica generale e sociosemiotica si identificano: infatti, se l’oggetto della semiotica è la significazione, e la significazione è un fenomeno collettivo, possiamo dire che la semiotica è a tutti gli effetti una sociosemiotica. [ibid.: XIII] Ciò non toglie che all’interno della teoria della significazione si pongano problemi di tipo filosofico-linguistico, procedurale-cognitivo, logico-inferenziale, grammaticale, formale e astratto. Quindi, da un lato la semiotica si pone problemi relativi alla sua organizzazione concettuale e al controllo epistemologico delle sue categorie, dall’altro ha come oggetto della propria elaborazione metodologica la concretezza del sociale, ovvero i processi di significazione che nella società si svolgono. “Grazie a questa sovrapposizione di compiti e integrazione di livelli d’analisi, la semiotica può essere al tempo stesso una filosofia del linguaggio e un’indagine sul sociale, una riflessione generale sui fenomeni di senso e uno sguardo verso i vissuti individuali e collettivi che quel senso riprendono e trasformano di continuo” [ibid.: XIV] In passato si insisteva più sul versante filosofico-linguistico della semiotica che su quello metodologico-empirico, tenendo in genere separati questi ambiti, come se si trattasse di due diverse maniere di intendere e praticare la semiotica. Da questo punto di vista la sociosemiotica non è tanto la branca della semiotica che si occupa dei fatti sociali, quanto piuttosto quel ponte tra filosofia del linguaggio e analisi dei fatti sociali di cui si sente sempre di più l’esigenza.

    Ma, dal momento che la relazione tra semiotica e scienze sociali è al tempo stesso “evidente e problematica”, le dichiarazioni di intenti si sono scontrate con alcuni problemi teorici: “sino a che punto la semiotica è una delle tante scienze sociali, un ulteriore punto di vista sull’uomo, alla stregua dell’etnologia, della sociologia, della linguistica o della storiografia? Non possiamo invece pensare che il suo oggetto di ricerca – la significazione –  la ponga a un livello epistemologicamente diverso da quello delle altre discipline sociali, un livello meta che fa della semiotica una teoria e una metodologia generale delle (altre) scienze umane e sociali?” [ibid.: XV] A ogni modo, sottolinea Marrone, la semiotica nella sua declinazione sociale non sembra destinata a seguire lo stesso percorso della linguistica. Quest’ultima, nel momento in cui ha iniziato a interessarsi dei fatti sociali, ha dato luogo alla sociolinguistica, disciplina che ha lo scopo di studiare i nessi tra linguaggio e società: è chiaro che, secondo questa prospettiva, il primo è un sottoinsieme della seconda, ovvero qualcosa che la società contiene al suo interno.

    Se però passiamo dalla lingua come oggetto di studio alla significazione, e cioè dalla sociolinguistica alla sociosemiotica, le cose si invertono: la significazione non è un sottoinsieme della società, ma si sovrappone a essa. Infatti qualsiasi fenomeno sociale esiste perché è inserito in un universo articolato di senso, ossi in un sistema e in un processo si significazione. Dunque, il problema non è più, come nel caso della sociolinguistica, quello di capire il rapporto di influenza reciproca che può esserci tra società e linguaggio, bensì quello di comprendere i modi in cui la società entra a contatto con se stessa, si pensa, si rappresenta, si riflette attraverso i testi, i discorsi, i racconti che essa produce al suo interno. [ibid.: XVI] Pertanto l’obiettivo della sociosemiotica non è solo quello di studiare temi di tradizionale interesse sociologico attraverso le categorie e i modelli della semiotica, ma soprattutto, come afferma Landowski, quello di ricostruire i modi in cui “la comunità sociale si dà in spettacolo a se stessa e, così facendo, si dota delle regole necessarie al proprio gioco”; in altre parole la sociosemiotica non è solo una metodologia delle scienze sociali, ma anche una sociologia critica[12]  che non studia direttamente il sociale bensì le sue condizioni di possibilità. Infatti, dal punto di vista semiotico, il sociale non è un dato empirico di cui occorre indagare le leggi, ma un effetto di senso costruito[13], di cui occorre individuare le procedure che lo hanno posto in essere [Marrone 2001: XVII] Per chiarire meglio questo concetto Marrone riporta la definizione di sociosemiotica redatta da Landowski:

 

                               A suo modo la semiotica generale non ha mai cessato di occuparsi del reale e, a fortori, del sociale, concepiti come effetti di senso. Formulata in termini succinti e volontariamente ingenui, la grande questione posta allo studioso di sociosemiotica sarà allora quella di rendere conto di «ciò che facciamo» affinché il sociale esista in quanto tale per noi: in che modo ne costruiamo gli oggetti e come ci inscriviamo in essi in quanto soggetti parlanti e agenti. L’oggetto empirico della sociosemiotica si definisce in questo senso come l’insieme dei discorsi e delle pratiche che intervengono nella costituzione e/o nella trasformazione delle condizioni di interazione tra i soggetti (individuali e collettivi).[14]

 

    Così, ad esempio, piuttosto che occuparsi dei modi in cui la pubblicità cerca di persuadere i consumatori a comprare determinati prodotti, la sociosemiotica cercherà di  costruire dei modelli discorsivi generali che spieghino a monte le scelte di consumo che si trovano rappresentate nei testi pubblicitari; emerge, in questo modo, che il consumatore, generalmente, non sceglie un prodotto solo per convenienza economica, ma piuttosto in quanto attribuisce al prodotto stesso dei valori che guideranno poi le sue scelte di consumo. [Marrone 2001: XVII]

 

 

1.1.1. Sociosemiotica e sociologia: quali differenze tra i due approcci?

 

    Cerchiamo ora di precisare la differenza che intercorre tra la prospettiva sociologica e quella sociosemiotica nello studio dei fatti sociali. Usando le parole di Marrone [2001: XVIII], possiamo dire che la “ricerca sociosemiotica arretra lo sguardo rispetto a quella sociologica”: infatti, mentre quest’ultima “si rivolge ai fenomeni empirici presenti nelle forme collettive di vita vissuta, la prima si dà il compito di ricostruire le procedure di senso attraverso cui esiste qualcosa come una socialità, una vita vissuta, un’empiria dei fenomeni istituzionali e collettivi. Continua Marrone: “Per la semiotica il sociale non ha nulla di evidente, di immediato, se non il fatto che è esso stesso a costruire la sua presunta evidenza, la sua immediatezza, facendo apparire come ovvio, normale, naturale ciò che è in effetti l’esito manifesto di processi immanenti di significazione.” [2001: XVIII] La prospettiva sociosemiotica si basa su due presupposti fondamentali:

 

·        I fenomeni sociali (mass media, pubblicità, moda, nuove tecnologie, ecc) vengono analizzati in quanto fenomeni di significazione, ossia come universi articolati di senso.

·        La realtà sociale è intesa come effetto di senso non come realtà oggettiva su cui applicare il linguaggio (in questo caso avremmo la prospettiva sociologica); la realtà sociale è infatti linguaggio essa stessa, con i suoi testi e i suoi discorsi, attraverso i quali si riflette e si costruisce.

    Quindi, nel momento in cui parliamo di fatti sociali concreti non bisogna intendere i fatti sociali empirici ma il sociale come effetto di senso. Possiamo schematizzare quanto appena detto nel modo seguente:

 

 

 

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POLITICA

 

PUBBLICITÀ

ECONOMIA

 

TELEVISIONE

 

 

 

Figura 1: Prospettiva sociologica

 

 

 

 

 

 

NUOVE TECNOLOGIE

 

GIORNALI

MODA

 

CINEMA

POLITICA

 

PUBBLICITÀ

ECONOMIA

 

TELEVISIONE

 

 

 

Figura 1: Prospettiva sociosemiotica

 

 

 

 

 

    Il punto di vista sociologico (fig. 1) vede la moda, le nuove tecnologie, la politica e l’economia come la realtà oggettiva; giornali, cinema, pubblicità e televisione non sarebbero altro che la rappresentazione di questa realtà. Ci sarebbe pertanto una relazione unidirezionale: la politica (realtà oggettiva, empirica) viene raccontata dai mass media che ne danno una rappresentazione. In questo modo ci è possibile conoscere la realtà, studiando, appunto, il modo in cui quella realtà viene rappresentata.

    La sociosemiotica invece va contro l’idea di rappresentazione: secondo questa prospettiva, infatti, la moda, la politica o l’economia non costituiscono la realtà oggettiva, e i giornali, il cinema o la televisione non ne sono la rappresentazione. L’idea della sociosemiotica è che i primi sono testi, cioè sistemi di significazione con espressione e contenuto, che nell’ambito della nostra società vengono raccontati dai giornali, dal cinema e dalla televisione; questi ultimi però sono testi a loro volta, e cioè dei sistemi di significazione con una loro espressione e un proprio contenuto. Non c’è quindi una relazione unidirezionale come nel caso della prospettiva sociologica (fig. 1), ma una relazione bidirezionale: il giornale descrivendo, ad esempio, la moda la influenza, la modifica. C’è un feedback, un gioco reciproco: questa costruzione continua dà luogo a una complessa rete di relazioni per cui un testo viene raccontato da un sistema, ma questo sistema contemporaneamente incide sulla costruzione del testo stesso. Dunque, nel momento in cui raccontiamo una cosa la modifichiamo perché la società è un insieme di testi che si influenzano e si modificano a vicenda. Nel caso della moda, non c’è da un lato la moda oggettiva ed empirica e dall’altro i discorsi che si possono fare sulla moda: la moda si costruisce e si modifica all’interno dei discorsi sociali. Pensiamo ad esempio a una sfilata: un giornalista, dovendo descrivere quell’evento ne darà sempre una visione di parte, per quanto possa essere obiettivo nella sua descrizione; anche perché la prima interpretazione è riscontrabile già nella selezione dei particolari cui dare maggiore o minore rilievo. La sociosemiotica cerca di svelare questi meccanismi in modo da comprendere come la società rappresenti se stessa attraverso i discorsi e i racconti che essa produce al suo interno.

 

 

1.1.2. I presupposti teorici della sociosemiotica

 

    Per capire le ragioni di un approccio semiotico a temi di carattere sociale quali la moda e la pubblicità, occorre ricordare che la sociosemiotica si inserisce nell’ambito della linea struttural-generativa inaugurata, come abbiamo visto, da Ferdinand De Saussure: questa corrente, diversamente da quella interpretativa a matrice più filosofica, ritiene che la semiotica debba avere una vocazione empirica, ossia debba essere applicata concretamente nell’analisi dei testi. La sociosemiotica quindi, per analizzare i fenomeni sociali da un punto di vista semiotico, parte dai presupposti di questa corrente. Vediamo i punti principali che la caratterizzano [Traini 2001: pp.125-132]:

 

·        La semiotica studia i sistemi e i processi di significazione; la significazione si definisce come “relazione di rinvio tra elementi materiali (espressioni) ed entità concettuali (contenuti)”.

Abbiamo visto che l’oggetto di studio della semiotica non è costituito né dagli elementi di tipo sensoriale (espressioni), né dagli elementi di ordine intellettuale (contenuti), ma dalla loro relazione di rinvio (significazione) [Marrone 2001: XI] Questo significa che non è sufficiente studiare la sintassi o la semantica, ma occorre studiare le due cose connesse: infatti una parola può rinviare a un concetto, un vestito può rinviare a un’appartenenza socio-culturale, e così via.

·        Per studiare i sistemi e i processi di significazione ci si pone al di sotto della manifestazione, cioè al livello immanente, per analizzare i modi in cui il senso viene generato.

·        La semiotica studia tali relazioni di rinvio all’interno di qualsiasi linguaggio, cioè di tutti i sistemi di significazione e non solo del linguaggio naturale.

·        La semiotica considera il “mondo naturale” come sistema di significazione e quindi come un linguaggio che può essere tradotto da altri linguaggi.

·        Così come gli oggetti del “mondo naturale”, anche i soggetti si costituiscono nel linguaggio.

Secondo la teoria dell’enunciazione, noi abbiamo a che fare solo con i simulacri dei soggetti, nel senso che negli enunciati sono presenti dei simulacri che rimandano ai soggetti in quanto marche di enunciazione. Da questo presupposto teorico deriva che il soggetto non può che costituirsi nel linguaggio.

·        La semiotica sostiene che alla base dei meccanismi di rinvio ci siano codici formali e sistematici socialmente condivisi.

·        La semiotica analizza testi complessi, in cui i linguaggi interagiscono, le azioni sono comunicative (fare è dire) e le parole sono azioni (dire è fare).

·        La scientificità della semiotica è data da un sistema a quattro livelli (livello empirico, metodologico, teorico ed epistemologico) che garantisce l’interdefinizione dei concetti (vocazione sistematica) e il controllo epistemologico.

·        La semiotica ha anzitutto una vocazione metodologico-empirica.

 

 

1.2.  L’analisi sociosemiotica della comunicazione pubblicitaria

  

   Come abbiamo visto precedentemente, la sociosemiotica cerca di analizzare alcuni temi di tradizionale interesse sociologico da un punto di vista semiotico. Ora, in questa sede, l’obiettivo è quello di riflettere sul rapporto che si sta instaurando tra semiotica e mondo del consumo, inteso come sistema di comunicazione. A tal fine, in questa sezione del lavoro, vedremo una rassegna dei risultati raggiunti nel campo più avanzato della semiotica del consumo, quello della comunicazione pubblicitaria; partiremo dunque dai primi studi pubblicitari fino ad arrivare alle più recenti analisi di Jean Marie Floch.

 

  

   1.2.1. I modelli retorici

      

     I primi studi  semiologici sulla pubblicità partono da un presupposto comune: la pubblicità è un’attività comunicativa che si pone obiettivi di carattere prevalentemente persuasivo. Scrive Marrone [2001: 138]: “Se la funzione della pubblicità è quella di far acquistare gli oggetti di cui essa parla, trasformando il destinatario in consumatore, il codice che essa utilizza è totalmente costruito per raggiungere questo obiettivo”. Di conseguenza, quando si studiano le relazioni strutturali tra il codice della lingua quotidiana e il sottocodice specifico della pubblicità occorre tenere presente che quest’ultimo risponde soprattutto a esigenze di tipo economico: secondo questa prospettiva in pubblicità tutta la significazione viene appiattita sulla comunicazione e, in tal modo, l’informazione che essa veicola finisce per essere una merce. Questa concezione negativa della pubblicità era molto diffusa negli anni Sessanta e Settanta: le critiche derivavano dall’idea che essa fosse frutto del lavoro di un gruppo di “persuasori occulti”, in grado di manipolare con facilità le coscienze dei consumatori. Il volume I persuasori occulti, scritto in quegli anni dal giornalista Vance Packard[15], ha ulteriormente alimentato questa concezione che, per alcuni aspetti, è ancora viva ai giorni nostri.

        Nonostante le ricerche condotte negli anni successivi abbiano smentito l’idea di un consumatore passivo e privo di strumenti di difesa di fronte a un messaggio pubblicitario, la concezione manipolatoria della pubblicità ha avuto molto successo nel periodo sopra ricordato tanto che, nell’ambito linguistico, semiologico e sociologico ha a lungo dominato l’idea della “comunicazione pubblicitaria come attualizzazione dell’antica tradizione retorica”. [Marrone 2001: 139] Dunque se, come ha scritto Eco[16], un tempo “la retorica classica si considerava un’arte (e una scienza) della persuasione”, allora la pubblicità, considerata come il linguaggio persuasivo per eccellenza, si basa necessariamente sull’uso della retorica.

       Codeluppi [1989: 123] ha sottolineato come la pubblicità utilizzi in parte ancora oggi tutti i generi di discorso retorico codificati da Aristotele nella Retorica: quello deliberativo (relativo a ciò che è utile o meno a una determinata realtà sociale), quello epidittico (lode o biasimo di persone o fatti), e quello giudiziario (riguardante la difesa nei confronti di un’accusa giusta o ingiusta). Inoltre la pubblicità utilizza anche i cinque elementi strutturali che, secondo gli antichi, caratterizzavano il discorso retorico: l’inventio (la ricerca degli argomenti del discorso), la dispositio (l’organizzazione di tali argomenti), l’elocutio (la traduzione degli stessi argomenti in figure retoriche efficaci), la memoria (la tecnica per memorizzare ciò che si deve dire e per tenere il filo del discorso) e infine l’actio (l’arte di porgere il discorso con la voce e gli atteggiamenti del corpo)[17].

          Ciò spiega il motivo per cui le prime ricerche linguistiche e semiologiche sulla pubblicità utilizzassero dei modelli teorici di tipo retorico. Da queste ricerche spesso emergeva una concezione critica nei confronti della pubblicità: Corti [1973: 120] ad esempio ritiene che la pubblicità non sia altro che un uso “non naturale della comunicazione linguistica” in quanto “sfruttamento delle possibilità linguistiche a fini esclusivamente economici”. Per fare questo, la pubblicità utilizza la retorica, che togliendo le parole e le immagini dal loro contesto abituale le inserisce in un altro, in modo da attirare l’attenzione dei consumatori e consentire loro la memorizzazione del messaggio.

        Le analisi semiologiche degli anni Sessanta-Settanta sono importanti soprattutto per due aspetti. Anzitutto perché hanno ripreso dalla retorica la differenza tra senso letterale e senso figurato delle entità linguistiche, riformulata poi come la differenza tra denotazione e connotazione.[18] [Marrone 2001: 142] Da questo punto di vista gli artifici retorici non sono più intesi come ornamenti che “abbelliscono” il messaggio senza modificarne il valore semantico; al contrario sono delle tecniche per moltiplicare i significati del testo, che pongono accanto al contenuto denotato tanti altri possibili significati connotati. Scrive Marrone [2001: 143] “Così, per esempio, il senso complessivo di un celebre brand name come Mulino Bianco si costruisce a diversi livelli di pertinenza: c’è il significato denotato, per cui si rinvia a un luogo di colore bianco dove si macina il grano; ma c’è poi una serie di significati connotati, sia in ‘mulino’ (tradizione, artigianalità, ambiente non cittadino, naturalità ecc.) sia in ‘bianco’ (purezza, pulizia, in contaminazione, verginità), che rinviano a universi culturali di tipo ideologico (città vs campagna), antropologico (cultura vs natura), estetico (scuro vs chiaro) ecc, la cui variabilità è notevolmente superiore rispetto a quella della codificazione strettamente linguistica dei due termini in gioco.”[19]

        In secondo luogo, anche se resta un forte sospetto nei confronti della pubblicità, grazie all’analisi retorica e alle ricerche effettuate in campo psicologico, viene superata l’idea giornalistica della comunicazione commerciale come persuasione occulta perché risulta evidente che il messaggio pubblicitario, per quanto persuasivo, non agisce su un destinatario passivo: il ricevente, infatti, interagisce con il messaggio, lo rielabora e ne produce una sintesi assolutamente personale.

 

 

   1.2.2. I modelli narrativi

       

       Con l’evoluzione delle dinamiche di consumo, le ricerche semiologiche basate sull’impostazione retorica sono risultate sempre più inadeguate a spiegare la comunicazione pubblicitaria, e questo sia per la valutazione sostanzialmente negativa della pubblicità che ne derivava, sia per i modelli teorici che venivano utilizzati. Soffermiamoci su quest’ultimo punto: gradualmente i modelli di tipo retorico iniziano a lasciare il passo a quelli di tipo logico-narrativo che caratterizzano (come vedremo nel prossimo paragrafo con Floch) le più recenti analisi sociosemiotiche della pubblicità. I modelli retorici infatti, pur contenendo idee di una certa importanza per l’analisi semiotica successiva, risultavano statici e quindi incapaci di spiegare i meccanismi profondi che generano il senso all’interno di un testo e quindi la stessa struttura testuale e il suo valore comunicativo. [Marrone 2001: 155] Alcuni esempi aiutano a chiarire la differenza tra i due modelli:

 

Consideriamo per esempio la questione retorica dell’immagine, e quindi delle figure retoriche che sarebbero presenti in essa. Se è indubbio che la piccola immagine di una Volkswagen collocata nella parte alta di un annuncio pubblicitario può essere interpretata come una litote visiva, ci sono molti altri casi in cui non è possibile isolare un segno dal resto del messaggio in cui è inserito, di modo che il rinvenimento del tropo retorico – verbale o visivo – esige una preliminare considerazione dell’intero testo. Prendiamo il caso di due annunci nei quali è presente la stessa immagine di una pesca. Il primo dei due è la pubblicità di uno yogurt alla pesca, e dunque quell’immagine è da leggersi letteralmente come un frutto con i suoi valori euforici di freschezza, naturalità e così via. Il secondo invece è la pubblicità di un fondotinta (nel quale troviamo scritto:«quando al vostra pelle si vuole pesca…»), dove quindi la figura della pesca è chiaramente una metafora del colore e della morbidezza della pelle. Così, senza analizzare l’intera strategia di comunicazione nel quale l’annuncio pubblicitario è inserito, non è possibile assegnare a nessuna delle sue parti un qualche valore retorico o semiotico. [Marrone 2001: 155][20]

 

     Da qui, come afferma Marrone [2001: 156], la necessità di sostituire l’analisi semiologica (che individua segni da classificare in apposite rubriche retoriche) con uno sguardo semiotico (che va in cerca delle strutture testuali che stanno al di sotto dei segni e che ne rendono possibile l’esistenza e il funzionamento). In altre parole, si passa da un intento esclusivamente classificatorio a una considerazione testuale dei procedimenti retorici della pubblicità. L’impiego dei modelli narrativi nello studio della pubblicità ha modificato fortemente l’impostazione retorica adottata dalla semiologia degli anni Sessanta-Settanta: infatti, mentre quest’ultima insisteva soprattutto sul nesso tra l’organizzazione linguistico-formale della superficie testuale (verbale e/o visiva) e gli obiettivi persuasivi del messaggio pubblicitario, l’indagine narrativa va più in profondità nell’organizzazione testuale e cerca di ricostruire le logiche interne all’intera comunicazione pubblicitaria analizzandola in tutte le sue componenti. [ibid.: 160]

 

 

1.3. L’analisi della comunicazione pubblicitaria nell’opera di Jean Marie Floch

 

    Come abbiamo accennato nell’introduzione, l’autore che ha contribuito maggiormente all’indagine semiotica della pubblicità e del consumo è senza dubbio Jean Marie Floch, uno dei più brillanti allievi di Algirdas Julien Greimas. Prima di vedere alcuni esempi di analisi in cui Floch cerca di tradurre semioticamente certi comportamenti di consumo,  consideriamo alcuni importanti aspetti del pensiero di questo autore. In proposito possiamo sottolineare tre momenti peculiari:

 

·        L’influenza strutturalista e greimasiana: Floch, infatti, ha sempre sottolineato nel suo approccio alle problematiche di marketing e comunicazione, la centralità e la priorità del senso per comprendere i fenomeni comunicativi. [Semprini 1990] L’influenza strutturalista è evidente soprattutto in tre aspetti dell’impostazione flochiana:

a)      la critica del concetto di segno, in quanto, secondo Floch, affrontare un’analisi basandosi solo sui segni significa limitarsi a  indagare solo la superficie del senso, senza interrogarsi sulla sua costituzione; occorre quindi, secondo quanto già affermato da Greimas, passare dalla considerazione dei segni a quella dei testi. Il segno infatti è solo il momento conclusivo di un processo molto più complesso.

b)      la posizione immanentista, e cioè il rifiuto di prendere in considerazione, nell’analisi di un testo, tutto quanto non appartenga direttamente al testo in oggetto; citando Greimas, Floch proclama “Fuor dal testo non v’è salvezza!”, nel senso che tutto è nel testo e niente deve essere cercato fuori dal testo stesso.

c)      La tendenza a organizzare il materiale da analizzare in categorie oppositive; in proposito bisogna ricordare una categoria che ricorre in quasi tutte le analisi flochiane, quella che si basa sull’opposizione continuo vs discontinuo.

·        L’eredità estetica: la formazione universitaria di Floch è legata essenzialmente alla storia dell’arte e all’estetica, e questo lo porta ad applicare le categorie proprie del mondo delle arti anche alle sue analisi  pubblicitarie. In particolare ricordiamo:

a)      l’attenzione per gli elementi figurativi e, all’interno di questi, alle loro componenti plastiche.

b)      l’utilizzo di categorie riprese dalla storia dell’arte per analizzare più in generale tutte le produzione figurative.

c)      Una riflessione sulle proprietà espressive di certe configurazioni figurative, e cioè i pittogrammi e i mitogrammi.

  • L’interesse per le ricerche di mercato: Floch ritiene che il semiotico possa offrire al ricercatore un triplice guadagno: una maggiore intelligibilità, una maggiore pertinenza e una maggiore differenziazione. In questo senso,  il contributo di Floch è stato notevole e l’incontro tra ricerca di mercato e semiotica ha permesso di riformulare le problematiche più importanti nel campo del marketing e della pubblicità, come ad esempio il comportamento di consumo.

 

    Secondo Floch, quindi, il lavoro semiotico deve sempre essere legato a un saper-fare pratico e analitico: solo a partire dai testi (letterari, pubblicitari, artistici, ecc) la semiotica trova la giustificazione della propria esistenza. Dunque la specificità dell’analisi semiotica sta proprio in una considerazione testuale dei propri oggetti di studio: come scrive Marrone [2001: 164], “essa testualizza il mondo e le sue figure per poterlo non solo spiegare ma anche comprendere”. Qualsiasi oggetto pertanto è degno di attenzione semiotica a patto che possa essere letto sub specie testuale. A questo proposito Marrone riporta le parole di Floch: “Gli oggetti di senso sono le sole realtà di cui si occupa e vuole occuparsi la semiotica. Essi costituiscono il punto di partenza e il punto di ancoraggio della sua pratica. La semiotica non cerca di rendere conto delle realtà matematiche, fisiche, ideali o quant’altre ancora. Anche l’ambiente nel quale si iscrivono o appaiono gli oggetti di senso – il famoso contesto di comunicazione – sarà preso in considerazione a partire dal momento in cui esso stesso è preso in carica come oggetto di senso, come testo” [Floch 1990: pp.43 sg.]

    Consapevole quindi della vocazione operativa della semiotica, l’autore applica questi concetti ad ambiti molto diversi tra loro come i modi di fruire della metropolitana di Parigi da parte degli utenti, la comunicazione di una grande banca francese come la Crédit du Nord, gli abiti di Chanel. Dato che in questa sede risulta impossibile ripercorrere tutte le analisi condotte da Floch[21], concentreremo la nostra attenzione sui tre saggi che più si avvicinano all’obiettivo di questo lavoro, iniziando con lo studio sui percorsi della metropolitana, passando poi a quello sulle automobili, fino a concludere questa sezione con un saggio legato soprattutto al concetto di identità, quello sulla comunicazione pubblicitaria di Waterman.

 

 

1.3.1. Una tipologia comportamentale dei viaggiatori della metropolitana

 

     Lo studio di Floch sui percorsi effettuati dagli utenti della metropolitana nasce nel momento in cui la Ratp (l’organismo semi-pubblico che gestisce l’insieme dei trasporti pubblici parigini, sia di superficie che sotterranei) si pone l’obiettivo di mettere le sue prestazioni commerciali allo stesso livello delle sue prestazioni tecniche: il tutto, ovviamente, al fine di aumentare gli introiti necessari allo sviluppo dei suoi servizi. Per raggiungere questo obiettivo però, afferma Floch [1990: 59], la Ratp deve prima risolvere alcuni problemi di fondo. Innanzitutto deve iniziare a considerare i viaggiatori non più come utenti, ma come clienti; in secondo luogo deve rendersi conto che quando i viaggiatori parlano dei mezzi di trasporto pubblici, il personale di stazione della metropolitana e del Rer[22] è generalmente assente dalla loro rappresentazione. Infine la Ratp deve imparare a conoscere i suoi viaggiatori, intesi come coloro che vivono un certo percorso.

    Chiariti questi aspetti, Floch si pone un interrogativo: come vive un viaggiatore il suo percorso? E ancora, quali sono i diversi modi di vivere un percorso? Per rispondere a questi interrogativi egli presenta una tipologia comportamentale dei viaggiatori della metropolitana e del Rer, considerando il “percorso del viaggiatore come testo da costituire e da analizzare” [1990: 61] Secondo Floch infatti il percorso può essere analizzato come un testo (e quindi può essere suscettibile di un’analisi semiotica) per alcuni motivi: anzitutto perché il percorso, come qualsiasi altro testo, “è circoscritto da dei limiti che lo definiscono come una totalità relativamente autonoma e rendono possibile la sua organizzazione strutturale”; in secondo luogo perché come un testo anche il percorso può essere l’oggetto di una segmentazione, ossia “di uno smembramento in un numero finito di unità, di tappe o di momenti che si collegano tra loro secondo determinate regole”; in terzo luogo, come un testo, un percorso ha un orientamento e quindi “può essere considerato un continuum finalizzato” (infatti, l’osservazione degli spostamenti mostra che i percorsi presuppongono una messa in tensione verso una conclusione).

    Dunque, osserva Floch, per comprendere i valori e le motivazioni dei viaggiatori della metropolitana parigina, bisogna leggere il loro percorso all’interno dei locali sotterranei come una forma di racconto. Per fare questo, prima ancora di intervistare direttamente un campione di viaggiatori, e cioè prima di mettere in evidenza il discorso sul percorso, si è ricostruito il discorso del percorso, ovvero il testo che c’è dietro i gesti e le attitudini che ogni giorno i viaggiatori mettono in atto. In altre parole, la prima fase si è basata sull’osservazione e sulla notazione delle differenti fasi del percorso di un viaggiatore: non è stato raccolto il discorsi dei viaggiatori sul loro percorso, ma piuttosto si sono registrati i loro “fatti e gesti” durante gli spostamenti. [Floch 1990: 60] In seguito i viaggiatori sono stati seguiti lungo tre tipi di percorsi: percorsi in metropolitana o in Rer diretti, percorsi che implicano solo un cambiamento di linea, percorsi che implicano solo un cambiamento di sistema di trasporto. I percorsi erano stati preventivamente analizzati, e su di loro è stata fatta una segmentazione spaziale, temporale e attoriale, fino ad arrivare alla riduzione dei fenomeni osservati alle sole sequenze gestuali (ad esempio: si concentra nella lettura, seduto, a testa bassa; leva la testa per osservare il paesaggio; tende l’orecchio per ascoltare una conversazione, e così via).

    Il lavoro di analisi pertanto è consistito, partendo dalle notazioni,  nel riconoscere un numero ridotto di micro-racconti di comportamento e nell’evidenziare le similitudini, le ricorrenze e le opposizioni che li caratterizzavano. Una volta rintracciate le similitudini e le opposizioni dei differenti micro-racconti si può notare, scrive Floch,  che i fatti e i gesti dei viaggiatori si organizzano a partire da una grande categoria, quella che vede l’opposizione tra continuità (quando “ci si lascia portare dal flusso, non si fa attenzione alle delimitazioni, ai limiti, ai confini; non si reagisce ai tempi forti del percorso. L’ambiente esterno è neutralizzato […] Che la linea sia in superficie o sotterranea, le posture saranno le stesse, gli stessi sguardi, la stessa concentrazione sul libro […]) e discontinuità. (coloro che sono legati a una strategia della discontinuità “manifestano una certa sensibilità ai giochi d’identità e d’alterità che propongono i passaggi simmetrici nelle biglietterie d’entrata e d’uscita, o la classificazione delle linee della metropolitana secondo l’atteggiamento e l’origine sociale dei viaggiatori che entrano ed escono dai vagoni.”) Alla base c’è quindi una relazione che sottende le diversità delle sequenze gestuali, dei micro-racconti: infatti, alcuni percorsi rivelano una strategia della continuità mentre altri risultano legati a una strategia della discontinuità [Floch 1990: 67] Possiamo proiettare questa categoria sul quadrato semiotico, una rappresentazione visiva dell’articolazione logica di una categoria semantica[23]:

 

 

 

 

    Figura 3 [Floch 1990: 68]

 

 

 

    La proiezione della categoria semantica discontinuità vs continuità sul quadrato semiotico permette di riconoscerne altre due, corrispondenti alle rispettive negazioni delle prime, e cioè la non discontinuità e la non continuità. Scrive Floch [1990: pp. 71-72]: “Negare la discontinuità significa collegare, scavalcare, mettersi di sbieco. Significa cercare d’anticipare l’ostacolo per eliminarlo.[…] Se la strategia della discontinuità è quella del percorso, della misura e del calcolo, la strategia della non discontinuità è quella dell’incastro, della trasgressione – nel senso letterale di passare al di sopra. La non continuità invece “corrisponde alla cesura, alla sospensione o all’interruzione, non alla rottura. Chi valorizza la non continuità attende l’inatteso. Si ferma alle animazioni ed è sensibile agli incidenti. Ama tutto quanto può sorprenderlo, colpirlo o rallegrarlo.

    Ora, secondo Floch, questi quattro modi di vivere il percorso rappresentano quattro valorizzazioni differenti del tragitto, ognuna delle quali implica logicamente un soggetto valorizzante. Abbiamo così quattro tipologie di viaggiatori, e cioè:

 

  • gli Esploratori, ovvero coloro che ricercano e apprezzano i tragitti discontinui, che possiamo definire percorsi; gli Esploratori valorizzano dunque la discontinuità, dando molta importanza a tutto ciò che incontrano nel loro cammino.
  • i Professionisti, che valorizzano la non-discontinuità e realizzano delle sequenze; per i Professionisti gli arredi o gli altri elementi che incontrano sono solo degli ostacoli al loro bisogno impellente di fare economia di tempo.
  • i Sonnambuli, che possiamo definire i viaggiatori della continuità in quanto valorizzano la continuità dello spazio all’interno della stazione, senza percepire ciò che in esso si trova; essi realizzano delle traiettorie.
  • i Bighelloni, infine, amano le passeggiate, cioè dei tragitti in cui sono valorizzate le non-continuità; essi danno quindi importanza allo spazio non-continuo delle stazioni, usandole come luoghi in cui andare a passeggiare o andare a trascorrere il tempo libero.

 

   Figura 4 [Floch 1990:73]

 

 

    Ognuno di questi quattro tipi di viaggiatori vive il percorso in una maniera diversa: gli Esploratori considerano il tragitto quotidiano come delle variazioni, “dei giochi di trasformazione produttori di senso”; per i Sonnambuli il tragitto quotidiano è un’ “istanza neutra, sulla quale innestare altre pratiche significanti”, come leggere, ascoltare musica; la sequenza prodotta da un Professionista sarà “un’attività di desemantizzazione, d’astrazione e di formalizzazione”, in cui sequenze di fatti e gesti diventano indivisibili, come stenografate; i Bighelloni, infine, cercano di vivere delle emozioni, delle situazioni improvvise e inattese in quanto amano “tutte le occasioni in cui il senso emerge senza essere ancora strutturato”. Floch ricorda che questi tipi di viaggiatori sono delle costruzioni, sono dei tipi interdefiniti, cioè sono definiti gli uni rispetto agli altri per deduzione, a partire dallo sviluppo di una categoria concettuale. Abbiamo così ottenuto una tipologia di consumatori della metropolitana ricavata non dall’osservazione empirica di un campione sociologico costituito a partire da osservazioni precedenti, bensì dall’articolazione profonda di una generale categoria semantica (continuità vs discontinuità), ossia dai principali modi in cui ogni individuo tende a percepire e a valorizzare lo spazio che lo circonda e che attraversa. [Marrone 2001: 168]

    Solo in una seconda fase dell’indagine questa tipologia astratta di attanti viene messa in relazione con il livello superiore degli attori che li incarnano socialmente, ottenendo così un quadro preciso dell’utenza della metropolitana parigina cui sottoporre i questionari necessari per conoscerne i gusti e le aspettative. Emerge così, ad esempio, che ogni tipo di viaggiatori reagisce diversamente rispetto all’offerta della metropolitana: gli Esploratori sono più sensibili ai lavori di decorazione e di rinnovo e quindi, visto che sono attaccati ai valori di riferimento, preferiscono ritrovare quanto già conoscono piuttosto che scoprire una nuova musica, un nuovo spettacolo (ma lo stesso vale anche per cambiamenti di minore rilievo come un colore o le affissioni); i Professionisti sono molto interessati ai particolari tecnici, come l’accessibilità delle stazioni, il loro equipaggiamento, la lunghezza dei corridoi o la larghezza delle scale;  i Sonnambuli presentano la relazione più fisica allo spazio delle stazioni e “lo classificano secondo la qualità, la densità che esse propongono al flusso dei corpi in movimento” (la loro preoccupazione è evitare le rotture brusche e quindi preferiscono la tranquillità delle piccole interconnessioni piuttosto che le grandi stazioni di scambio, la tranquillità dei posti a sedere piuttosto che i posti ai lati delle porte e intorno agli scorrimano); i Bighelloni preferiscono, infine, le stazioni ricche di spettacoli, incontri, animazioni, e cioè che offrano “la possibilità di osservare altro che la metropolitana”.

    Dunque, all’inizio Floch si è preoccupato di capire come viaggiano le persone e non perché. Solo un metodo di questo genere, a suo avviso, ha permesso in un secondo momento di domandare loro o di domandarsi perché viaggiano in quel modo:

 

                      È un po’ come se si dovesse  definire in astratto una chiesa romanica e una chiesa gotica, per poter poi analizzare delle chiese reali, sapendo fin dall’inizio che nessuna chiesa reale incarnerà la perfetta rappresentazione dei tipi definiti, e che si dovrà inoltre interrogarsi sul loro contenuto e sulle mentalità che questi due tipi di architettura rappresentano. [Floch 1990: 66]

 

 

1.3.2. Pubblicità di automobili e sistema dei valori di consumo

 

     Abbiamo visto che il quadrato semiotico permette di costruire una tipologia delle possibili forme a cui la comunicazione pubblicitaria ricorre per valorizzare gli oggetti che deve pubblicizzare. Nel momento in cui, nel percorso di generazione della significazione, ci concentriamo sul livello superficiale delle strutture semionarrative vediamo che un racconto, secondo l’ipotesi semiotica, è sempre la storia di un Soggetto che va in cerca di un Oggetto. Occorre sottolineare che l’Oggetto  non è importante di per sé, per le sue caratteristiche fisiche,  ma per il fatto di essere desiderato, cioè per i valori che il Soggetto gli attribuisce [Marrone 2001: 170] Per chiarire questo concetto Marrone riporta un esempio: “L’eroe (Soggetto) può per esempio voler ritrovare la principessa (Oggetto) rapita dal drago (Antisoggetto) per tante ragioni diverse: perché è una fanciulla (valore: bellezza), perché glielo ha chiesto il re (valore: autorità),  perché riceverà un compenso sostanzioso (valore: ricchezza), perché il drago è un diavolo maligno (valore: cristianità) e così via.” [2001: 170] Dunque, a prescindere dal contenuto semantico di tale valore, esso generalmente non è una caratteristica intrinseca dell’Oggetto cercato, ma piuttosto è un valore per il Soggetto, e quindi, scrive Marrone, “un qualcosa che serve alla realizzazione di quest’ultimo, alla costituzione e al riconoscimento della sua identità”. Per questo motivo esso viene chiamato valore di base o esistenziale.

     Ma una storia non è solo il resoconto del modo in cui il Soggetto si ricongiunge con l’Oggetto, ma anche il resoconto del modo in cui il Soggetto riesce a procurarsi i mezzi necessari a ricongiungersi all’Oggetto desiderato. Infatti, prima di congiungersi con il suo valore di base, il Soggetto deve entrare in possesso di altri Oggetti che gli permettono di avere la meglio sull’antisoggetto: “Deve per esempio trovare la spada fatata per uccidere il drago, deve ricevere l’anello magico che lo farà diventare invisibile […] e così via.” [ibid.:170] Anche questi Oggetti hanno un valore per il Soggetto, ma di tipo diversi rispetto al valore di base: sono strumenti di lotta, di affermazione, non Oggetti desiderati, e sono chiamati valore d’uso o pratico.

    Otteniamo così due classi di Oggetti narrativi presenti non solo nei romanzi e nelle fiabe popolari, ma anche in altri ambiti, tra cui, come interessa a noi in questa sede, la comunicazione pubblicitaria. Nelle campagne pubblicitarie però, osserva Floch, spesso valore di base e valore d’uso non sono due tappe successive di un unico percorso narrativo bensì elementi alternativi, cioè contrari. In altre parole, ci troviamo in presenza di una “conciliazione mitica di elementi contrari”[24] [Marrone 2001:170]: ad esempio, acquistiamo un’automobile o perché è pratica o perché  rappresenta bene la nostra identità; portiamo in giro il telefonino per lavoro (e quindi per essere reperibili in ogni momento) oppure per avere più libertà (quando non si desidera essere legati allo stesso luogo). Sono motivazioni contrarie che però possono coesistere. Così, nel vecchio annuncio della Simca 1100 una volta l’automobile pubblicizzata viene rappresentata nella sua bellezza esteriore, e quindi come oggetto del desiderio; un’altra volta nelle sue caratteristiche tecnico-pratiche; si giunge pertanto alla conclusione che i due aspetti coesistono miticamente nella vettura, in quanto essa risponde a due esigenze considerate socialmente contrarie. [ibid.:170]

    Partendo da questi presupposti Floch [1990] riflette nel modo in cui l’oggetto macchina viene valorizzato negli spot pubblicitari. Da qui la possibilità di proiettare sul quadrato semiotico l’opposizione tra una forma di valorizzazione utopica e una pratica, e quindi tra valori intesi come esistenziali, desiderati dal Soggetto,  e valori intesi come utilitari, necessari al raggiungimento dei primi. Ne viene fuori il seguente schema:

 

            Figura 5 [Floch 1990: 176]

  

 

     Come emerge da questo schema, Floch individua quattro tipi di valorizzazione:

 

·        La valorizzazione pratica, che corrisponde a valori “utilitari” come il confort, la maneggevolezza, la robustezza, l’affidabilità; ad esempio in un annuncio Volvo viene valorizzata l’automobile non per la sua bellezza o per le sue prestazioni, bensì per la sicurezza che offre ai bambini che si trovano sul sedile posteriore. In questo caso l’auto diventa l’Aiutante narrativo che favorisce la realizzazione  del programma di base di un Soggetto che, nel caso specifico, vuole garantire sicurezza ai figli. [Marrone 2001: 173]

·        La valorizzazione utopica[25], contraria a quella pratica, che corrisponde a valori “esistenziali” come l’identità, la vita, l’avventura; qui l’attenzione  del racconto pubblicitario non è più indirizzata verso l’oggetto pubblicitario ma verso il Soggetto che, congiungendosi con il suo oggetto di valore, realizza la sua identità. In alcuni spot di automobili, come ad esempio quello della Opel Corsa, c’è la totale identificazione del conducente alla macchina.

·        La valorizzazione ludica, ovvero la negazione dei valori “utilitari”, che comprende valori come il lusso, la raffinatezza, la “piccola follia”, la velocità. In questo caso l’Oggetto viene considerato per le sue qualità fisiche come la bellezza, il piacere che procura: un annuncio Bmw presenta l’automobile come un Oggetto che viene valorizzato non per il suo calore funzionale, ma, al contrario, per il solo piacere di essere utilizzato, tanto che lo su guida “senza motivo apparente”. [ibid.: 173]

·        La valorizzazione critica, corrispondente alla negazione dei valori “esistenziali”, che comprende valori come i rapporti qualità/prezzo, innovazione/costo, e così via. Qui l’Oggetto viene scelto soprattutto per la sua convenienza economica,  e quindi si darà importanza al costo, al consumo di benzina, alla robustezza; un esempio in proposito è dato da un annuncio Volkswagen in cui un personaggio usa la pompa di benzina come arma per suicidarsi, a meno di acquistare l’auto pubblicizzata che, come emerge dall’annuncio, ha bisogno di una quantità minima di carburante.  [ibid: 173]

 

    Si ottengono così quattro classi in cui si possono raccogliere tutte le possibili forme di razionalità che i consumatori (in maniera più o meno consapevole) mettono in atto al momento dell’acquisto; queste forme, come abbiamo visto, vengono riprese strategicamente dai testi pubblicitari che intendono rivolgersi a quel target specifico. [ibid: 175]  In particolare, gli esempi riportati da Floch mettono in evidenza due aspetti fondamentali: anzitutto che l’oggetto-macchina in sé è marginale in quanto diventa importante solo nel momento in cui il Soggetto lo riveste di determinati valori; in secondo luogo il fatto che il calcolo economico è solo una delle forme di razionalità messe in atto dai consumatori (quest’ultimi infatti scelgono un oggetto in base a valori che spesso non hanno nulla a che fare con il lato economico).

 

 

1.3.2.1. Lo spot della Citroën BX

 

    Alla luce di quanto detto fin qui, consideriamo adesso un esempio concreto di analisi in cui Floch mostra come in un famoso spot di Jacques Séguéla che pubblicizzava la Citroën BX l’automobile passi da un’iniziale valorizzazione pratica a una ludica e, infine, a una utopica. Vediamo allora come lo spot ha valorizzato quello che, negli anni Ottanta,  era il nuovo modello di Citroën partendo da una sintesi della sceneggiatura:

 

                        Mezzanotte, Parigi…, un’auto esce da uno svincolo d’autostrada scura e bagnata. L’ora, la città, i puntini di sospensione in sovrimpressione, così come il suono delle percussioni,   suggeriscono un’atmosfera da thriller. Il primo piano del film costituisce così una vettura rapida, sicura: l’automobile ideale per una gang. […] Il giorno si leva. L’auto rossa fila nella campagna. A bordo una passeggera, una giovane donna, borghese, sorridente, si toglie il cappello. Julien Clerc, la voce fuori campo, canta «J’aime, j’aime, j’aime». Primo piano di un fanale anteriore e di un fanale posteriore. Nuova inquadratura della ragazza seduta confortevolmente e campo lungo sulla vettura che prosegue la sua corsa fino al mare. Nessuna sequenza di rifornimento, nessun piano sul conducente. Alla decima inquadratura, diciassette secondi dopo l’inizio dello spot, l’auto corre sulla spiaggia. Una nuova sovrimpressione simmetrica alla prima, appare sull’immagine: «… ore 8, il mare». I punti di sospensione precedono questa volta l’indicazione dell’ora e del luogo. [Floch 1990: 182]

 

 

    In questo modo, sottolinea Floch, otteniamo un chiasmo che “assicura la conclusione di un racconto dove l’auto è il mezzo sicuro, rapido e confortevole per evadere dalla vita quotidiana e cittadina”. Con l’auto si può passare infatti dalla notte al giorno, dalla terra al mare, da Parigi sotto la pioggia al sole:

 

 

 

        tempo, luogo                                                                tempo, luogo

                                                 

                                      punti di sospensione                 punti di sospensione 

 

       MEZZANOTTE, PARIGI                         ORE 8, IL MARE

 

 

 

 

     Lo spot si potrebbe fermare qui, quando l’auto arriva in spiaggia; invece prosegue, e l’auto si tuffa in spiaggia con tutti i suoi occupanti. È dunque questa “piccola follia” a concludere la storia, una follia che rappresenta la negazione dei valori utilitari che avevano caratterizzato la BX nei primi diciassette secondi dello spot:

 

 

            Figura 6 [Floch 1990:184]

 

 

 

 

 

 

 

 

    1.3.3. L’identità visiva nella campagna pubblicitaria della penna Waterman

           

         Nel volume Identità visive [Floch 1995] incontriamo un altro tema spesso presente nelle analisi flochiane dei testi pubblicitari. Si tratta della nozione di identità e, più precisamente, della nozione di costruzione pubblicitaria dell’identità, che, come afferma Marrone [2001:196], non si forma soltanto a partire dai modelli pragmatici della narratività ma soprattutto a partire da fenomeni di tipo passionale ed estetico. Tenendo sempre presente la rilevanza di questo concetto,  soffermiamoci ora sul primo saggio scritto da Floch nel volume sopra ricordato in cui l’autore analizza una pubblicità a stampa della penna Waterman elaborata dall’agenzia di pubblicità McCann-Erikson nel periodo 1994-96. Si tratta di una storia di diversità e di somiglianze tra due fratelli: i due gemelli, apparentemente molto diversi, trovano alla fine una nuova identità comune. Dunque l’annuncio stampa, nel raccontare le carriere dei due gemelli e il ruolo della penna stilografica Waterman nel riconoscimento dei loro percorsi di vita comune, parla di identità, e in particolare di identità visiva. [Floch 1995: 32] Come scrive Pozzato [2001: 258]  Floch vede in questa pubblicità una sorta di parabola di ogni processo di costruzione di identità, compreso quello operato dall’analisi semiotica che procede instaurando relazioni e raccordando discontinuità”.

           L’attenzione che Floch riserva a questo annuncio deriva dalla sua ricchezza narrativa e di linguaggio. Il messaggio in esso contenuto infatti si offre all’analisi come “un vero e proprio sincretismo di linguaggi”: testo, fotografia e logo si uniscono per dare senso e valore alla penna stilografica. Quindi “l’annuncio giustifica perfettamente l’opzione per la semiotica, poiché essa ha per oggetto la descrizione dei percorsi suscettibili di produrre significazione, finché quest’ultima venga finalmente manifestata dai diversi tipi di linguaggi e di segni.” [Floch 1995: 32] Analizzare un testo pubblicitario dal punto di vista semiotico significa considerare la totalità di questo oggetto di senso e procedere alla sua segmentazione in un certo numero di unità, dette di manifestazione. [Floch 1995: 33] L’annuncio Waterman può essere diviso in due parti principali:

 

·        La prima, che produce un effetto di realtà concreta (una lettera manoscritta e, disposti intorno a questa, una penna stilografica e una vecchia fotografia). Il testo che si riferisce alla prima parte dice:

 

    « Nel momento in cui tu entravi nella facoltà di Legge,

io partivo a salvare le balene azzurre.

Quando tu facevi la tua prima arringa,

io scendevo il Rio delle Amazzoni.

Poi ci fu il tuo studio internazionale

e la mia missione scientifica.

Per il tuo compleanno, tu mi hai offerto

questa Waterman e io mi sono ricordato

di come eravamo simili»

 

Se si osserva l’annuncio Waterman dal punto di vista narrativo, vediamo che questo annuncio racconta la storia di due gemelli che in apparenza sono diversi ma che, una volta ricostruite le tappe principali della loro esistenza, scoprono invece di essere molto simili. La somiglianza non è solo fisica ma soprattutto sociale e caratteriale: “Laddove il Tu – dopo aver seguito l’iter necessario – è entrato a far parte di un prestigioso studio legale internazionale, l’Io – dopo una serie di avventure ed entusiasmi – ha potuto realizzare un’importante missione scientifica. [Marrone 2001: 197] Dunque, nota Marrone, in questo racconto pubblicitario è presente il meccanismo narrativo del riconoscimento (ad esempio per il fatto che due carriere molto diverse sono in realtà legate da una comune volontà di affermazione), che viene attuato grazie all’Oggetto cui mira la comunicazione pubblicitaria, e cioè la penna Waterman.

·        La seconda parte, che produce un effetto di messaggio pubblicitario, e cioè un discorso di marca, è invece costituita dal testo tipografico dell’annuncio (in cui si parla della penna) e dal logo. Se osserviamo l’annuncio in quanto discorso pubblicitario, è necessario innanzitutto chiedersi quali sono le configurazioni discorsive che un oggetto come una penna Waterman può richiamare. Vediamo così che ci sono due possibili configurazioni: la prima legata alla scrittura, e cioè all’uso concreto dell’oggetto; la seconda connessa al dono, e quindi al contesto sociale d’acquisto di una penna costosa ed elegante come la Waterman. La Waterman non è solo una penna che serve per scrivere ma è soprattutto un oggetto che viene regalato in occasioni speciali. Dall’annuncio la prima configurazione emerge solo a livello implicito in quanto è la seconda a essere enfatizzata. Bisogna però considerare, continua Marrone, che c’è un rovesciamento di prospettiva: il Soggetto che si realizza nel momento in cui si congiunge con l’Oggetto non è chi acquista la penna per regalarla (cioè il presunto destinatario dell’annuncio) ma colui che la riceve in dono (il consumatore effettivo dell’oggetto). Scrive Marrone: “Che la Waterman sia un buon possibile regalo viene insomma detto non tanto da chi si trova in qualche modo costretto a fare quel regalo, quanto da chi, ricevendolo, lo gradisce”. In questo modo la penna Waterman “si colloca al punto di incrocio dei due diversi livelli discorsivi: quello della narrazione (enunciato) e quello della comunicazione pubblicitaria (enunciazione).”   [ibid.: 197]

 

L’analisi di Floch si sofferma inoltre su due temi presenti nell’annuncio:

 

·        Lo spirito del dono

Secondo Floch occorre considerare il dono della penna come “una sorta di sanzione individuale dell’Io fatta dal Tu”, mentre la fotografia  come il controdono che l’Io fa al Tu (come se fosse un’ulteriore sanzione individuale del fatello-donatore: è come se, al momento di piegare il foglio e di spedire la lettera, l’Io-scienzato abbia inserito nella busta la vecchia fotografia che lo ritrae insieme al fratello) [Marrone 2001: 197] Tramite questo meccanismo del dono e controdono la penna non è più solo un oggetto che può essere regalato ma soprattutto il mezzo di riconoscimento di un’identità profonda. La penna acquisisce così un valore affettivo di  riconoscimento reciproco per i soggetti della storia, valore che non può essere ricondotto, come scrive Marrone, a una questione economica (prezzo elevato) o sociale (status symbol).

·        Il mito dei gemelli

In questo annuncio viene riproposto il tema antico della “gemellarità”, e cioè di quella coppia di esseri nati dalla stessa madre, al tempo stesso molto simili e molto diversi che seguono ognuno la propria strada per poi ritrovarsi insieme alla fine della vita. [Marrone 2001: 197] Lévi-Strauss sottolinea come in molte delle storie relative ai gemelli[26]  i due fratelli vengano spesso dipinti con caratteri opposti. Anche nell’annuncio Waterman è infatti possibile rintracciare alcune categorie semantiche opposte come ordine/disordine, avventura/disavventura, sapere/fare ecc.

 

    Occorre infine sottolineare un altro aspetto di grande importanza: in questo annuncio, il Soggetto che scopre la somiglianza profonda tra i due fratelli è uno dei fratelli. Lo scienziato è dunque al tempo stesso protagonista della storia (cioè Soggetto dell’enunciato) e suo narratore (ossia Soggetto dell’enunciazione); in altre parole, egli non si limita a dire “io” ma “compie tutte le operazioni cognitive necessarie per ricostruire, a partire da una serie disordinata di apparenze, lo schema narrativo che egli e il fratello condividono in profondità” [Marrone 2001: 200] L’Io, pertanto, sarebbe un semiologo senza saperlo, cioè un Soggetto cognitivo che a partire da un insieme di differenze, ritrova un’identità e scopre, al di sotto della superficie  degli eventi variabili della vita dei due fratelli, le ricorrenze invarianti che si trovano nel livello narrativo profondo.

 


 

         2. Il consumo nell’epoca della postmodernità

 

 

    Nel capitolo precedente abbiamo cercato di mostrare la specificità del discorso semiotico, sottolineando come l’analisi semiotica della pubblicità possa diventare una vera e propria indagine sociale sulle motivazioni di consumo. Ora, per approfondire le problematiche relative al mondo del consumo è necessario cambiare prospettiva e riflettere sugli aspetti evidenziati precedentemente da un altro punto di vista, quello sociologico. Il consumo, come abbiamo già accennato nella parte introduttiva, sta conoscendo una profonda trasformazione dovuta ai cambiamenti che interessano la nostra società. Di fronte a tali cambiamenti muta anche il profilo ideale del consumatore perché anche quest’ultimo è immerso nel flusso del cambiamento che è attualmente in corso. Ma in cosa consistono questi cambiamenti?

     Come abbiamo visto[27], l’era della modernità si avvia al tramonto, lasciando il passo all’epoca nuova della postmodernità. [Fabris 2003] Stiamo entrando dunque in una nuova fase della storia che, se per alcuni aspetti rappresenta la negazione della modernità, allo stesso tempo vede coesistere al suo interno molti aspetti di quest’ultima. Innanzitutto occorre precisare che il termine postmodernità non indica una fase avanzata della modernità, ma una vera e propria cesura, un epoca caratterizzata quindi da  nuovi metodi di produzione e nuove tecnologie, rispondente a regole e paradigmi inediti: una società complessa dove non c’è linearità ma tutto è interconnesso. Il fatto di non essersi data un nome riflette la volontà di una società che, anche nel consumo, non vuole certezze e rifiuta le grandi ideologie che hanno caratterizzato l’età moderna. Se cardine della modernità era la produzione, oggi al centro è proprio il consumo, sempre meno di merci e sempre più di simboli e di segni: la performance del prodotto è superata dai significati semiotici degli oggetti. Gli oggetti stessi non sono più gli status symbol di una volta, ma dei mezzi liberamente scelti e combinati per comunicare la propria identità. Per una prima comprensione delle differenze che intercorrono tra le due epoche possiamo individuare, seguendo le indicazioni di Fabris [2003: pp. 29 sg.], alcuni tratti propri della postmodernità:

 

·        Un  primo aspetto che possiamo evidenziare è che nella postmodernità sempre più il virtuale si intreccia con il reale, nel senso che la differenza tra realtà e simulazione è sempre più sottile. Basti pensare a Disney World, il mondo della fantasia per eccellenza, che diventa un paradigma architettonico per la costruzione di molte città americane [ibid.: 34], o ai nuovi luoghi di consumo, nei quali c’è una continua contaminazione tra reale e immaginario.

·        Mentre nella modernità i prodotti si caratterizzavano per la loro fisicità, ossia per le caratteristiche strutturali e il loro valore d’uso, nella postmodernità i prodotti si dematerializzano e si trasformano in segni, simboli e comunicazione. “In un mercato moderno lo spazio che le merci presidiano nell’universo semiotico non è meno importante di quello che occupano negli scaffali della vendita.” [ibid.: 49] Baudrillard [1979] ad esempio sottolinea come l’analisi di Marx della produzione di merci sia da considerarsi superata proprio perché il capitalismo odierno non si occupa più di beni materiali bensì di segni e immagini. Dunque nella società postmoderna i prodotti- segno diventano una forma di linguaggio che ha al suo interno proprie regole e convenzioni. Ciò implica che possiamo parlare e interagire con gli altri mediante il linguaggio verbale, ma anche facendo ricorso al nuovo alfabeto degli oggetti.

·        Cresce l’interesse per l’apparenza, intesa come la superficie, l’esterno; ciò non esclude l’interesse per l’interno, per il contenuto, per l’essere e la verità. Non è appropriato dunque parlare di differenza tra avere ed essere[28], ma solo di un aumento dell’interesse per la dimensione dell’apparenza.

·        Cambia il rapporto con il consumatore e si realizzano inattese convergenze tra gli interessi di quest’ultimo e quelli delle imprese: tale fenomeno è dovuto al fatto che oggi i mercati versano in una fase di maturità e, in una situazione del genere, per le imprese diventa fondamentale la fedeltà dei loro clienti. Mantenere un cliente infatti costa meno che conquistarne nuovi. Per raggiungere questo risultato bisogna tener presente che nella postmodernità la concezione del consumo è profondamente cambiata: alla visione del consumo propria del marketing tradizionale, che legava il consumo al concetto di utilità, si contrappone l’idea del consumo come esperienza, che implica l’inerzia, la fantasia, lo spreco del tempo, il ludico, ma anche l’amore[29].

·        Si diffondono nuove tecnologie in un lasso di tempo estremamente ridotto: pensiamo ad esempio alle nuove tecnologie della microelettronica, dell’elaborazione dati, delle telecomunicazioni, ecc; non a caso, riferendosi alla nostra società, si parla spesso dell’era di Internet o, con un’espressione di Simone [2000], della Terza fase.

·        I modi di produzione cambiano rispetto ad alcuni anni fa: la produzione viene delocalizzata, l’utilizzo dell’informatica rende la produzione flessibile, l’industria perde la sua tradizionale centralità, si diffondono modelli produttivi che usano la rete, dai beni materiali si passa ai servizi, dai contenuti hard dei prodotti a quelli soft.

·        L’indifferenziazione diventa uno dei tratti fondamentali della nuova società. In effetti, mostra Fabris, se prima il giornalaio vendeva solo giornali, ora diventa un emporio indifferenziato che vende più cose diverse tra loro; i negozi che includono nell’insegna “non solo…” sono indicativi di questa tendenza.

·        I bisogni cedono il passo ai desideri: ciò avviene perché  nella società postmoderna  i bisogni sono stati quasi del tutto soddisfatti e pertanto sono i desideri a indirizzare la maggior parte delle scelte di consumo.

·        Un altro aspetto della postmodernità è rintracciabile nel declino del primato della mente e della vista: il consumo infatti è sempre più valutato dalla totalità dei sensi. Per questo motivo si parla di polisensualismo.

·        Cambia il concetto di identità: l’identità diventa più sfuggevole, flessibile, indeterminata. Nella postmodernità le appartenenze si moltiplicano e il consumatore passa da un’identità all’altra a seconda del contesto in cui si trova a operare: l’identità basata sulla coerenza comportamentale appartiene al passato, non è più conciliabile con l’uomo di oggi. Ogni individuo infatti è caratterizzato da tante identità che coesistono al suo interno: è “polimorfo e proteiforme”, agisce più sotto la pressione delle circostanze che seguendo le proprie convinzioni.

 

    Riassumendo quanto detto fin ora, la postmodernità vede l’individualismo contrapporsi all’universalità, la pluralità al consenso, il dissenso al conformismo, l’eterogeneità all’omogeneità, la differenza alla somiglianza; in altre parole, la razionalità lascia il posto al paradosso, all’incertezza e alla mutabilità. [Fabris 2003: 37] Dunque, sta prendendo vigore “l’etica polimorfa della fluidità, ambiguità, camaleontismo, pragmatismo, flessibilità, localismo, fusività, multidimensionalità, olismo, interesse per la vita banale di tutti i giorni. [ibid.: 35] Potremmo dire che è il collage la forma principale del linguaggio contemporaneo.

    Di fronte a uno scenario così complesso risulta piuttosto difficile comprendere a fondo l’identità e le scelte del consumatore postmoderno poiché quest’ultimo non è soltanto la forma evoluta del consumatore moderno, ma è profondamente diverso dal modello di consumatore con cui prima si era soliti confrontarsi. Già verso la metà del secolo scorso le Ricerche Motivazionali avevano dimostrato la distanza del consumatore dalla figura dell’homo oeconomicus (razionale e proteso alla massimizzazione dell’utilità), sottolineando la rilevanza della componente emotiva nelle decisioni di consumo. Nel momento in cui si parla del consumatore postmoderno le cose si complicano ulteriormente perché egli “non si caratterizza solo per dare più spazio alle emozioni, alla sensorialità; per impiegare il consumo come segno e comunicazione della propria identità; per esprimere una propria autonomia dal mondo della produzione; […] al ricorrere, anche negli acquisti, alla creatività, alla creatività ed all’immaginazione.” [ibid.: 38] Il consumatore postmoderno infatti opera in una condizione di “discontinuità, pluralità, disordine, ambiguità, paradosso, molteplicità delle verità, fluidità, libertà.” [ibid.]

    Quanto appena detto comporta che la razionalità non sia più il fattore determinante nelle scelte di consumo: fattori psicologici ed emotivi interagiscono costantemente nell’indirizzare le scelte del consumatore. Siri[30] a questo proposito afferma  che la razionalità della scelta tra una marca e l’altra non va riscontrata tanto nella convenienza quanto nella confusione che questo acquisto crea tra realtà e potenzialità, tra desiderio e quotidianità, tra complicità e isolamento. Dunque, il consumatore postmoderno è caratterizzato da un accentuato pragmatismo e non valuta più le sue scelte sulla base di antiche dipendenze dalla marca, in quanto è un consumatore laico, deideologizzato, curioso, che sceglie all’insegna del case by case approach. Nelle pagine che seguono cercheremo di approfondire alcuni di questi aspetti, soffermandoci su quelli più vicini al tema affrontato in questo lavoro.

 

 

2.1. I nuovi scenari del consumo

 

    Nel momento in cui si entra nell’epoca nuova della postmodernità il consumo, come abbiamo indicato precedentemente, conosce delle profonde trasformazioni. In particolar modo occorre sottolineare la presa di distanza da due concezioni del consumo: anzitutto dalle interpretazioni del consumo come status symbol; in secondo luogo dall’idea del consumo come linguaggio della produzione. Cerchiamo di analizzare separatamente questi due aspetti, iniziando dal primo.

    Secondo Veblen [1981] il consumo, soprattutto nelle sue manifestazioni più vistose, sarebbe legato alla competizione e all’emulazione. In base a questa teoria, le classi meno abbienti cercherebbero di imitare la classe agiata nei comportamenti di consumo: consumare determinati beni significherebbe, infatti, avvicinarsi a quello stile di vita così ambito e difficilmente penetrabile proprio della classe agiata. Ad esempio, il New York Times, un giornale di stampo conservatore, destinato a ceti agiati e colti in quanto ricco di notizie finanziarie, era per le classi meno abbienti uno status symbol, simbolo di prestigio e di rispettabilità sociale. Chiunque avesse letto quel giornale avrebbe quindi potuto far credere di essere ciò che in realtà non era: cioè un membro della classe agiata. Non a caso si sostiene che questo giornale abbia avuto successo perché apparso in un periodo di emulazione diffusa e consumo vistoso. [Zocchi Del Trecco 2002: 31] Il consumo pertanto si baserebbe sulla competizione e sull’ostentazione del successo in quanto le classi meno abbienti avrebbero bisogno di imitare la classe agiata, di mostrare  agli altri l’appartenenza a uno strato medio-alto.

    Questa dinamica dei consumi, però, anche se probabilmente caratterizzava la società americana nell’epoca descritta da Veblen (ossia la fine dell’Ottocento), secondo Fabris [2003: pp. 52 sg.], solo in parte mostra delle analogie con la società europea: in Europa infatti l’attrazione della classe agiata si diffonde principalmente negli strati superiori, interessando solo in modo marginale le altre classi. Ciò sembra vero soprattutto se prendiamo in considerazione l’epoca della postmodernità, caratterizzata dalla presa di distanza dalle interpretazioni del consumo come indicatore di prestigio e di classe sociale. La sociologia vedeva nella simbologia degli status uno dei più importanti fattori esplicativi la dinamica dei consumi e il livello di consumo era  considerato un significativo indicatore del rango sociale. Anche gli economisti riconoscevano l’unica eccezione alla teoria del consumo come massimizzazione  dell’utilità proprio nell’idea del consumo come status symbol.

    Dunque, i meccanismi di emulazione e ostentazione sono stati considerati per molto tempo un fattore imprescindibile  nell’analisi delle dinamiche di consumo. In particolare, i prodotti che svolgevano  una maggiore funzione nella connotazione di status erano i gioielli, l’auto, l’abitazione, i luoghi dove trascorrere il tempo libero, alcuni mezzi di trasporto come l’aereo, e così via. Il ricorso a questa spiegazione non consente però di comprendere pienamente le scelte del consumatore postmoderno: egli infatti non aspira più a imitare gli strati sociali più abbienti perché quest’ultimi non sono più considerati dei modelli di riferimento. Il prestigio diviene ora una categoria ambigua ed è considerata sempre meno importante  nelle motivazioni di consumo [ibid.: 58]: l’individuo consumatore aspira semmai a vivere meglio, a contornarsi di prodotti che migliorano la qualità della vita, non ad acquistare prodotti atti a conferirgli  una condizione di prestigio.

    Bisogna soprattutto considerare che il consumatore postmoderno  tramite le sue scelte di consumo aspira a comunicare agli altri la sua personalità, il suo modo d’essere; pertanto non cerca di dimostrare una diversità o superiorità rispetto ad altre persone, ma piuttosto cerca autenticità e coerenza con le sue tante identità. Questo cambiamento di prospettiva rispetto alla teoria della classe agiata deriva in buona parte dalla segmentazione della società contemporanea: non esiste più un simbolo di status univoco perché anche gli status symbol hanno conosciuto una loro frammentazione. Ogni ceto, ogni stile di vita ha un proprio simbolo di status e, di conseguenza, non esistono più status symbol aventi una valenza universale. [ibid.: 59] Il prestigio che poteva caratterizzare determinati prodotti lascia il posto all’attualità culturale: il consumatore sceglie alcuni prodotti perché rispecchiano i valori culturalmente egemoni.

    Veniamo ora al secondo aspetto che abbiamo sottolineato, ossia al tramonto della concezione del consumo come linguaggio della produzione:

 

                   Ipersemplificando il consumo come linguaggio o ideologia della produzione può essere così riassunto. Non esiste alcuna autonomia del consumo – se non nelle microscelte – perché questo è interamente indotto e determinato dalla produzione: è una variabile in larghissima misura dipendente da questa. L’orgogliosa illusione che il consumatore ha di essere completamente libero e padrone nelle sue scelte è un’ulteriore mistificazione che gli interessi coalizzati dei produttori contribuiscono a perpetuare. Il modello consumistico scelto dalla società capitalistica è l’omologo del fordismo sul fronte del lavoro ed è funzionale alle esigenze del capitalismo che ha bisogno di un’espansione ininterrotta dei consumi per assicurarsi il mantenimento del profitto. La produzione […] si accorge successivamente di aver bisogno di un surplus di collaborazione dal proletariato industriale perché assorba […] la merce stessa che produce. Il lavoratore si trova così nella situazione di essere sfruttato due volte: come lavoratore, all’interno dell’azienda, e come consumatore al di fuori. [Fabris 2003: 60]

 

 

    Questa visione del consumo è stata per molto tempo dominante nel nostro Paese: il mondo della produzione cercherebbe di manipolare il consumatore e quindi di limitarne la libertà di scelta. In altre parole, il consumatore sarebbe costantemente manipolato dal mondo della produzione, il quale creerebbe in continuazione dei falsi bisogni, spingendo ad acquistare determinati prodotti piuttosto che altri o ad acquistare più del necessario. Per fare questo il mondo della produzione utilizzerebbe il più potente dei suoi strumenti: la pubblicità. Ma, a dispetto di tale concezione, ciò che sta avvenendo attualmente vede decadere l’immagine del consumatore come vittima della manipolazione di chi produce o vende: il consumatore infatti acquisisce sempre più discrezionalità e autonomia nei confronti dei messaggi pubblicitari. Come afferma Fabris [2003: 63], ne è conferma anche il cambiamento nel lessico che descrive i rapporti tra industria e consumatore che ha ormai abbandonato i vecchi termini di suggestione e persuasione per adottare quelli di influenza e comunicazione; lo stesso paradigma si è capovolto anche nello studio dei rapporti tra pubblicità e consumatore, spostando la prospettiva di analisi da “cosa la pubblicità fa al consumatore” a “cosa il consumatore fa alla pubblicità”. [ibid.] Il consumo quindi sta acquisendo una crescente autonomia diventando così un vero e proprio linguaggio di se stesso.

 

 

2.1.1. La deideologizzazione e la dematerializzazione del consumo

 

    Accanto agli aspetti sottolineati nel paragrafo precedente, la postmodernità segna il tramonto di un altro aspetto tipico dell’epoca che ci stiamo lasciando alle spalle: si tratta dell’influenza che le ideologie hanno sempre esercitato nelle scelte di consumo. Assistiamo, in altre parole, a un processo di laicizzazione del consumo e del consumatore. La deideologizzazione del consumo è un tratto proprio dell’epoca in cui stiamo entrando perché nel nostro Paese ha regnato per molto tempo una forte ideologizzazione del consumo stesso: le due grandi subculture del nostro Paese, quella cattolica e quella marxista [Fabris 2003: 64], pur essendo profondamente diverse tra di loro, hanno sempre avuto in comune una forte diffidenza verso il mondo del consumo. La prima condannava il consumo (e in particolare le forme più appariscenti del consumo) nel timore che il perseguimento di obiettivi materialistici potesse distogliere il fedele dalla dimensione spirituale; la seconda invece riteneva che la dedizione al consumo potesse indebolire l’impegno politico e lo spirito rivoluzionario. Da qui il forte sospetto verso tutte le forme di consumo, la diffusione della cultura dei bisogni pochi e semplici e, più recentemente, la condanna del consumismo.

    Questa forte caratterizzazione ideologica sta ormai tramontando e, in tal modo, il consumo si affranca dal sospetto di materialismo e di ingiustizia sociale: basti pensare che oggi la propensione al consumo cresce anche nei periodi recessivi [ibid.: 65] Tra le ragioni che hanno influito alla secolarizzazione del consumo ne emerge una di particolare importanza, individuabile nel crollo del muro di Berlino e nella conseguente dissoluzione della subcultura marxista. Questo processo fa parte comunque del più generale crollo delle ideologie che sta avvenendo nella postmodernità, da cui deriva l’attuale orientamento al pragmatismo. In tutto ciò ha avuto un ruolo fondamentale la crisi  economica degli anni Novanta che ha reso oggetto del desiderio molti prodotti inaccessibili a causa dello scarso reddito disponibile. Le limitazioni nei consumi dovute alla difficile situazione economica hanno determinato la valorizzazione dei beni a cui si doveva rinunciare: il consumo diventava così una componente essenziale di quel benessere che sembrava compromesso. [ibid: pp. 65-66]

    Se è vero quanto appena detto, con la deideologizzazione del consumo si può parlare ancora di consumismo? Il consumismo, considerato un tratto caratterizzante dei Paesi industriali avanzati, rappresenta un’accezione negativa del consumo: secondo questa concezione del consumo, gli individui, attirati dalla superficialità del modo delle merci,  non sarebbero in grado di resistere alle continue seduzioni del mercato. Caduta la rilevanza delle due grandi subculture del nostro Paese, questa accezione sembra non trovare più fondamenti nella realtà, soprattutto per il fatto che i consumi hanno permesso agli individui di migliorare la qualità della loro vita e non hanno dato luogo a eccessi o a patologie del consumo come si credeva precedentemente. L’accusa appare infondata soprattutto se si guarda al nostro Paese dove “il good value for money sta divenendo una sorta di must per il moderno consumatore” [ibid.: 67]: i nuovi atteggiamenti del consumo sono influenzati dall’idea di spendere bene, gestendo il proprio denaro con intelligenza.

    Inoltre, parlare di consumismo risulta piuttosto difficile di fronte alla crescente dematerializzazione  dei prodotti: quest’ultimi infatti perdono sempre di più la loro materialità per diventare segni e linguaggio. Quella che una volta era chiamata società dei consumi sta diventando la società meno materialistica mai esistita [ibid.: 68]: questa affermazione a prima vista potrebbe sembrare un paradosso, ma il paradosso è solo apparente se si considera che nella società contemporanea i beni si vanno sempre più dematerializzando. Fabris ricorda in proposito che non solo assistiamo da tempo al crescente processo di miniaturizzazione dei prodotti (che sono sempre più leggeri e ridotti nelle dimensioni) e alla transizione verso un’economia dei servizi, ma ciò che si scambia sul mercato è rappresentato solo apparentemente dai prodotti, perché in realtà vengono scambiate immagini, segni e messaggi. Non è certo un caso che proprio dalla semiotica, la scienza appunto dei segni, sono venuti recentemente alcuni dei contributi più interessanti allo studio del consumo.

    Il consumo dunque, nelle sue più recenti teorizzazioni, viene interpretato come linguaggio [Paltrinieri 1988]; quindi per comprendere le leggi e le tendenze di fondo del mercato occorre riferirsi a quest’ultimo come a un articolato sistema di simboli, codici, significanti e significati. [Fabris 2003: 68] Il valore d’uso tende a essere progressivamente oscurato dal valore simbolico del bene; allo stesso modo, il valore di scambio si trasforma in scambio di significati. Scrive Fabris [2003: pp. 68-69]: “il valore di un bene è anche, e forse soprattutto, un valore semantico e valoriale con cui ci esprimiamo e con cui comunichiamo con gli altri”; in altre parole, “comperiamo degli oggetti non soltanto per i loro contenuti performativi ma per la loro capacità di veicolare messaggi”.

    La valenza comunicativa degli oggetti non è una scoperta recente: che gli oggetti comunichino un variegato universo di significati è noto sin dai tempi più antichi (pensiamo ad esempio alla capacità comunicativa di un abito, della decorazione del corpo, ma anche della spada, dell’elmo o dell’armatura). Esiste quindi, nell’immaginario collettivo, una sorta di dizionario del significato dei beni: per alcuni[31] tali significati sono stabili, quasi immutabili nel tempo; per la maggior parte invece si tratta di un dizionario in progress, che viene continuamente riscritto e aggiornato[32]. In quest’ottica la pubblicità ha un ruolo che va al di là della sua tradizionale funzione di vendita o di induzione al consumo perché, rispetto a un “virtuale polimorfismo degli oggetti”, essa contribuisce a restringere il campo dei significati possibili, a selezionare quelli culturalmente più attuali e desiderabili e a fissarli sull’oggetto. Ciò implica che nel processo di scelta alla fisicità di un prodotto “subentra il significato che questo riveste all’interno di una complessa, ma a tutti cognita, grammatica sociale. [ibid.: 70] Come osserva Baudrillard [1969], l’oggetto per diventare oggetto di consumo deve diventare segno. Il cibo, un abito, un cosmetico hanno in parte perso la loro funzione primaria (ossia il loro valore d’uso) per trasformarsi in comunicazione: possiamo dire quindi che in un mercato moderno sono i messaggi a competere, non i prodotti. Ad esempio, dietro l’acquisto di un’auto sportiva può esserci la promessa di gioventù o di virilità; dietro l’acquisto di un profumo la seduttività, e così via. “Del resto”, ricorda Fabris [2003: 71], “la funzione istituzionale della pubblicità è sempre stata quella di vendere promesse, sogni, desideri: di trasformare la fisicità dei prodotti nell’immaterialità dei sogni.”

 

     Gli oggetti vengono consumati in quanto segni e la realtà coincide completamente con tali segni. Il consumo diviene dunque un codice di comunicazione, un linguaggio in cui i singoli oggetti divengono termini con un precisi significato. Il consumo si trasforma  da consumo dell’oggetto a consumo del segno. [Sartorio e Martinengo: 1995]

 

 

    Quindi, più che di consumo dell’oggetto si parla oggi di consumo del segno, e il segno, ricorda Fabris, è soprattutto la marca. La marca è sempre più caratterizzata dal distacco dalla componente materiale: essa non solo sta prendendo le distanze dai prodotti cui era inizialmente associata, ma spesso se ne distacca a tal punto da non essere più riconducibile a nessuno di questi. Pensiamo ad esempio a una delle grandi marche del villaggio globale, Disney: questa marca non si identifica con nessun prodotto specifico, ma con un sistema di segni che trasforma il significato dei prodotti a cui si appone. [Fabris 2003: 72] La marca dunque, nelle sue manifestazioni più recenti, esprime la nuova realtà della dematerializzazione dei prodotti. In tutto ciò non bisogna dimenticare l’importanza della pubblicità: “la pubblicità trasforma le merci in significati, crea una grande enciclopedia di senso di facile accesso e cognita a tutti, genera un alfabeto e un linguaggio e svolge un ruolo primario nella etichettatura sociale delle merci che il consumatore completerà poi divenendo parte attiva nella costruzione di una sintassi del consumo.” [ibid.: 71]

    È importante sottolineare che i consumatori non si limitano a recepire passivamente i messaggi inviati loro, ma aggiungono significato nella ricezione, cioè mettono in atto  una cooperazione testuale, esercitando così un ruolo attivo nella costruzione di significato delle merci. Il linguaggio delle merci e i significati che esse sottendono danno luogo a un universo semiotico costantemente mutevole: il consumatore è sedotto da quei significati, li fa propri e li riflette, più o meno consapevolmente, su di sé. Questo linguaggio in continua evoluzione ma noto a tutti può essere usato sia per parlare di sé agli altri (ossia, in termini eteroriferiti) sia per sentirsi in sintonia con i significati condivisi di cui il bene consumato è espressivo (in termini egoriferiti).

    Per chiarire quanto detto fin qui, e quindi  il rilievo dell’essere segno dei prodotti ai fini delle scelte del consumatore, riportiamo due esempi di Fabris [2003: pp. 80 sg.]; decrittare  in termini di significati sociali la struttura hard di alcuni prodotti permette, infatti, di  spiegare perché  il loro consumo diviene anche comunicazione e di comprendere il motivo per cui alcuni prodotti diventano delle icone sociali.

 

 

2.1.1.1. La moto

 

       Il primo esempio riguarda il recupero della moto. La moto era considerata un mezzo di trasporto scomodo (soprattutto nel periodo invernale) e destinato a gente non ricca; con il passare del tempo diventa invece un mezzo di trasporto quasi d’élite, sempre più grande e costoso. Dopo la pesante flessione avvenuta nei primi anni Novanta, oggi il mercato automobilistico sta conoscendo un nuovo periodo di crescita. Alle motivazioni che da sempre inducono all’uso della moto se ne sono aggiunte altre che hanno contribuito a una nuova legittimazione sociale di tale mezzo di trasporto, rilanciandone l’immagine e la desiderabilità. Le motivazioni tradizionali, legate soprattutto alle sensazioni  fisiche e psicologiche relative all’uso della moto, lasciano il passo anche a gratificazioni di natura simbolica, come il coraggio e l’individualismo, che stanno acquisendo un’importanza crescente.

       Andare in moto assume il significato di sfida nei confronti degli altri in quanto con essa si può andare lontano o comunque fuori dai percorsi abituali, superando gli automobilisti rallentati dalle code di traffico. Solo chi ha coraggio e riflessi pronti può guidare una moto: si conquista così ammirazione e rispetto senza entrare in diretta competizione con gli altri. Ci si afferma come uomini liberi, per i quali non vigono le norme e le leggi che devono rispettare gli altri. La preferenza per la moto deriva dalla ricerca di sensazioni autentiche ed è legata al vissuto della natura, alla percezione di autenticità, al contatto diretto con l’ambiente esterno. Inoltre la guida di questo mezzo di trasporto ha il vantaggio di essere considerata un’attività sportiva a tutti gli effetti e ciò, come vedremo in seguito, è molto importante in un periodo come l’attuale in cui la pratica sportiva gode di un diffuso favore.

        Nonostante la moto abbia effettivamente alcune limitazioni (dalla stagionalità al costo elevato, dalla fatica e la concentrazione che richiede all’infrequenza d’uso, ecc.), negli ultimi anni gli stereotipi che precedentemente la penalizzavano hanno conosciuto un ridimensionamento. Lo stereotipo del motociclista era quello di un individuo socialmente scomodo, poco integrato nel tessuto sociale e, in alcuni casi, anche pericoloso. Oggi invece  è considerato sempre meno un selvaggio o un esibizionista, e in misura crescente un individuo moderno e avanzato dal punto di vista socioculturale. La sua anormalità consiste semmai in quel pizzico di coraggio e autonomia che si è portati ad apprezzare. Quindi, una volta abbattuta la barriera dei pregiudizi e degli stereotipi mentali, la moto diventa un vero e proprio simbolo culturale, un mito alimentato anche da una vastissima filmografia incentrata su personaggi straordinari, come Steve McQueen ne La grande fuga o Marlon Brando ne Il selvaggio.

 

 

2.1.1.2. I jeans

 

    L’importanza dell’attualità culturale dei prodotti ai fini delle scelte dei consumatori è dimostrata anche dai jeans, un prodotto che ha assunto molti significati diversi nel corso della sua esistenza. Il jeans può essere considerato il caso più esemplare della capacità dell’offerta di adeguarsi costantemente ai cambiamenti della domanda: per questo, nonostante oggi il settore dell’abbigliamento si trovi in una fase poco espansiva, il jeans sta vivendo una nuova giovinezza. Pur essendo uno dei prodotti più investiti di significati simbolici, è riuscito infatti a sopravvivere attraverso generazioni, mode e ideologie di un intero secolo: da capo utilizzato dalla working class sul posto di lavoro ha conosciuto una vera e propria evoluzione, diventando, in alcuni casi, anche un capo di alta moda.

    Inizialmente il jeans era la divisa di lavoro dei minatori, dei ferrovieri e di tutti coloro che avevano bisogno di un indumento pratico, economico e resistente: non si indossava per motivi ideologici, ma solo per lavorare. Nel tempo poi, ha iniziato ad assumere significati diversi e mutevoli a seconda dei periodi storici: il primato del tempo libero, il liberalismo sessuale, la contrapposizione ai modelli vestimentari dell’epoca, l’affermazione dell’informalità, e così via. Soprattutto con la contestazione giovanile del Sessantotto, i jeans diventano anche in Europa l’elemento più emblematico di una cultura alternativa: a differenza dei pantaloni con la piega in voga in quel periodo, essi possono essere indossati anche sporchi, stropicciati, rotti e sono il primo capo unisex, aderente sia per i ragazzi che per le ragazze. In questo modo acquisiscono un’immagine aggressiva, dovuta al mix tra erotismo, origine dai bluecollars e contrapposizione agli stili vestimentari degli adulti: da indumento per il tempo libero diventano provocazione[33].

    Negli anni Ottanta i jeans cambiano significato: pur rimanendo fortemente legati alla cultura giovanile, si integrano nel sistema e si normalizzano. Anche gli stilisti di alta moda iniziano a disegnare jeans, proponendoli in versione griffata e altamente personalizzata. Persi i suoi connotati ideologici questo indumento diventa uno strumento intergenerazionale, indossato da uomini e donne di ogni età, e si trasforma, grazie alla sua straordinaria versatilità, in una presenza obbligata per ogni guardaroba. Inoltre, riproposto in una miriade di versioni, in alcuni casi diventa un vero e proprio prodotto di culto del largo consumo (pensiamo ad esempio ai Levi’s 501).

 

 

2.1.2. Il protagonismo dei desideri e delle emozioni

 

    In un mercato maturo, che in gran parte dei suoi settori si avvia alla saturazione, sono sempre più i desideri e le emozioni a guidare le scelte di consumo. Cominciamo dai desideri che, in misura sempre crescente, stanno prendendo il posto dei bisogni nell’indirizzare gli acquisti del consumatore. All’urgenza pratica del bisogno si  sostituisce una ricerca: il bisogno, in genere legato alla materialità, deve essere soddisfatto, mentre il desiderio, legato all’immaterialità, al sogno, può anche non esserlo. Alla necessità di soddisfare il prima possibile un bisogno subentra quella che Fabris [2003: 85] chiama la differibilità dei desideri. Questo fenomeno deriva dal fatto che nella società contemporanea i bisogni sono già stati in larga misura soddisfatti, mentre lo stesso desiderio, svincolato da un bisogno specifico,  può essere soddisfatto in molti modi diversi. Può capitare ad esempio che la competizione tra prodotti esuli dallo specifico ambito merceologico in cui era inizialmente confinata: una scatola di cioccolatini, se il desiderio è quello di concedersi un piccolo premio, può competere non solo con le altre marche di cioccolatini in commercio, ma anche con una cravatta, con un CD, con un massaggio o con una vacanza. È quindi l’area del desiderio e non quella del bisogno che bisogna considerare per dialogare con il consumatore postmoderno.

    Ma veniamo ora alle emozioni e alla loro importanza nelle scelte del consumatore postmoderno. Mentre gli economisti hanno sempre parlato del consumo in termini di razionalità, gli studi più recenti sottolineano in quest’ambito la crescente influenza delle emozioni. Secondo Fabris [2003: 87] la componente affettiva è sempre stata sottovalutata nel pensiero occidentale perché, in una cultura misogina come quella da cui stiamo prendendo le distanze, era considerata prettamente femminile, e quindi un qualcosa da cui diffidare. Ma ora, nella postmodernità, il forte trend alla femminilizzazione della società [ibid.: 261] ha comportato una maggiore accettazione delle emozioni. Come vedremo nelle pagine seguenti, il consumatore oggi è sempre più consapevole che le emozioni giocano un ruolo fondamentale e, diversamente dal passato, non fa nulla per nasconderle. Le emozioni dunque hanno un rilievo crescente nei comportamenti di consumo: prima invece, quando c’era una scarsa disponibilità di reddito, erano considerate un lusso [ibid.: 88] e la razionalità veniva sempre anteposta a esse.

    Le emozioni, insieme ai sentimenti e alle passioni, fanno riferimento all’emisfero destro del cervello e si contrappongono alla razionalità dell’emisfero sinistro. Bisogna considerare che,  sebbene ragione ed emozioni interagiscano costantemente in tutte le decisioni umane, il trend emergente sembra dare molta importanza alle emozioni nel campo del consumo: si verifica così “uno shift dall’emisfero sinistro – logico, deduttivo  verso quello destro – emotivo, intuitivo – che riesce in qualche modo a bilanciare il primato che nella cultura occidentale l’emisfero sinistro ha sempre rivestito.” [ibid.: 90] Si può parlare dunque di un inedito protagonismo delle emozioni nel vivere sociale. Il riconoscimento di questo protagonismo è evidente anche nell’ambito della comunicazione pubblicitaria, dove si dà una rilevanza crescente alla componente soft del prodotto: le marche, infatti, per competere efficacemente sul mercato, devono essere in grado di suscitare esperienze altamente emotive perché l’immagine, la fiducia, l’autorevolezza sono condizioni necessarie ma non sufficienti per promuovere un’immagine di marca seduttiva e culturalmente attuale. [ibid.: 91]

 

 

2.2. Le tante identità del consumatore postmoderno

 

     A prima vista il comportamento del consumatore postmoderno appare sempre più imprevedibile perché sono sempre più numerose le contraddizioni e le incoerenze che caratterizzano il suo agire di consumo: proprio per questo motivo Fabris ritiene opportuno parlare di consumatore bricolaire e di individuare nel patchwork la metafora più adatta a descriverlo. I nuovi compratori seguono poco le mode, si lasciano guidare dai sensi, amano giocare e non badano al marchio: scelgono liberamente gli oggetti che ritengono attraenti e che rispondono al loro gusto in un particolare momento. Dunque, possiamo parlare di un consumatore maturo, competente, ma anche eclettico e pragmatico, individualista ma allo stesso tempo proteso a creare nuove forme di socialità. Se già nell’età moderna il consumatore aveva imparato a essere  esigente e competente, ora assistiamo a un’ulteriore evoluzione che porta  con sé istanze profondamente innovative. Pensiamo ad esempio alla richiesta di eticità, prima praticamente inesistente nel mondo delle merci: da qui la fortuna che sta registrando il commercio equo e solidale e la preferenza per i prodotti eco-compatibili.

    Si tratta di un consumatore che ha già provato tutto e che, mediamente, ha tutto: non compra più (come faceva il consumatore moderno) pensando che quel certo oggetto comunichi uno status sociale, ma lo compra perché  lo ritiene bello, interessante e perché  comunica agli altri la sua personalità. Egli dà per scontato che in un prodotto ci sia la qualità, ma non è quest’ultima che lo spinge all’acquisto bensì le emozioni o la voglia di vivere un’esperienza innovativa. Questo aspetto emerge chiaramente nelle pubblicità dei prodotti di alta gamma, nelle quali non si parla quasi mai delle caratteristiche tecniche di un prodotto, ma si cerca di creare intorno all’oggetto considerato un contesto emozionale capace di soddisfare il destinatario del messaggio. Il quadro appena delineato è evidentemente complesso; i paragrafi che seguono cercano pertanto di chiarire alcuni aspetti del nuovo consumatore, iniziando dalla descrizione del suo profilo ideale fino ad arrivare ai profondi cambiamenti che interessano i paradigmi del consumo e del vivere sociale.

 

 

2.2.1. Il nuovo consumatore: un profilo ideale

 

    Mentre sino a un recente passato il principio di coerenza rappresentava uno dei paradigmi più consolidati nella vita sociale, ora la contraddittorietà è uno degli aspetti più evidenti  dell’attuale modello di consumo. La crescente complessità sociale e il declino delle ideologie hanno messo fine al principio di non contraddizione e hanno dato luogo a modelli comportamentali inspiegabili alla luce dei vecchi paradigmi. Prima le nostre azioni e le nostre scelte dovevano esprimere una certa linearità, pena la condanna di immaturità, di mancanza di principi e rigore. Ora invece quelle che apparivano forme di irrazionalità si configurano come tipiche espressioni della società contemporanea, e cioè di una società complessa in cui la logica prevalente non è quella della congiunzione disgiunta aut/aut, ma quella dell’ etet. [Fabris 2003: 92]

    Nella società postmoderna il consumatore interpreta una molteplicità di ruoli che implicano a loro volta dei comportamenti apparentemente contraddittori:

 

    Posso essere, allo stesso tempo, imprenditore e partecipe della comunità in cui vivo; membro di una famiglia ed al centro di un sempre più fitto reticolo di rapporti sociali; di giorno fare l’impiegato di banca ed alla sera il disk jockey in un locale di tendenza. Ci avviamo verso una società dove al manicheismo del passato si sostituiscono i grigi, gli sfumati, i colori pastello. Alla rigidità delle ideologie subentra il pragmatismo di risposte differenziate conseguenti alle diverse situazioni che dobbiamo affrontare. Il case by case approach appare sostituire la certezza ma anche la rigidità, di chi aveva sempre la soluzione a portata di mano. La flessibilità manda in frantumi i vecchi schematismi. L’eclettismo diviene regola di vita e prende il posto della unidimensionalità delle scelte. Il sincretismo – un’opzione nuova, in cui si riesce a far coesistere fatti e comportamenti che nel vecchio paradigma  apparivano contraddittori – diviene un’arte. [Fabris 2003: pp. 92-93]

 

 

    Stanno nascendo nuove regole e nuovi legami che pongono in relazione aree di comportamento in precedenza impensabili:

 

    La stessa etica […] appare come un patchwork valoriale in cui coesistono elementi sino a ieri inconciliabili. […] La crisi della fedeltà alla marca. Lo shift verso un partito che si pone all’opposto dello schieramento politico precedentemente votato. […] I nuovi melting pot che si notano in continuazione nel grande arcipelago dei consumi. Sono solo alcune delle moltissime, ed eterogenee manifestazioni che questo cambiamento di paradigma genera. Quelle che un tempo apparivano come aporie, contraddizioni minoritarie e, comunque, eccezioni stanno adesso divenendo la regola. [ibid.: 93]

 

 

    Per comprendere il motivo di questa complessità occorre considerare che, in una società complessa come quella postmoderna, in ogni persona convivono diverse identità, legate alla pluralità dei contesti  culturali in cui viviamo, alla crisi delle ideologie, ai vari hobby o alle diverse attività svolte nel sociale. A differenza della modernità, l’identità sociale non è più dettata dalla professione svolta perché nello stesso individuo convivono molte identità diverse,  talvolta in armonia, talvolta in maniera conflittuale. È importante sottolineare che tali identità si esprimono soprattutto con l’adozione di diversi modelli di consumo: solo tenendo presente quanto appena detto consumi che possono sembrare contraddittori trovano una loro coerenza interna. [ibid.: 94]

    Ma quali sono le principali caratteristiche del nuovo consumatore? Innanzitutto, possiamo definirlo autonomo, nel senso che è diventato più critico e indipendente nei confronti della produzione: rivendica una maggiore discrezionalità di scelta e chiede a chi produce la possibilità di instaurare un dialogo, un’effettiva relazione. In secondo luogo competente, perché ha acquisito molte più informazioni sulle sue scelte di consumo: ad esempio, è molto più informato sulla composizione dei prodotti, sulla provenienza delle materie prime, sul rapporto qualità/prezzo. È un consumatore esigente (nel senso che richiede sempre di più da chi vende e produce, in termini di qualità e di attenzione alle sue esigenze), selettivo e orientato in senso olistico (perché ai fini della scelta coinvolge sia dimensioni tangibili, come i valori d’uso, che quelle intangibili, come i valori simbolici e i significati sociali delle sue scelte). A questi aspetti bisogna aggiungerne un altro relativo al crescente pragmatismo del consumatore: egli infatti è sempre più disincantato e realistico nei confronti del mercato. [ibid.: pp. 100-101]

    Questi aspetti riguardano ancora una minoranza di persone che oggi si aggira intorno al 15/20 per cento, ma che è destinata ad aumentare nel giro di pochi anni. Nel frattempo è possibile già riscontrare le caratteristiche che abbiamo indicato in un particolare tipo di consumatore, l’e-consumer, che, secondo Fabris [2003: pp. 134 sg.] “è il ritratto parlante  dell’idealtipo di consumatore che diverrà egemone a scadenze ormai ravvicinate.” L’e-consumer, che può essere considerato per definizione il consumatore globale, ossia il cittadino esemplare del villaggio globale [Mc Luhan 1993], mostra, infatti, un forte orientamento all’autonomia, è molto sensibile al rapporto qualità/prezzo, ricerca attivamente informazioni riguardanti i prodotti o i servizi cui è interessato, esige elevati standard di servizio e una relazione bidirezionale con il mondo della produzione. Esigente, selettivo, scaltro, curioso, pragmatico: per molti aspetti l’e-consumer appare la più tangibile espressione del nuovo consumatore.

2.2.2. Tra individualismo e nuove forme di socialità

 

    Uno degli aspetti più importanti della società contemporanea è rappresentato senza dubbio dalla tendenza all’individualismo. Il mainstream dell’individualismo ha importanti riflessi sui consumi, un’area dominata da sempre da tendenze contrarie (basti pensare ai consumi di massa, ai mercati globali, all’omologazione dei consumi o al primato delle mode). L’individualismo moderno è soprattutto l’individualismo nel consumo[34] e oggi si esprime in particolare con una forte valorizzazione dell’edonismo e del narcisismo.

    Iniziamo dal trend all’edonismo, ossia dall’orientamento a una crescente ricerca del piacere. Prima di analizzare gli effetti dell’edonismo sul consumo occorre ricordare che esso, sino ad alcuni anni fa, era considerato come sinonimo di male e di peccato, in quanto i grandi valori della vita erano principalmente il sacrificio, il dovere, la sopportazione e la rinuncia: tutto ciò che procurava piacere era colpito da interdizione morale. [Fabris 2003: 164] La demonizzazione del piacere era legata soprattutto alla morale religiosa, che privilegiava la sofferenza rispetto al benessere e l’aspetto spirituale rispetto a quello materiale. Ma questa censura del piacere viene meno già con la grande crisi del ’29, una crisi dovuta, come è noto, alla sovrapproduzione: la necessità divenne allora non quella di promuovere una cultura del risparmio virtuoso, ma quella di stimolare il mercato. Si arriva così a una graduale legittimazione sociale dell’edonismo e del consumismo: segmenti sempre più ampi della popolazione aspirano a soddisfare il più possibile i propri bisogni e i propri desideri per arrivare a una felicità secolarizzata e laica, fatta di piccoli piaceri quotidiani.

    L’edonismo non è un prodotto dell’età moderna: già nel passato è stato al centro delle riflessioni di importanti scuole filosofiche. La differenza è che ora l’edonismo è diventato pratica, obiettivo di massa e non è più una suggestione filosofica di tipo selettivo o elitario. Inoltre, mentre l’edonismo tradizionale era legato alla soddisfazione di bisogni specifici come il mangiare o il dormire, il nuovo edonismo è rivolto alla ricerca del piacere in tutte le circostanze della vita: si è più attenti ala qualità del piacere piuttosto che alla quantità, alle emozioni piuttosto che alle sensazioni. [ibid.: 168] Nell’edonismo moderno l’immaginazione ha un rilevo maggiore rispetto alla fisicità del piacere e la capacità dei prodotti di far sognare a occhi aperti diventa una componente fondamentale nelle scelte di consumo: il conseguimento del piacere è infatti una delle motivazioni più addotte per giustificare gli acquisti.

    Oltre all’edonismo, c’è un altro grande trend che qualifica l’attuale mainstream dell’individualismo: si tratta, come abbiamo accennato, del narcisismo, inteso come rivendicazione del corpo e della fisicità. Il narcisismo, nelle sue espressioni non patologiche, va inteso come riappropriazione dell’amore e del rispetto per se stessi: viene data dunque un’attenzione inedita alla cura corpo e dell’estetica. Questo trend è alla base di una quantità crescente di scelte perché per il moderno consumatore narcisista il mondo degli oggetti rappresenta un importante sistema di comunicazione. È il caso, ad esempio, dell’abbigliamento: l’interesse crescente nei confronti del vestire  è una tipica manifestazione del trend al narcisismo.

    Soffermiamoci adesso su alcune dimostrazioni sperimentali della tendenza all’individualismo appena descritta. Essa si esprime soprattutto in alcune aree di consumo, come il lusso o l’attenzione al benessere fisico [ibid.: pp. 172 sg.]:

 

 

 

·        Il lusso

In questi anni stiamo assistendo a un forte incremento della domanda di prodotti di lusso: l’orientamento al lusso rappresenta uno degli esempi più tangibili del primato del narcisismo e dell’edonismo e riguarda praticamente tutti settori merceologici (dal settore automobilistico a quello alimentare, dall’abbigliamento alla gioielleria). Tradizionalmente lusso era sinonimo di  prodotto costoso, atto a conferire prestigio: un prodotto lussuoso era dunque un vero e proprio status symbol. Oggi invece il significato del lusso è profondamente cambiato: un prodotto premium serve ad accrescere il proprio piacere e benessere personale, non a comunicare agli altri la ricchezza o lo status sociale. Inoltre da una concezione negativa del lusso, visto prima come eccesso, come sinonimo di ingiustizia sociale, si passa a un visione positiva dello stesso: l’emergere di una domanda di lusso dipende anche dalla consapevolezza di aver fatto troppi sacrifici, per cui ora è giusto concedersi qualcosa in più del necessario.

·        Il corpo

Anche la recente acclamazione del corpo rappresenta un’efficace dimostrazione del mainstream dell’individualismo: il corpo, del resto, è il destinatario privilegiato del piacere. La nuova centralità del corpo ha delle importanti ripercussioni in moltissime aree del consumo: dall’abbigliamento ai cosmetici, dalla chirurgia estetica ai beauty center, dai farmaci al cibo. Bisogna sottolineare che la tendenza che va emergendo in questi anni non è quella di un corpo magro, snello, formalmente perfetto, ma quella di un corpo sano, forte e attivo: non bisogna quindi adeguare il corpo a un modello esterno ma al proprio vissuto interiore. Per questo, ad esempio, nel campo della cosmesi emerge la concezione del trucco come modalità di valorizzazione personale: armonia e semplicità, più che perfezione formale, sono i nuovo canoni di riferimento della bellezza corporea.

·        Corpo e salute

La relazione tra corpo e salute è un altro trend che sta ridefinendo in profondità l’agire di consumo: nella scelta di quasi tutti i beni la dimensione salute sta diventando un referente obbligato (pensiamo ad esempio allo schermo antiriflesso del PC o alla richiesta di un’alimentazione naturale). Inizialmente la preoccupazione per la salute era limitata agli anziani e ai malati, mentre oggi taglia trasversalmente tutta la popolazione. In particolare, con la secolarizzazione del concetto di salute (prima la presenza o assenza di salute era ricondotta alla provvidenza divina, a un ordine trascendentale che l’uomo non poteva mutare) nasce l’idea di prevenzione, che conferisce all’individuo un’area più ampia di intervento. La nuova attenzione alla salute è evidente in molti settori del consumo: si pensi alla diffusione dell’omeopatia o dei prodotti erboristici, alla ricerca di vita all’aria aperta o di attività fisica, alle riviste e rubriche salutistiche, alla repulsione per i prodotti inquinanti o nocivi e, nel campo dell’alimentazione, al successo della dieta mediterranea e alla crescente richiesta di naturalità degli alimenti.

·        Attività fisica

L’attenzione al corpo e alla salute trova la sua espressione più tangibile nell’orientamento al fitness e all’attività fisica che caratterizza la società contemporanea. Da qui il forte aumento dei frequentatori delle palestre, della domanda di indumenti e attrezzistica sportiva, di integratori alimentari e di riviste che prestano attenzione al corpo. Non a caso i più esclusivi alberghi in tutto il mondo offrono servizi legati al fitness un tempo sconosciuti, come le palestre interne o le mappe con i percorsi jogging intorno all’hotel.

 

    Ma individualismo non significa mettere  fine ai legami con il sociale: non bisogna dimenticare infatti che nella postmodernità le contraddizioni convivono e, per questo motivo, accanto all’individualismo di cui abbiamo appena parlato stanno sorgendo nuove forme di socialità, quelle che Fabris chiama le tribù di consumo. Proprio mentre l’individualismo acquista una nuova legittimità sociale, si diffonde il desiderio di stare insieme per scambiare atmosfere ed emozioni: nascono così inedite forme di socialità, diverse da quelle più tradizionali basate sulle apparenze di ceto e di classe. Una socialità dunque che “rifiuta di riconoscersi in un progetto politico, non si inscrive in nessuna finalità, e la sua unica ragion d’essere è la cura di un presente vissuto collettivamente.” [Maffesoli 1988]

    Le nuove forme di microsocialità mostrano delle singolari analogie con le tribù: inizialmente diffuse solo presso la popolazione giovanile (ad esempio i punk o gli hippies), oggi le tribù si estendono anche alla popolazione adulta, tagliando la società in termini interclassisti o intergenerazionali. [Fabris 2003:292] Le tribù riguardano anche il mondo del consumo: qui il desiderio di appartenenza e di interazione crea un legame che diventa persino più importante di quello con il bene che ha in origine generato l’incontro. Il consumo in questo senso diventa il collante delle nuove forme di socialità. La tribù può costituirsi intorno a una marca, a un prodotto, a un punto vendita o a un personaggio ed è costituita, ad esempio, dai possessori di una Harley-Davidson o di un’auto d’epoca, ma anche dal cosiddetto mondo gay [ibid.: 330], dagli skateboarders, dai fan club di un divo e dagli utenti Internet (che danno luogo alle comunità virtuali): in ognuno di questi casi tale appartenenza ha una coloritura emotiva che influenza profondamente il modo di vivere e di consumare dei membri.

 

 

2.3. Trend di consumo e trend sociali

 

    Lo studio dei trend sociali si sta dimostrando un osservatorio privilegiato per la comprensione e la previsione delle dinamiche di consumo. I consumi infatti mutano al mutare dei trend sociali e la loro struttura è fortemente influenzata da quest’ultimi. [Fabris 2003: 258] I trend che analizzeremo in questo paragrafo costituiscono un’ulteriore espressione del grande mainstream dell’individualismo appena descritto e rappresentano degli aspetti molto importanti della società postmoderna. Dal momento che risulta impossibile descrivere tutte le  correnti sociali che incidono sui comportamenti di consumo, ci soffermeremo solo su alcune delle tendenze più significative del nuovo clima socioculturale.

 

 

2.3.1. Fusion e sincreclettismo

 

    La parola fusion è piuttosto ricorrente oggi nel lessico del consumo; essa rappresenta “la coesistenza, la compenetrazione di prodotti, stilemi, linguaggi che hanno contenuti e provenienza molto diversi, spesso antitetici. È un nuovo ossimoro, una contraddizione in termini, un’apparente antinomia che in realtà si risolve armonicamente disvelando una realtà nuova che assume improvvisamente i caratteri della consistenza” [Fabris 2003: 259] Il principio di coerenza che, come abbiamo visto, era uno dei paradigmi fondamentali della modernità, trova nel fusion la più tangibile contraddizione alla sua esistenza. Nato nel campo musicale dove la commistione di generi è prassi ricorrente, questo fenomeno sta oggi contagiando una serie crescente di aree merceologiche: dall’alimentazione all’abbigliamento, dall’abitazione all’auto, ecc. Non si tratta solo di una moda ma anche di una serie di comportamenti rivelatori delle nuove tendenze di consumo.

    Fusion non è un fenomeno nuovo; la novità sta nel fatto che ora riguarda segmenti molto più ampi rispetto al passato. Ciò significa che  mentre prima veniva visto come manifestazione di eccentricità o di trasgressione ora sta diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Questa tendenza si può riscontrare ad esempio nel settore della moda: già da qualche anno a questa parte la moda veniva spesso reinterpretata in termini personali, mixando i capi di alta moda secondo i propri gusti, o combinandoli con vecchi indumenti o con abiti comprati sulle bancarelle. In questo modo, dice Fabris [2003: 259], si diventa “stilisti di se stessi”, arrivando anche ad affiancare l’etnico a stili vestimentari tipici della cultura occidentale. Un altro esempio di fusion è dato dal settore alimentare, dove si può assistere a una continua contaminazione tra i diversi modi di cucinare: si pensi al sushi all’italiana, fatto con riso giallo, spaghetti, maccheroni o alla contaminazione tra cucina ricca e cucina povera, tra ricette provenienti da regioni diverse, al mix tra ricette del passato e ricette moderne.

    Fusion, come abbiamo accennato, rivela una tendenza di fondo del consumatore postmoderno: il sincreclettismo, che vuol dire sincretico ed eclettico.  [ibid.: 260] Il nuovo compratore è eclettico perché si muove con disinvoltura combinando stili diversi; sincretico perché riesce a fonderli realizzando una sintesi armonica. Da quanto appena detto si evince che il postulato della non contraddizione, prima considerato un importante principio ordinatore nei consumi, va ormai tramontando: ciò avviene non solo perché ogni individuo ha tante diverse identità e quella prevalente in un determinato momento spinge ad acquistare un certo tipo di prodotto piuttosto che un altro; ma anche perché la contaminazione sta diventando la prassi nelle scelte di consumo. Del resto abbiamo già visto come una delle metafore più significative della postmodernità sia il patchwork, in cui tante tessere di diversa provenienza si fondono in una realtà di tipo nuovo.

 

 

2.3.2. La femminilizzazione della società

 

    Femminilizzazione della società significa che valori, atteggiamenti e comportamenti considerati stereotipicamente femminili si diffondono anche tra la popolazione maschile per diventare tendenzialmente dominanti. [Fabris 2003: 261] Valori tradizionalmente femminili, come la valorizzazione degli affetti e dei sentimenti, la dolcezza, l’emotività, l’attenzione al corpo, vengono quindi promossi e legittimati socialmente. Le conseguenze più dirette sono l’ingresso consapevole dell’uomo nel mondo della moda, la crescente domanda di prodotti cosmetici maschili, ma anche il farsi carico di alcune incombenze della “casalinghità” (cura dei figli, compere domestiche, ecc.).

     L’uomo sta scoprendo il proprio corpo in una prospettiva diversa da quella salutistica e dell’efficienza lavorativa e questo genera una forte tendenza al narcisismo. Da qui il successo di prodotti cosmetici specifici per l’uomo, dalle creme da notte e da giorno all’antirughe, dalle maschere di bellezza alle tinture per i capelli. Nell’alimentazione questa tendenza si esprime con la domanda di cibi leggeri, con la richiesta di una ridotta gradazione alcolica per i liquori; nell’abbigliamento con la preferenza per gli indumenti soffici. In ogni settore lo squadrato e il geometrico lasciano il posto alla rotondità femminile: le auto adottano forme arrotondate, nelle case gli arredi destrutturati sostituiscono lo spigoloso, e così via. Secondo Fabris [2003: 263] potrebbe essere l’androginia[35] lo scenario per il prossimo futuro.

 

 

2.3.3. Il polisensualismo

 

    Il nuovo vissuto del corpo, la centralità del sé, il nuovo modo di atteggiarsi dell’edonismo e del narcisismo stanno cambiando il modo di rapportarsi fisicamente ai prodotti e di percepirne le caratteristiche oggettive. Un tempo la percezione della qualità era affidata prevalentemente a un solo senso: il cibo era valutato dal gusto, un abito dalla vista, il tessuto dal tatto e così via. Nella postmodernità invece avviene la mobilitazione globale dei sensi: l’emergere di questo trend a livello di massa è una realtà piuttosto recente perché la cultura che ci stiamo lasciando alle spalle ci spingeva a diffidare dai sensi nella percezione del mondo circostante. [Fabris 2003: 192] Nella postmodernità, invece, l’uomo appare rieducare i suoi sensi per riscoprire le sensazioni corporee in tutta la loro ampiezza. Il polisensualismo si esprime con un’inedita attenzione ai propri sensi e con la riduzione dell’importanza della vista, prima considerata il senso dominante. Il richiamo al mondo delle sensazioni tattili, del suono, dell’odore e della globalità delle percezioni sensoriali è evidente anche nella comunicazione pubblicitaria, dove sempre di più si cerca di stimolare i sensi nella loro totalità: gli esempi che si potrebbero fare in proposito sono innumerevoli, basti pensare alle bibite o alle acque minerali, ma anche ai prodotti alimentari e ai cosmetici.

    La richiesta di prodotti capaci di dialogare con la globalità dei sensi diviene dunque sempre più insistente. Il consumatore dimostra  di fare un ricorso crescente a tutti i sensi per valutare le sue scelte di consumo e per decidere poi verso quali indirizzare la decisione di acquisto. [ibid.: 201] Secondo Greimas[36] la relazione sensibile che lega soggetto e oggetto deve coinvolgere la cooperazione di tutti i sensi dell’uomo e non soltanto la vista. In proposito occorre sottolineare la crescente importanza dell’odorato (la profumazione gioca ormai un ruolo strategico in tutti i settori merceologici: la pubblicità si adegua a questo trend inserendo, ad esempio, un piccolo campione di profumo nelle riviste) e del tatto. Quest’ultimo secondo Fabris [2003: 202] è il più importante e sottovalutato mediatore con la realtà che ci circonda e il mondo degli oggetti: per questo egli considera un errore il divieto di toccare i prodotti presente in alcuni negozi.

 

 

2.3.4. La mass costumization

 

    Con l’espressione mass costumization si intende produzione industriale su misura, ossia un nuovo paradigma industriale che unisce la produzione di massa con la personalizzazione dei prodotti. Il punto di partenza del nuovo paradigma è la constatazione che lo stereotipo del consumatore medio che esprime una domanda altamente standardizzata non trovi più alcun riscontro nella realtà. Dunque, non si può parlare più di omogeneizzazione dei gusti e delle preferenze perché, mai come nella società postmoderna, l’individuo cerca di difendere la sua specificità, mostrando una crescente insofferenza verso le soluzioni progettate per un consumatore medio. Il single è un esempio eloquente dei nuovi orientamenti di consumo: il single infatti si caratterizza per una forte individualizzazione nelle scelte e un’insofferenza nei confronti di proposte di mercato che generalmente non sono studiate per le sue esigenze. [Fabris 2003: 266] Il settore dell’abbigliamento appare un’importante esemplificazione di questo nuovo orientamento: come abbiamo visto, seguire la moda significa sempre più reinterpretarla in termini personali. L’aggiunta delle iniziali del nome sulle camicie per uomo (una volta fenomeno per lo più elitario) può divenire, in questo contesto, un’ulteriore testimonianza della crescente esigenza di personalizzazione  del prodotto industriale. [ibid.: 267]

 

 

2.3.5. L’estetizzazione della vita quotidiana

 

    L’orientamento al bello è uno dei fenomeni più importanti a testimoniare i nuovi comportamenti di consumo. Dai prodotti più comuni a quelli più impegnativi, l’apprezzamento estetico sta diventando un fattore strategico nell’indirizzare le scelte del consumatore: per il consumatore postmoderno il bello non più è confinato nelle opere d’arte o nei musei, ma coinvolge tutte le dimensioni della vita quotidiana. [Fabris 2003: 268] Un tempo circoscritta agli strati più colti e secolarizzati, l’estetizzazione della vita quotidiana sembra oggi diffondersi presso gran parte della popolazione: è un bello, ovviamente, segmentato e interpretato in modi diversi, ma che ha alla base le comune ricerca, appunto, di apprezzamento estetico. Si può riscontrare questa tendenza ad esempio nella presentazione dei cibi, che sta diventando sempre più importante nei ristoranti ma anche in casa. In particolare, acquista così una crescente rilevanza il design, che cerca oggi di accentuare la dimensione estetica dei prodotti aggiungendo emozione e polisensualismo al mondo delle merci: proprio per tale motivo, scrive Fabris [2003: 268], la confezione, la struttura, l’etichetta del prodotto e il modo di presentarsi durante la fruizione devono contribuire a questa nuova esigenza.

 

 

2.3.6. L’emergere dell’ironia nei consumi

 

    Il consumatore postmoderno sta sviluppando con il mondo degli oggetti una relazione molto diversa da quella che ha segnato l’epoca della modernità: si instaura un rapporto più leggero, meno serioso, che trova nell’uso ironico degli oggetti (nell’abbigliamento, nella decorazione del corpo e nell’arredamento) la sua espressione più emblematica. Il nuovo rapporto con il mondo degli oggetti è disincantato, ludico, dialettico: il consumatore cerca oggetti con cui divertirsi, con cui giocare e intessere una relazione di complicità. L’ironia rappresenta dunque uno dei cardini dei nuovi orientamenti nel mondo del consumo: ciò significa che per il nuovo consumatore gli oggetti restano importanti, ma devono anche riuscire a farlo sorridere. [Fabris 2003: 272] Questo spiega la crescente richiesta di entertainment nei prodotti e nei servizi: il consumatore dimostra infatti di non apprezzare più la seriosità del mondo degli oggetti, ma, al contrario, vuole rapportarsi a questi in termini trasgressivi, ludici e ironici. Molto avanzata da questo punto di vista sembra essere la pubblicità inglese, che da sempre ha saputo unire humour e vena popolare, finezza e chiarezza [Pirella 2001]: in Inghilterra più che parlare del prodotto si parla del consumatore e del suo rapporto con il prodotto. Si parla spesso di rivoluzione inglese nell’ambito della comunicazione pubblicitaria perché la pubblicità inglese, eliminando il lieto fine e unendo l’ironia alla paura e alle atmosfere gotiche,  è senza dubbio la più ricca di innovazioni.

 

2.3.7. Il recupero selettivo del passato

 

    La modernità si caratterizzava per l’interruzione di qualsiasi tipo di legame con il passato: il passato rappresentava un’epoca da cui prendere le distanze (soprattutto nell’ambito del consumo) in quanto il progresso tecnologico sembrava aver reso distanti e arretrate le scelte di ieri. [Fabris 2003: 275] Adesso invece proprio le frange più avanzate della popolazione mettono in atto un recupero selettivo del passato. Sebbene il passato riemerga costantemente nell’indirizzare le scelte di consumo, occorre precisare però che non si tratta di un ritorno al passato, ma di un ritorno del passato: è in atto un recupero selettivo del passato, nel senso che il passato non è né da negare, né da apprezzare, ma è da riscoprire ogni volta che lo si ritenga opportuno.

    Quasi tutte le aree del mercato propongono delle incursioni nel passato: nel campo dell’alimentazione c’è una crescente attenzione per gli alimenti più tipici di alcuni anni fa; nel settore automobilistico le industrie si orientano sempre di più al recupero degli stilemi di un tempo. Ma il recupero del passato si esprime soprattutto nel settore dell’abbigliamento: le mode vestimentarie, infatti,  da sempre hanno proposto recuperi apparentemente casuali dei modi di vestire di un tempo. Il vintage nella moda è il recupero selettivo di capi d’alta moda usati, che vengono recuperati per essere trasformati in stili vestimentari attuali. Si tratta di oggetti  a cui il tempo non ha tolto nulla del fascino originario, ma piuttosto ne ha aggiunto [ibid.: 278]. Il vintage si è sviluppato nei settori e nelle marche più diverse: tradizionalmente riservato a una ristretta élite, composta soprattutto dai giovani (che hanno recuperato jeans e indumenti made in Usa), si sta ora diffondendo presso un numero sempre maggiore di segmenti della popolazione, grazie anche alla crescente diffusione dei negozi specializzati.

 

2.3.8. Ecopragmatismo

 

    Anche la natura e l’ecocompatibilità della produzione stanno diventando elementi di rilievo nelle nuove dimensioni del consumo. Il trend relativo alla natura e all’ambiente sta esercitando infatti una significativa influenza su molti comparti del consumo, soprattutto a causa dei preoccupanti segnali di degrado ambientale. [Fabris 2003: 285] Le indagini sociali e di mercato evidenziano una crescente consapevolezza per le tematiche ambientali e per tutto ciò che concerne la natura. La sensibilità ambientale è a sua volta legata all’attenzione alla salute: il timore per le conseguenze del degrado ambientale sulla salute spinge il consumatore verso prodotti ecologici (realizzati con materiale riciclato e non tossici), contagiando praticamente tutte le scelte di consumo. Il luogo di residenza, la scelta dell’abitazione, gli abiti, il cibo, i mezzi di trasporto, il tipo di vacanze sono solo alcune delle aree merceologiche la cui domanda è stata profondamente contagiata dal nuovo sistema di valori. [ibid.: 287]

    L’orientamento alla natura e la nuova sensibilità ambientale non devono però far dimenticare l’atteggiamento prevalente della popolazione: se presso segmenti circoscritti è presente una domanda di prodotti coerenti con un’interpretazione rigida e integralista del trend, per la maggior parte dei consumatori la naturalità è sì una caratteristica ambita e ricercata, ma, allo stesso tempo, deve sapersi conciliare con le tradizionali performance dei prodotti. Quindi l’orientamento prevalente non prevede l’adozione di stili di vita basati su un’assoluta coerenza ecologica, ma vede l’affermarsi di un ecopragmatismo, che cerca di conciliare l’attenzione verso la componente naturale con le esigenze del consumatore.

 

 

2.3.9. La perdita di egemonia del minimalismo

 

    Secondo Fabris [2003: 279] ci sono molti indizi che nel mondo dei consumi è in corso un’ulteriore discontinuità rispetto all’età moderna: si tratta della perdita di egemonia del minimalismo, che emerge in particolare nel settore dell’abbigliamento. Negli ultimi anni il minimalismo ha rappresentato una delle più significative tendenze nel modo di vestire. Questa tendenza, che rifiutava la decorazione per cercare la semplicità e la purezza delle linee, aveva conosciuto un forte periodo di diffusione grazie a due eventi molto importanti. Anzitutto per la crisi economica degli anni Novanta: la crisi economica aveva generato stili di abbigliamento più contenuti e sobri, introducendo, oltre a una minore spesa per l’abbigliamento, anche modi di vestire coerenti con il nuovo clima socioculturale improntato all’austerità. In secondo luogo, il minimalismo si afferma come una reazione rispetto all’eccesso di estetismo degli anni Ottanta: la stanchezza nei confronti della figurazione esasperata ha certamente influito alla diffusione del minimalismo, visto in quel periodo come la fine delle stravaganze della moda di quegli anni e dell’esuberanza formale e cromatica. [ibid.: 280]

    Nella postmodernità invece il minimalismo perde di egemonia: il nuovo clima socioculturale porta infatti alla riscoperta del piacere di vestire, del desiderio di glamour, di gioco e di contaminazione. Ciò non vuol dire che il minimalismo scomparirà del tutto: in una società frammentata come quella postmoderna ci sarà sempre spazio per una nicchia. Più precisamente, esso continuerà a esistere senza però esercitare una leadership nel mondo dei consumi, in quanto non è più sinonimo di attualità culturale.



3. L’analisi dei testi pubblicitari

 

 

    Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la pubblicità è stata uno dei primi ambiti di applicazione dell’analisi semiotica e continua a essere anche oggi il suo terreno di intervento più immediato. Scrive Ceriani [2001: 163]: “Dai tempi in cui essa si identificava esclusivamente con la comunicazione fino alla posizione – certa ma relativa – che occupa oggi nel communication mix, l’interesse dell’applicazione di una disciplina capace di smontare il significato nei suoi elementi costitutivi così come di favorire lo sviluppo del senso passo dopo passo, dal concetto alla manifestazione, non è mai parso così evidente.” La differenza qualitativa introdotta dall’analisi semiotica resta originale rispetto agli altri approcci:

 

    Ora sappiamo che non basta andare a vedere a valle quale effetto produca la pubblicità – dato che si tratta di un criterio sempre fallibile – se non si guarda parallelamente, a monte, alle logiche di funzionamento del discorso stesso, le quali, essendo molto complesse a causa della brevità del lasso di tempo in cui si concentra il messaggio e dei molteplici vincoli da rispettare in questo stesso intervallo di tempo, sono rette […] da una logica argomentativa che si dispiega al punto di intersezione dei codici verbali e non verbali e che si declina nei diversi media, suscettibili a loro volta di influenzare la proposta di senso. [ibid.]

 

 

    In questo capitolo analizzeremo alcuni testi pubblicitari tratti da riviste e settimanali di carattere generale. In particolare, cercheremo di analizzare dal punto di vista sociosemiotico dei testi in cui viene rappresentato il consumatore postmoderno che abbiamo descritto nel secondo capitolo. Come evidenziato in precedenza, la complessità delle dinamiche di consumo rende necessario uno scambio metodologico tra le diverse discipline (in questo caso tra la sociologia e la semiotica). Iniziamo questo percorso con una descrizione di alcuni testi che riflettono il nuovo consumatore, per poi passare a un’analisi più propriamente semiotica dei messaggi pubblicitari.

 

 

 3.1. Il consumatore postmoderno nei testi pubblicitari  

 

    Nel secondo capitolo abbiamo visto che nella transizione verso la postmodernità sta diventando protagonista un nuovo consumatore che ha poco in comune con la tradizionale figura degli anni passati: è un consumatore più esigente, selettivo, scaltro, autonomo, competente, pragmatico e spesso infedele alla marca. [Fabris 2003] Il nuovo consumatore cerca un’esperienza più che un prodotto, emozioni e sensazioni più che valori d’uso, generando modelli di consumo inediti, più simili al patchwork che alla linearità e alla prevedibilità del passato: “Ormai non ci si meraviglia più a vedere un jeans comperato al bazar sotto la giacca di Armani; un prodotto acquistato una volta via Internet e il successivo ai mercatini rionali; l’individuo che milita nei no global che fa pure una puntata da McDonald’s; un vegetariano che mangia un panino col prosciutto; understatement e show off coniugati assieme e via dicendo.” [ibid.: 26] Tutto ciò muta profondamente il sapere sul consumo: il consumo infatti, accanto ai suoi significati tangibili, va ampliando i suoi aspetti di segno, comunicazione e scambio sociale. Le attuali tendenze pubblicitarie prendono avvio proprio da questa nuova realtà.

    Osserviamo ad esempio la figura 1. Come abbiamo visto[37] il lusso rappresenta un’area emblematica delle nuove tendenze di consumo e, in particolar modo, un’espressione significativa del trend all’edonismo. È importante sottolineare che la crescente richiesta di prodotti di lusso sta avvenendo in un periodo non espansivo dell’economia e sta contagiando praticamente tutte le merceologie, in particolare i cosmetici, l’abbigliamento e la gioielleria. In figura 1 l’idea di eleganza e di potere, suggerita tra l’altro dai colori che richiamano i toni caldi dell’oro,  viene estesa sia al prodotto (i cosmetici Shiseido) sia allo sfondo, che riprende le caratteristiche visive del cosmetico proposto. Ma al di là degli aspetti visivi e cromatici è proprio il prodotto a presentarsi come un piccolo gioiello della cosmesi. Shiseido è da sempre considerato un marchio leader nel settore cosmetico, al pari di Lancôme, Clarins o Sisley: ma in cosa si differenzia Shiseido a livello pubblicitario?

 

 

 

 

     

Figura 1

                

 

                                                            

 

 

    Dal testo qui riportato emerge che, diversamente ad esempio da Lancôme, Shiseido non punta sulla componente affettiva. Questo messaggio pubblicitario fa leva infatti sulle nuove tendenze all’individualismo, che trovano appunto nel lusso uno dei maggiori punti di riferimento. Ciò appare evidente anche dal titolo dell’annuncio: “IL LUSSO DELL’EFFICACIA”. Come è noto, il titolo è una frase breve, scritta con caratteri più grandi, che insieme al visual deve contenere il messaggio da far arrivare al possibile consumatore: solo i veri interessati leggono l’intero annuncio, ma se il titolo e il visual riescono ad attirare l’attenzione ci sono buone possibilità che venga letto anche il resto del messaggio, ossia il body copy, in cui verranno date le informazioni necessarie a conoscere meglio il prodotto. Dunque è questa la logica seguita da Shiseido: attirare l’attenzione del lettore puntando su un’area emblematica del piacere e del consumo, il lusso. Tale messaggio viene poi ribadito dopo il testo: “Shiseido Benefiance. L’oro dell’antiaging.”

     Ma torniamo al titolo: cosa vuol dire “IL LUSSO DELL’EFFICACIA”? Ecco che incontriamo due aspetti fondamentali del nuovo consumatore, che sono il desiderio di lusso e, allo stesso tempo, la ricerca di qualità. La qualità oggi è considerata un dato di fatto, un prerequisito essenziale in ogni prodotto, necessario ma non sufficiente per la determinazione della scelta di acquisto. “IL LUSSO DELL’EFFICACIA” vuole esprimere proprio questo aspetto, aggiungendo quindi all’elevata qualità di un prodotto Shiseido una componente fondamentale dell’attuale mainstream dell’individualismo: l’edonismo, la ricerca di piacere, che si esprime, concretamente, soprattutto nella domanda di prodotti lussuosi.

    La nuova accezione del lusso è conseguente alla promozione della centralità dell’io che abbiamo descritto nel capitolo precedente: il lusso in quest’ottica diviene anche confort, buon gusto e capacità di scelta. Per il nuovo consumatore lusso significa concedersi il meglio, circondarsi di cose belle. Se fino ad alcuni anni fa solo gli abbienti potevano permettersi prodotti costosi e raffinati, oggi si sta verificando una sorta di democratizzazione del lusso [Fabris 2003: 176]: il grande mercato del lusso è infatti alimentato non solo da quei segmenti che per tradizione e reddito hanno sempre mostrato prossimità con questo, ma in misura crescente (sia pure per singoli atti di consumo) da gran parte della popolazione nel suo complesso. Anche con un reddito modesto ci sono sempre più persone che includono nei loro acquisti qualche bene di lusso. È su tale idea che si basa il testo pubblicitario riportato in figura 2. Qui possiamo vedere che l’annuncio è formato solo da un’immagine: c’è una donna con gli occhi chiusi che mostra un anello prezioso, inequivocabile simbolo di lusso.

 

 

                   

 

                                                                  

Figura 2

 

 

    A livello cromatico viene creato un legame tra il rosso delle pietre del gioiello, le labbra e le palpebre della donna, truccate appunto con un ombretto di colore rosso. Anche qui tale gioco cromatico collega l’area del lusso a quella del piacere, ma in modo diverso rispetto alla figura 1 perché l’occhio socchiuso lascia trapelare delle emozioni (legate al possesso dell’anello), e quindi è presente anche la componente affettiva. Ciò che colpisce di più in questo annuncio è però soprattutto il piccolo testo posto sotto il marchio Zancan: si tratta dell’ossimoro “straordinario quotidiano”, che riflette la tendenza all’estetizzazione della vita quotidiana propria del consumatore postmoderno. Del resto, come abbiamo mostrato precedentemente, nella postmodernità i contrari trovano un’inedita armonia, arrivando a un punto d’incontro che comporta la ridefinizione dei tradizionali paradigmi di consumo.

    Abbiamo detto che il consumatore postmoderno ama circondarsi di cose belle: ma cosa significa bellezza nella postmodernità? Nella società contemporanea la bellezza è sempre meno legata all’idea di una perfezione formale in quanto la nuova attenzione alla bellezza si declina prevalentemente in termini di benessere, di equilibrio tra corpo e vissuto interiore, tra estetica e salute. Nella postmodernità l’individuo cerca un compromesso tra il sentirsi in forma e l’apparire tale anche agli occhi degli altri, e quindi il giusto equilibrio tra le motivazioni egoriferite ed eteroriferite di cui abbiamo parlato in precedenza. Sembra fare riferimento proprio a questo trend la campagna stampa dell’acqua Rocchetta (figura 3), in cui il corpo e la propria fisicità non vengono visti in termini estetici, ma piuttosto come strumenti per raggiungere un benessere interiore. Lo slogan PULITI DENTRO, BELLI FUORI è emblematico in proposito in quanto collega la bellezza esteriore a un benessere interno; più precisamente, la bellezza esteriore diventa una conseguenza, e quindi una variabile dipendente dall’armonia interna.

    

 

                   

 

                                                               

Figura 3

 

   Quanto appena detto viene confermato anche dal visual e dalla scelta dell’endorser, Anna Valle. Quest’ultima, ponendosi tra il prodotto e il consumatore in qualità di testimonial, trasferisce i valori che incarna nella società sull’oggetto pubblicizzato (l’acqua minerale Rocchetta). La sua è una bellezza discreta, delicata, un fascino particolare che va di pari passo con il suo modo di essere modesto e riservato: così la naturalità e la semplicità che traspaiono dall’endorser si riflettono sul prodotto, in cui corpo e mente, salute e benessere psicologico sono connessi in un continuo gioco di rinvii. Osserviamo ad esempio il visual, che ritrae il volto di Anna Valle: è come se la donna si trovasse a contatto con l’acqua, riflettendo in essa la sua immagine. Il volto riflesso nell’acqua è chiaramente una metafora: alla bellezza esteriore si affianca quella interiore, in un legame che diventa indissolubile.

     Lo stesso traspare anche da un altro annuncio stampa dell’acqua Rocchetta (figura 4) in cui vediamo Anna Valle che beve l’acqua minerale direttamente dalla bottiglia:

Figura 4

 

 

               

                                                                  

 

    Qui il collegamento con l’oggetto diventa anche fisico e trova il suo culmine in una purezza interiore che si percepisce soprattutto a livello cromatico: bevendo l’acqua minerale Rocchetta è come se anche Anna Valle diventasse “luminosa”, chiara, un tutt’uno con la naturalità dell’acqua. Inoltre il messaggio viene reso più incisivo grazie a un’ulteriore testimonianza, quella dell’associazione italiana delle donne medico che consigliano l’utilizzo del prodotto. In questo annuncio troviamo dunque un altro elemento tipico della società contemporanea: l’attenzione alla salute e al benessere fisico. Il motivo principale che spinge ad acquistare l’acqua pubblicizzata è infatti il basso contenuto di sodio, essenziale per la depurazione dell’organismo.

    Ma il bello, inteso come armonia interiore, salute e vitalità, non è più un attributo di esclusivo appannaggio femminile. La rivoluzione culturale nel vissuto del corpo comporta profonde modifiche anche nello stile di vita dell’uomo, che sempre più si dedica ad attività necessarie a vivere in armonia con il proprio corpo. Questo processo fa parte del più generale trend alla femminilizzazione della società, che possiamo individuare in molti annunci pubblicitari.

    Cominciamo dalla pubblicità Collistar per l’uomo riportata in figura 5. Collistar si distingue nel campo cosmetico per la forte personalizzazione del prodotto (pensiamo al servizio clienti o alla possibilità di chiedere un consiglio personalizzato) e per la chiarezza di esposizione (è uno dei rari casi in cui vengono esposti i prezzi dei prodotti e una sintetica descrizione delle loro performance): il tutto per arrivare a un dialogo e a un rapporto di fiducia con il consumatore. Ora, dopo aver pubblicizzato per molti anni cosmetici femminili, da un po’ di tempo a questa parte ha iniziato a produrre anche dei prodotti maschili, simili a quelli usati dalla donna ma specifici per l’uomo: abbiamo così una lozione dopobarba tonificante, un dopobarba per le pelli sensibili, un antirughe rivitalizzante quotidiano, fino ad arrivare all’autoabbronzante “effetto sole”.

 

Figura 5

 

 

 

                    

 

                                                                  

 

 

    L’uomo inizia a cimentarsi nel gioco della seduzione sullo stesso terreno della partner adottando le sue stesse armi, che sono quelle  della cura e della bellezza del corpo, del piacere di essere sexy; per questo l’uomo Collistar dice “Anch’io guardo il risultato”, sottolineando con la congiunzione “anche” il suo avvicinamento ai valori femminili. La ridefinizione dell’identità dell’uomo porte a legittimare tutta una serie di prodotti che erano precedentemente interdetti, come gli accessori femminili (figura 6) o l’abbigliamento intimo (figura 7). Certo, i fantasmi dell’omosessualità, il timore di effeminatezza sono ancora troppo radicati per essere eliminati del tutto [Fabris 2003: 263], ma la femminilizzazione della società sembra essere un processo quasi irreversibile.  

 

 

Figura 6

Figura 7

 

 

                                                                                  

 

    Guardiamo ad esempio la figura 8, che rappresenta una fragranza maschile di Calvin Klein. Protagonista di tale annuncio è un uomo  dai lineamenti molto delicati, che potremmo definire quasi femminili. Ciò emerge soprattutto dalla sua eccessiva magrezza (poco diffusa tra gli uomini mentre, al contrario, piuttosto cercata dalle donne), dalla cura del viso (accuratamente rasato, con le sopracciglia ordinate) e dai capelli perfettamente acconciati. Il tutto insieme allo sfondo, che richiama dal punto di vista cromatico il grigio e i chiaroscuri usati anche per l’uomo, rende l’idea del primato della leggerezza, ossia una sorta di indotto del processo di femminilizzazione della società, che si contrappone ai tradizionali modelli di pesantezza e durezza. [Fabris 2003: 263] Abbiamo già accennato che secondo Fabris potrebbe essere l’androginia lo stimolante scenario per il futuro.

 

 

  

Figura 8

          

 

                                                   

             

    Tale idea sembra assumere una certa concretezza se si osserva la figura 9, nella quale un uomo e una donna diventano un tutt’uno. Come si può notare, l’uomo acquisisce alcuni tratti femminili (i capelli, la morbidezza nei lineamenti) e la donna fa propri a sua volta alcuni elementi maschili (come il profilo piuttosto spigoloso). Insieme guardano in lontananza, come se il loro sguardo fosse volto verso il futuro: ciò avviene, in questo caso, grazie al profumo Cologne, espressione quindi delle nuove tendenze del corpo maschile ad adornarsi.

Figura 9

 

                  

 

       

 

    Di fronte a tale scenario, non stupisce il continuo ricorso alle emozioni nei messaggi pubblicitari, e quindi la preferenza per l’approccio soft piuttosto che quello hard nelle strategie creative. [Lombardi 2001: 191] Mentre la logica si affida a un’evidenza oggettiva sostenuta da argomentazioni razionali (pensiamo ad esempio alla pubblicità comparativa), l’approccio emotivo si affida a stimoli come suoni e immagini per creare delle atmosfere, delle sensazioni. L’emozione così suscitata aiuta a coinvolgere empaticamente il ricevente, a farlo sentire in sintonia con i personaggi e i temi delle campagne. I vantaggi derivanti dall’utilizzo del soft selling sono numerosi perché il lettore/spettatore del messaggio abbassa le difese ed è più facilitato al coinvolgimento e al ricordo. Ci sono diversi modi per stimolare delle emozioni, come il dramma, lo humor, la musica. [Lombardi 2001: 192] L’annuncio pubblicitario riportato in figura 10 rappresenta una delle tendenze più significative in proposito, l’emergere dell’ironia nei consumi. La moda è uno dei campi in cui attualmente è più facile trovare una forte dose di ironia. Moschino, con i suoi abiti “da ridere” e “da sorridere”, è un esempio emblematico in proposito: tramite le sue efficaci provocazioni, propone una filosofia che si rinnova continuamente, ma che allo stesso tempo si basa su un costante ricorso all’ironia. Guardiamo la piccola scritta che si trova sotto al marchio, CHEAP AND CHIC. Si tratta di due termini opposti tra di loro e che si propongono inequivocabilmente come una provocazione nel campo dell’alta moda, dove lo chic sembra essere una delle regole fondamentali. Anche la parte visiva del testo gioca su questo contrasto, accostando capi costosi con prodotti economici e lontani dal lusso degli atelier. Questo per creare un dialogo con un consumatore diverso rispetto al passato, che non apprezza più la seriosità del mondo degli oggetti, ma preferisce piuttosto il sorriso, il gioco, l’ironia.

 

 

 

       

Figura 10

         

 

                                                              

   

 

3.2. Alcuni esempi di analisi semiotica

 

    In tutti gli esempi riportati nel paragrafo precedente emerge che gli oggetti pubblicizzati sempre più perdono il loro valore tangibile, fisico, per diventare segno e comunicazione. Ciò implica che non sono tanto le caratteristiche fisiche di un oggetto a determinare i comportamenti di consumo, quanto i valori che tale oggetto assume di volta in volta, a seconda del contesto considerato. Si apre così lo spazio per un’analisi semiotica dei testi pubblicitari: come abbiamo visto nel primo capitolo, la comunicazione commerciale si presenta come uno degli oggetti privilegiati di una scienza della significazione interessata ai fenomeni sociali. [Marrone 2001: 137] La semiotica ha mostrato infatti una costante attenzione nei confronti della pubblicità, sia per quel che riguarda i suoi meccanismi testuali, sia per quel che riguarda i suoi aspetti sociali: non è certo un caso se oggi l’approccio semiotico nell’analisi delle problematiche di consumo e di comunicazione sta incontrando un successo sempre maggiore. Del resto, abbiamo visto che i fenomeni di consumo diventano sempre più dei fenomeni simbolici e culturali, pertanto gli strumenti tradizionalmente usati in ambito pubblicitario rischiano di essere meno efficaci rispetto al passato. Secondo Floch [1990: p. 52.] l’approccio semiotico applicato ai testi pubblicitari ha numerosi vantaggi in quanto apporta un incremento di intelligibilità, di pertinenza e differenziazione: vediamo allora alcuni esempi di analisi semiotica, in modo da chiarire i concetti fin qui esposti.

 

 

3.2.1. L’acqua minerale Rocchetta

 

    Iniziamo con il testo pubblicitario riportato in figura 3, che rappresenta l’acqua minerale Rocchetta. Abbiamo già evidenziato che il testo si incentra su una metafora: il volto della donna riflesso nell’acqua richiama, secondo le convenzioni proprie della nostra cultura, la bellezza interiore, il benessere psicologico.  Possiamo iniziare l’analisi di questo testo concentrandoci sul piano plastico, ossia sull’organizzazione di linee, colori, spazi di un testo “indipendentemente dalla riconoscibilità o meno in esso di figure del mondo naturale”. [Pozzato 2001: 176] Come si può notare, l’elemento iconico, produttore di effetto di realtà, è preponderante rispetto a quello verbale. Abbiamo due elementi iconici: il pack shot, ossia l’immagine del prodotto (in questo caso la bottiglia, inserita per favorire il riconoscimento del prodotto sul punto vendita) e il volto della donna. Quest’ultimo può essere suddiviso in due parti omogenee dal punto di vista dello spazio di rappresentazione occupato (infatti, il volto e il suo riflesso sono speculari), ma diverse dal punto di vista della figuratività: mentre il volto che troviamo in alto è caratterizzato da un’alta densità figurativa (e quindi può essere considerato a tutti gli effetti un’icona), il riflesso ha una densità figurativa molto minore, tanto da poter essere considerato una via di mezzo tra rappresentazione astratta e testo iconico produttore di effetto di realtà.

    Se consideriamo la chiusura del testo, vediamo che lo spazio di rappresentazione occupa l’intera pagina, senza cornici o altre delimitazioni: lo sfondo azzurro pastello si intreccia con la luminosità del volto della donna e con la luce emanata dalla bottiglia d’acqua, la fonte del benessere. Già a questo punto possiamo individuare due categorie sul piano dell’espressione, ovvero alto/basso, scuro/chiaro che, come vedremo tra poco, hanno poi una loro pertinenza sul piano del contenuto. Dal punto di vista eidetico è possibile riscontrare una perfetta simmetria tra il volto di Anna Valle e il suo riflesso nell’acqua: solo la parte superiore della figura (l’attaccatura dei capelli e l’orecchio) non si riconosce bene nel riflesso, in quanto si perde nell’uniformità dello sfondo. Occorre sottolineare un’importante differenza a livello di dimensioni: la bottiglia, ossia l’oggetto pubblicizzato, è molto piccola rispetto alla donna in quanto le due figure non sono rappresentate nella stessa scala. È avvenuta infatti una diversa focalizzazione dell’immagine, più ravvicinata nel caso della donna, più lontana nel caso della bottiglia. Anche questa diversa rappresentazione dimensionale ha un significato sul piano del contenuto: nonostante sia la bottiglia l’oggetto proposto, è l’idea di una bellezza esteriore come conseguenza di un benessere interiore a essere messa in primo piano.

    Un altro aspetto molto importante è dato dagli effetti di luce, riscontrabili nell’intero testo. L’incarnato della donna è molto luminoso, proprio in virtù di quanto detto precedentemente: la luminosità, la bellezza estetica è una variabile dipendente dal benessere interiore e psicologico. Anche la bottiglia è caratterizzata visivamente da un contrasto luce/ombra che riprende quello della donna: in particolare, come si evince dalla bottiglia, è l’acqua, di per sé luminosa in quanto fonte del benessere, a rendere luminosa la donna. Quanto appena detto ha una sua conferma soprattutto guardando la figura 4, dove Anna Valle, bevendo l’acqua, acquisisce una luminosità quasi sovrumana. Ma torniamo alla figura 3: qui la rima luminosa presente nell’intero annuncio viene ripresa e rinforzata da una rima cromatica: c’è una profonda armonia tra i colori utilizzati (colori vivaci/colori tenui), sempre a testimoniare l’armonia interiore portata dall’acqua Rocchetta. Il verde della bottiglia è presente anche negli occhi della donna, rafforzando così il legame tra le due figure; allo stesso modo, l’azzurro dello sfondo viene ripreso dall’etichetta del prodotto.

    Dunque, già fermando la nostra analisi alla descrizione del piano dell’espressione abbiamo acquisito molti elementi importanti per una piena comprensione del messaggio trasmesso al possibile consumatore. In particolare, in base alla prova di commutazione possiamo capire quali elementi del piano dell’espressione sono realmente pertinenti per l’analisi di un testo pubblicitario[38]. Ora, anche se in alcuni casi la pubblicità non veicola particolari significati sul piano del contenuto, cerchiamo comunque di vedere in che modo le categorie topologiche, eidetiche e cromatiche sopra evidenziate rimandano a un particolare significato. Sono infatti proprio le ipotesi sull’organizzazione del piano del contenuto che  rendono pertinenti alcune organizzazioni espressive rispetto ad altre. [Pozzato 2001: 251]

    Gli elementi plastici che abbiamo evidenziato possono essere ricondotti a una loro significatività, ossia a una loro pertinenza sul piano del contenuto. Sul piano dell’espressione, dal punto di vista eidetico colpisce soprattutto la morbilità delle linee. In questo caso ci troviamo di fronte a un formante plastico che rimanda a un contenuto perché vi è una convenzione che lo rimanda simbolicamente a un’unità culturale, secondo un rapporto “uno a uno” tra tratto del significante visivo e tratto del significato. In altre parole, abbiamo un rimando simbolico perché a un’unità del piano dell’espressione corrisponde un’unità del piano del contenuto:

 

 

“linee arrotondate” → /armonia, perfezione interiore/

 

 

    Le linee arrotondate richiamano il cerchio, che simbolicamente è considerato la figura geometrica perfetta, e quindi sinonimo di perfezione formale. Non a caso il cerchio è stato assunto da Dante come immagine di Dio nella visione dell’ultimo canto del Paradiso; o nel buddismo, insieme al quadrato, è visto come uno degli elementi costitutivi l’immagine sacra del mandala (ossia, la rappresentazione simbolica del cosmo). Inoltre, non bisogna dimenticare la funzione del cerchio in magia: inteso genericamente come linea ideale che delimita e racchiude uno spazio, il cerchio è visto come percorso carico di potere nei riti di purificazione dei campi, e quindi come uno spazio sacro. Dunque sul piano del contenuto le linee arrotondate rintracciabili nelle figure (ma anche nel marchio) rimandano proprio a quell’idea di armonia interiore che il messaggio vuole veicolare: l’acqua Rocchetta, infatti, grazie al suo basso contenuto di minerali, stimola la diuresi e depura l’organismo.

    Ma un formante plastico può avere una pertinenza rispetto al piano del contenuto anche secondo un meccanismo semi-simbolico, ossia in base al rapporto che viene a instaurarsi tra una categoria del piano dell’espressione e una categoria del piano del contenuto. Ciò avviene quando i tratti si organizzano per contrasti, ovvero sulla stessa superficie sono compresenti termini opposti (contrari o contraddittori). [Greimas: 1984] Vediamo alcuni casi di questo rimando semi-simbolico. Abbiamo già sottolineato che dal punto di vista topologico è possibile individuare la categoria alto/basso (il riferimento va al volto di Anna Valle e al suo riflesso nell’acqua), mentre sul piano cromatico le opposizioni colori vivaci/colori tenui, scuro/chiaro. Ora, tali categorie espressive possono essere collegate ad altre categorie sul piano del contenuto. Si può ipotizzare che la categoria topologica alto/basso corrisponda sul piano del contenuto all’opposizione bellezza esteriore (il viso di Anna Valle, collocato nella parte alta dell’annuncio) / bellezza interiore (il riflesso, collocato nella parte bassa). Tale ipotesi viene in parte confermata anche dalle categorie cromatiche che abbiamo rintracciato nel testo: nelle opposizioni colori vivaci/colori tenui, scuro/chiaro i primi termini fanno riferimento al corpo (colori vivaci, scuro) mentre i secondi alla psiche, all’anima (colori tenui, chiaro). I colori vivaci, accesi richiamano infatti, secondo le convenzioni della nostra cultura, gli aspetti terreni, corporei della vita; il termine scuro si collega a una visione religiosa del corpo, che vede quest’ultimo sinonimo di peccato, dannazione. Al contrario, parlare di colori tenui e di chiarore richiamano l’idea di purezza legata all’anima, alla luce divina. Ritroviamo così il dualismo corpo/anima proprio della subcultura religiosa del nostro Paese, anche se qui viene riproposto in termini diversi da quelli che penalizzavano l’aspetto terreno rispetto a quello spirituale: nella società postmoderna non bisogna rinunciare al piacere per privilegiare la dimensione spirituale, ma, al contrario, è proprio tramite quest’ultima che possiamo raggiungere il primo. Il benessere interiore e psicologico non è più il fine ultimo da perseguire, ma diventa un mezzo imprescindibile per raggiungere il benessere corporeo.

    Possiamo proiettare la categoria /benessere/ sul quadrato semiotico, uno schema  generale delle articolazioni possibili di una categoria semantica:

 

Armonia”

 

Benessere’

 

 

“Corpo”

 

 

“Anima”

 
 


‘Non benessere’

 

“Dissonanza”

 

 

Figura 11

                                                                

 

 

    La categoria /benessere/ si articola nei sèmi “esteriore” e “interiore” (che sono contrari), “non-interiore” e “non-esteriore” (che sono contraddittori rispetto ai primi due). La categoria si oppone inoltre alla sua assenza, “non-benessere”. “Corpo” e “anima” indicati nella parte esterna sono dei sememi che possono farsi carico della manifestazione dei singoli sèmi.

    Nel percorso generativo del senso di Greimas il quadrato semiotico si colloca nel livello profondo delle strutture semio-narrative. Come scrive Traini [2001: 60], il quadrato è una struttura che rende conto dell’organizzazione profonda di una categoria semantica e, in questo modo, permette di comprenderne il funzionamento. A questo punto si può proseguire l’analisi del testo pubblicitario concentrandosi su un altro livello del percorso generativo greimasiano: si tratta del livello di superficie delle strutture semio-narrative nel quale, dopo l’astrazione del quadrato, troviamo una narratività antropomorfizzata, ossia una “versione ‘umanizzata’ di quello che succedeva con il quadrato” nel livello profondo. [Traini 2001: 60] Ciò significa che i valori virtuali del quadrato vengono ora riflessi in oggetti che si possono trovare in congiunzione o disgiunzione con i soggetti: nascono così le dinamiche narrative che cercano di rendere conto di queste trasformazioni. Ora, facendo riferimento agli attanti narrativi individuati da Greimas (figura 12), proviamo a rintracciare nel testo pubblicitario dell’acqua Rocchetta gli elementi ricorsivi che caratterizzano i racconti.

 

 

 

 

MODELLO ATTANZIALE

 

 

 

 

 

 

 

Destinante  

OGGETTO

Destinatario

 

 

 

 

Aiutante

SOGGETTO

Opponente

 

 

 

 

 

 

 

Figura 12

 

 

   

         

 

    Il Soggetto (un ruolo attanziale che in questo caso viene ricoperto da un attore ben preciso, Anna Valle) si pone l’obiettivo di ottenere un Oggetto, ossia il benessere, un’armonia con se stesso e il proprio corpo. Vediamo dunque che c’è coincidenza tra Soggetto-Destinatario e Destinante, cioè colui che desidera lo svolgimento di una certa azione e, alla fine, ne certifica il successo o meno con la sanzione: il Soggetto pertanto incarica se stesso di congiungersi con l’Oggetto desiderato. Prima di andare avanti  con questo schema è necessario però effettuare una precisazione circa la natura dell’Oggetto. Se non considerassimo la specificità della società postmoderna e i trend socio-culturali che la caratterizzano, saremmo portati a identificare l’Oggetto soprattutto con la bellezza estetica e la forma fisica; e ancora, a ritenere che il consumatore consideri la bellezza esterna un elemento essenziale per piacere agli altri e sentirsi più integrato con i gruppi sociali con cui entra a contatto. In realtà le cose sono ben diverse: il consumatore postmoderno non cerca più di raggiungere un Oggetto per integrarsi nel gruppo o dimostrare una sua superiorità/diversità rispetto agli altri: come abbiamo visto, egli cerca infatti di raggiungere gli obiettivi che si propone solo per sentirsi a suo agio con se stesso, con i suoi valori, la sua personalità. In altre parole ogni individuo nella postmodernità ha il fine di piacere a se stesso e solo in secondo luogo quello di piacere agli altri. Questa precisazione è molto importante ai fini dell’analisi in quanto consente di comprendere la pluralità dei valori presenti nell’Oggetto desiderato. In virtù di quanto appena detto, sembra preferibile identificare l’Oggetto con il benessere e l’armonia interiore piuttosto che con la bellezza fisica e la sensualità.

    Tornando al modello attanziale, vediamo che dopo aver stipulato un contratto con il Destinante (in questo caso con se stesso), il Soggetto, nel momento in cui cerca di raggiungere l’Oggetto si trova di fronte a circostanze favorevoli e sfavorevoli che condizionano il successo della sua missione. Tali circostanze in termini attanziali si traducono in Aiutanti e Opponenti: l’Opponente in questo caso è rappresentato dalla ritenzione idrica, che ostacola il benessere dell’organismo; l’Aiutante è invece l’acqua minerale Rocchetta la quale, grazie al suo basso contenuto di minerali e alla sua composizione interna, permette la purificazione dell’organismo e quindi aiuta a raggiungere l’obiettivo stabilito. L’acqua Rocchetta è pertanto anche il mezzo magico che consente al Soggetto di congiungersi con l’Oggetto per cui dall’enunciato di stato disgiunto (S U O) si passa alla trasformazione di congiunzione (S U O) → (S ∩ O). Grazie al mezzo magico/Aiutante, il Soggetto può raggiungere l’Oggetto e, dal momento che coincide con il Destinante, può emettere la sanzione: lo slogan PULITI DENTRO, BELLI FUORI indica proprio che, grazie al raggiungimento dell’Oggetto (“puliti dentro”, cioè purezza interiore, e quindi benessere), si avrà una sanzione positiva, ossia la bellezza esteriore (“belli fuori”).

    Prima di concludere l’analisi di questo testo occorre effettuare una considerazione circa i rimandi mitologici della figura presente nell’annuncio. Il volto di Anna Valle riflesso nell’acqua richiama infatti un eroe della mitologia greca, Narciso. Bellissimo figlio del dio fluviale Cefiso e della ninfa Liriope, egli rifiuta le gioie d’amore per eccessivo amore  di sé. Muore prematuramente di vana passione, per essersi innamorato della propria immagine riflessa  in una fonte e viene mutato nel fiore omonimo. Come è noto, per antonomasia, il nome dell’eroe è entrato nel linguaggio comune a indicare una persona vanitosa, piena di sconfinata ammirazione per se stessa. Troviamo quindi un altro aspetto importante della postmodernità, la riscoperta del proprio corpo, dell’amore per se stessi che, come abbiamo visto, considerato nelle sue espressioni non patologiche, rappresenta un’importante manifestazione dell’attuale mainstream dell’individualismo. Il messaggio infatti è rivolto a coloro che desiderano piacere a se stessi e non a coloro che mettono in primo piano il sentirsi a proprio agio con gli altri.

 

 

3.2.2. Il profumo Aroma Source di Lancôme

 

    Consideriamo adesso il testo pubblicitario riportato in figura 13. Si tratta di un prodotto cosmetico Lancôme, una fragranza femminile alle essenze naturali di agrumi. Osservando il testo, subito si può rilevare la presenza di un aspetto tipico della postmodernità, ossia il richiamo alla globalità delle percezioni sensoriali. Come si è mostrato nel capitolo precedente, nella postmodernità è cambiato il modo di rapportarsi fisicamente ai prodotti, di percepirne le caratteristiche oggettive e strutturali, di valutarne la qualità: un tempo la percezione di tali aspetti era riservata prevalentemente a un solo senso e la valutazione sensoriale era sempre subordinata al giudizio razionale. Il passaggio all’epoca postmoderna mette fine alla cultura che ci ammoniva  a diffidare dei sensi e dà luogo a una mobilitazione globale degli stessi nella percezione e valutazione del mondo circostante. Dunque si può parlare di polisensualismo, ossia di un approccio sensitivo alla realtà, che può essere complementare (e talvolta antitetico) rispetto all’approccio razionale.

 

Figura 13 a

Figura 13 b

 

  

 

                                                                         

 

    Ma nel testo riportato in figura 13 ci sono almeno altri due aspetti propri del clima socio-culturale postmoderno:

 

·        Anzitutto il ricorso alle emozioni, suggerito dall’utilizzo di colori tenui e dall’espressione della donna; è dunque un testo che usa un approccio soft e che riflette il primato delle emozioni nelle scelte di consumo, opponendosi anche qui alla razionalità del passato.

·        In secondo luogo, viene creata un’atmosfera irreale, facendo leva sulla voglia di sognare del consumatore; il nuovo consumatore non si caratterizza solo per il fatto di dare più spazio alle emozioni e alla sensorialità, ma anche per l’interesse verso l’inedito, il diverso, la creatività e l’immaginazione. La fantasia e il sogno, prendendo il posto del calcolo e della razionalità, diventano elementi portanti della nuova concezione del consumo: ciò non stupisce se si considera come nella postmodernità il virtuale e il reale siano connessi in una complessa rete di relazioni.

 

    Ci si rivolge pertanto al nuovo consumatore e si cerca di attirarlo puntando sulle emozioni e sulle percezioni sensoriali. Ciò si evince sia dalle immagini, sia dal testo verbale: “Un soffio d’aria fresca, una sensazione di purezza” e “Acqua per il risveglio dei sensi” sono emblematici in proposito, in quanto fanno riferimento alla riscoperta dei sensi nell’interazione e percezione dell’ambiente che ci circonda. Il testo inoltre è ricco di spunti per un’analisi semiotica, che effettueremo concentrandoci sul piano plastico. La prima cosa che colpisce è l’impressione di trovarsi in un’atmosfera diversa dalla realtà, quasi onirica. Osserviamo ad esempio i rapporti di spazio che caratterizzano il testo: c’è una configurazione spaziale molto particolare individuabile soprattutto nell’assenza di cornici o altre delimitazioni, in modo tale da creare uno spazio aperto, privo di qualsiasi ostacolo. Il testo è collocato su due pagine diverse di un giornale e quindi prevede una scansione ritmica ben precisa tra la prima parte (dove c’è la donna circondata dai fiori) e la seconda (dove c’è il prodotto e qualche fiore proveniente dall’altra parte dell’annuncio).

    Dal punto di vista dell’organizzazione eidetica si può notare la perfetta definizione delle forme, cosa che contrasta con l’atmosfera soffusa creata dai colori tenui. L’immagine che ritrae la donna è caratterizzata da un’elevata densità figurativa, mentre i fiori hanno una densità figurativa leggermente minore, risultando quasi evanescenti. Questo, insieme al colore utilizzato (un celeste molto chiaro), dà luogo a un’atmosfera onirica, quasi da sogno. Analizzando più da vicino la donna si può notare che  mentre il suo volto è caratterizzato da apertura (come mostrano il sorriso e i capelli spettinati dal vento), la parte inferiore del corpo è invece contraddistinta da una chiusura (le braccia sono incrociate), che si oppone al movimento della parte superiore. Abbiamo così l’opposizione eidetica apertura/chiusura che rimanda poi all’opposizione dinamismo/staticità sul piano del contenuto.

   I fiori sparsi nel testo creano movimento, dinamicità: è come se un soffio di vento (il “soffio d’aria fresca” di cui si parla nella parte destra del testo) spostasse i fiori dal corpo della donna  verso il resto dell’annuncio. Ciò provoca un’emozione nella donna che viene espressa con un sorriso e si manifesta soprattutto a livello interiore (“una sensazione di purezza”). Possiamo quindi individuare una prima categoria topologica nell’opposizione centro/periferia (considerando il centro il corpo della donna; da lì i fiori si diffondono nel resto della pagina, cioè verso la periferia). Questa categoria ha una pertinenza sul piano del contenuto in quanto rimanda all’opposizione sogno/realtà: il centro del testo (che abbiamo indicato nel corpo della ragazza) riflette infatti una dimensione irreale, fantasiosa che si evince dall’espressione sognante della donna. Poi, gradualmente, come suggerisce il movimento dei fiori, man mano che ci si sposta verso la periferia il sogno tende ad attenuarsi, fino a scomparire del tutto per concretizzarsi nella realtà, rappresentata dal prodotto (riportato nella parte in basso a destra) e dall’assenza dei fiori. C’è però anche una seconda categoria topologica ossia sinistra/destra, che sul piano del contenuto rimanda sempre all’opposizione sogno (la donna che sogna si trova infatti nella pagina a sinistra) /realtà (dove c’è il prodotto, nella pagina destra).

    La categoria sogno/realtà presente sul piano del contenuto viene in qualche modo ripresa e confermata anche dai colori utilizzati nel testo, il bianco e il celeste, i colori del cielo e delle nuvole i quali, nell’immaginario collettivo, rimandano al mondo dei sogni. Abbiamo dunque una metafora visiva tra i colori utilizzati e il cielo. Ciò introduce un interessante effetto di chiasmo (AB:BA) a livello cromatico: lo sfondo bianco (A) e i fiori azzurri (B) sono riportati nell’immagine del prodotto ma in senso opposto, in quanto nel pack shot lo sfondo della confezione è azzurro (B), mentre i fiori all’interno sono bianchi (A). Complessivamente l’effetto ottico dà luogo a un senso di armonia con i ritmi e i colori della natura, facendo leva su tutti i sensi, non solo sulla vista: da questo testo è infatti possibile sentire il soffio del vento, il profumo fresco dei fiori, fino ad arrivare a un risveglio dei sensi nella loro globalità.

    Infine, possiamo rilevare che il formante plastico “colori tenui” rimanda simbolicamente a un’unità del piano del contenuto, ossia  /leggerezza/, in quanto, secondo le convenzioni proprie della nostra cultura, i colori chiari rendono l’idea di una dimensione soffusa ed evanescente. Se si scende più nello specifico e quindi consideriamo il bianco e l’azzurro che richiamano visivamente il cielo, tali effetti cromatici suggeriscono anche l’idea di /purezza/ e /benessere interiore/. Dunque, come per l’analisi del testo riportato in figura 3, anche qui vediamo che lo slogan CREDERE NELLA BELLEZZA non vuole veicolare tanto l’idea di una bellezza estetica (come potrebbe suggerire a primo sguardo il tipo di prodotto) quanto quello di un’armonia interna. In modo diverso rispetto all’acqua Rocchetta, anche qui si punta sul benessere interiore, a dimostrazione di come due testi pubblicitari diversi per merceologia e obiettivo di comunicazione possano essere ricondotti a elementi simili nella strategia di comunicazione.


4. Conclusioni

 

 

    Quando nell’introduzione abbiamo parlato dei crescenti contatti tra ricerca di mercato e analisi semiotica ci siamo soffermati sullo sviluppo di collaborazioni, di aperture e di scambi tra questi due ambiti; abbiamo analizzato i recenti studi in campo sociosemiotico e abbiamo visto la specificità delle riflessioni sociologiche sull’epoca postmoderna. Allo stesso tempo però non siamo entrati nei dettagli: perché questo interesse reciproco? E, in particolare, perché il campo del marketing mostra un crescente interesse per l’approccio semiotico alle problematiche di consumo?

    Nella nuova epoca in cui stiamo entrando sembra possano realizzarsi i presupposti per un vero cambiamento nei rapporti tra produzione e consumo. L’impresa per crescere ha bisogno di un consumatore soddisfatto in quanto la fidelizzazione del consumatore va divenendo un fattore cruciale in una fase di maturità dei mercati come quella attuale. Ma la fidelizzazione si può ottenere solo garantendo al consumatore una piena soddisfazione delle sue esigenze: per la prima volta quindi vi sono le condizioni per una piena convergenza di obiettivi tra produzione e consumo. [Fabris 2003: 368] Del resto oggi esistono tecnologie informatiche per cui la comunicazione con il consumatore diventa possibile da realizzare: l’interattività consente di avviare flussi di comunicazione bidirezionali, dall’impresa al consumatore ma anche dal consumatore all’impresa. Almeno in termini di scenario, la prospettiva di una produzione sempre più coerente e tempestiva nell’adeguare l’offerta alle esigenze della domanda diventa una realtà.

    Vi sono però molte evidenze che l’orientamento all’impresa e al marketing siano ancora le attività maggiormente perseguite da molte imprese, nonostante l’orientamento al consumatore costituisca il nuovo tratto espressivo dell’agire aziendale nella società postmoderna:

 

    È prassi scandire il divenire dell’impresa moderna in quattro grandi fasi. All’inizio vi è l’orientamento al prodotto. La tensione è tutta rivolta a produrre per far fronte ad una domanda crescente. Il primato è, sino in fondo, attribuito alla produzione. A questa fase segue un lungo periodo storico caratterizzato dall’orientamento alla vendita. Si è soliti risalire alla grande crisi del ’29 per segnalare l’ingresso in questa nuova fase. Quando emersero in maniera drammatica i rischi della sovrapproduzione e l’esigenza di dedicare alla stimolazione delle vendite non meno energie rispetto a quelle rivolte alla produzione. […] la prospettiva tutta aziendocentrica di questo tipo di approccio introducono quasi fisiologicamente il passaggio ad una nuova fase. Che, appunto, è detta dell’orientamento al marketing. La vendita rappresenta, naturalmente, ancora un fine ma non può essere che la risultante di un lungo processo. Non è più l’arte del vendere ma l’applicazione di una nuova scienza – appunto il marketing – a sollecitare la domanda mediante complessi interventi. Che vanno dalla ricerca sul consumatore alle strategie distributive, dalle problematiche del prezzo alla gestione delle moderne tecniche per stimolare le vendite. […] Questa fase, che rappresenta ancora un punto di arrivo per molte imprese – almeno nel nostro Paese – viene superata da un’ulteriore evoluzione. È quella, appunto, caratterizzata dall’orientamento al consumatore. Molti hanno difficoltà a comprenderne la natura perché la considerano sinonimo del precedente orientamento. Eppure la differenza c’è, e profonda. L’orientamento al marketing è ancora tutto ispirato da una visione endogena all’impresa: tipica della fase della modernità e della cultura industriale. È certamente vero che esistono i consumatori a cui rapportarsi. Ma questi sono più percepiti come terra di conquista che come polo dialettico, come reali interlocutori dell’impresa. L’orientamento al consumatore postula invece il primato della soddisfazione dei bisogni del consumatore. […] È l’unica risposta possibile di fronte a un consumatore che ha ormai terminato il suo apprendistato. E che manifesta una crescente impazienza nel vedersi riconosciuto un nuovo ruolo. [Fabris 2003: pp.387-388]

 

 

    Dunque l’impresa deve confrontarsi con un consumatore maturo, in grado di scegliere tra una gamma sempre più vasta di merci, che dimostra una crescente discrezionalità nelle sue scelte. Il declino della fedeltà alla marca rapresenta una tangibile testimonianza di ciò. Dunque, orientamento al consumatore significa capacità di soddisfare i bisogni di questo nuovo protagonista dei mercati, adeguare alle sue richieste le caratteristiche tangibili e intangibili dei prodotti e soprattutto instaurare un dialogo, una relazione con lui. Nella realtà però i dati di ricerca indicano una crescente insoddisfazione del consumatore sul fronte di beni e servizi cui fa riscontro una mancata attenzione da parte delle imprese. Seguendo le riflessioni di Fabris [2003: pp.102 sg.] abbiamo in proposito “tre colpevoli ritardi”:

 

·        Una mancata relazione con il consumatore

Spesso le imprese costruiscono una sorta di monologo nei confronti del consumatore, non un dialogo: anche Internet, che in teoria renderebbe praticabile un rapporto personalizzato, aggiunge solo qualche servizio ulteriore senza dare luogo a una relazione realmente interattiva.

·        Scarsa sintonia

Uno dei compiti più importante per chi vende e produce è mantenere prodotti e servizi in costante sintonia con l’evoluzione dei gusti, delle richieste e delle esigenze del consumatore; una sintonia che, essendo il consumatore un soggetto storico, è in continua mutazione e pertanto deve essere seguita e monitorata con estrema attenzione. In particolare, l’attenzione alla sintonia con il consumatore diviene cruciale in periodi all’insegna della discontinuità con il passato, come l’epoca postmoderna in cui stiamo entrando. Sottovalutare questa attività costante di fine tuning significa attuare una comunicazione inefficace con il ricevente.

·        Insufficiente attenzione alla soddisfazione del consumatore

La soddisfazione del consumatore rappresenta un elemento cruciale ai fini ai fini della redditività dell’impresa. Nei Paesi industrializzati avanzati sta diventando una vera e propria scienza, uno degli indicatori più attendibili per valutare la qualità di un’impresa, il suo stato di salute e gli andamenti futuri. Soddisfazione dei consumatori significa assicurarsi consumatori fedeli, e questo è un punto estremamente importante perché acquistare nuovi clienti è più costoso che mantenere quelli già acquisiti. Gli stessi studi sulla qualità potrebbero avvantaggiarsi con l’adozione di indicatori in grado di misurare la soddisfazione del consumatore.

 

    Ignorare tali aspetti comporta il rischio di “affrontare le nuove sfide con le armi del conflitto precedente”. [Fabris 2003: 389] Nell’epoca dell’orientamento al consumatore cambiano le regole del gioco: non è solo tramite un’efficiente strumentazione del marketing, ma anche elevando la costumer satisfaction (creando così i presupposti per la fidelizzazione del consumatore) che l’impresa può conseguire i suoi obiettivi.

    Per raggiungere tali obiettivi bisognerebbe considerare un numero di variabili piuttosto elevato, cosa che esula dall’obiettivo di questo lavoro. Per questo, ricollegandoci al percorso che abbiamo effettuato fin ora, ci limiteremo a sottolineare due aspetti che potrebbero avere un ruolo molto importante in questo processo. Anzitutto, prima di mettere in pratica la politica di orientamento al consumatore, occorre ricordare la specificità dell’epoca postmoderna in cui stiamo entrando. Si è già evidenziato come la postmodernità introduca una frattura rispetto al passato, modificando profondamente il sapere sul consumo. Gli aspetti evidenziati nel corso del secondo capitolo mettono in luce come la nascita del nuovo consumatore sia ormai una tendenza inarrestabile (e anche i testi pubblicitari, come si è visto nel terzo capitolo,  si stanno adeguando a questo trend): anche se tali aspetti riguardano ancora una minoranza della popolazione possiamo già riscontrarli empiricamente nell’e-consumer, l’espressione più concreta del consumatore che diventerà egemone nel giro di pochi anni.

    In secondo luogo non bisogna dimenticare la crescente dematerializzazione dei prodotti: il valore d’uso degli oggetti ha una valenza sempre minore rispetto alla loro dimensione comunicativa. Gli oggetti diventano segno e comunicazione tanto da poter affermare che sono i significati degli oggetti a competere sui mercati più che i prodotti stessi. Questo aspetto è molto importante in quanto apre lo spazio per un’analisi semiotica delle merci, un tipo di analisi che negli ultimi anni sta conoscendo una crescente rilevanza. Se la ricerca di marketing si rivolge sempre più frequentemente  alla semiotica è perché quest’ultima non solo consente una lettura nuova dei vecchi problemi, ma soprattutto permette una migliore interpretazione dei messaggi veicolati dalle singole merci.

    Dunque un primo passo per la comprensione delle attuali problematiche di consumo potrebbe essere proprio la considerazione di questi due punti, e quindi uno scambio sempre più approfondito tra approccio semiotico e prospettiva sociologica. In questo modo sarebbe possibile porre le basi per la costruzione di un reale orientamento al consumatore: una volta messa fine ai numerosi luoghi comuni[39] sul consumatore risulterà più semplice condurre in maniera sistematica e continuativa studi settoriali in grado di collegare comparti del consumo solitamente considerati a sé stanti.


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[1]Il riferimento qui va alle ricerche quantitative basate sui tradizionali parametri socio-demografici, ma anche all’approccio psicologico usato nell’ambito delle ricerche qualitative. Su questo cfr. Semprini in Floch 1990.

[2] Ricordiamo in proposito l’analisi di Foucault [1974] in Sorvegliare e punire dove l’autore individua nell’organizzazione spaziale del carcere un modo particolare di intendere l’idea di punizione.

[3] Per molto tempo nella tradizione che faceva capo a Saussure si è usato il termine semiologia, mentre in quella che si rifaceva a Peirce si è usato il termine semiotica. Oggi i due termini si possono considerare a tutti gli effetti equivalenti.

[4] Saussure, F. De, Cours de linguistique générale, Paris, Payot, 1922 [trad. it. Corso di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Laterza, Bari, 1967]

 

[5] In realtà la pressione dei bisogni non è definitivamente scomparsa, ma è solo limitata ad aree diverse come i paesi del Terzo Mondo. Per un quadro completo sulla separazione tra bisogni e consumi cfr. Benigno e Salvemini 2002.

[6] Tirelli, D., Elementi di socioeconomia dei consumi, Coopli IULM, Milano, 1996

[7] Gli esempi sono di Fabris. [2003: 19]

[8]  Come ricorda Fabris, ci sono varie opinioni in proposito. Morra individua, nel corso della storia umana, quattro tipi antropologici: dopo le epoche che hanno visto come protagonisti prima l’homo sapiens, poi l’homo religiosus – che coniuga la vita terrena con quella trascendente – e in seguito l’homo faber – caratterizzato da una razionalità strumentale – si è giunti a una sorta di mutazione antropologica con l’emergere dell’homo ludens, proprio della postmodernità. Per Maffesoli invece dopo l’ homo politicus e l’ homo oeconomicus, la postmodernità sarebbe caratterizzata dall’homo aestheticus.

[9] L’espressione è di Semprini [1990]

[10] Pensiamo ad esempio alla moda, alla comunicazione pubblicitaria, al linguaggio giornalistico, al mondo politico, e così via. Bisogna inoltre ricordare altri argomenti su cui sta lavorando la sociosemiotica come il discorso giuridico, il discorso scientifico, i nuovi media e la Rete, la vita quotidiana, ecc. In questo lavoro, come abbiamo già accennato nell’introduzione, ci soffermeremo esclusivamente sulla sociosemiotica applicata alla pubblicità.

[11] Cfr. infra, § 0.2.

[12] Qui Marrone si riferisce al senso kantiano del termine.

[13] Approfondiremo questo aspetto nel prossimo paragrafo.

[14] Voce Socio-sémiotique redatta da Landowski e tradotta da Marrone, in Greimas, A. J., Courtés, J,  1986  Sémiotique. Dictionaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris.

[15] Packard, V., The Hidden Persuaders, David Mac Kay Company, New York, 1957 [trad. it. I persuasori occulti, Einaudi, Torino]

[16] Eco, U., Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975

[17] Codeluppi inoltre afferma che in pubblicità gli ultimi due elementi in genere sono meno interessanti, anche se l’actio assume oggi  un’importanza crescente all’interno del mezzo televisivo per la sua capacità di valorizzare il discorso parlato.

[18] Questa distinzione riguarda sia il testo che le immagini. Anche l’immagine, come la parola, possiede due livelli di lettura: quello denotativo e quello connotativo. Il primo ad affermare questa idea è stato Barthes [1982] che, nella sua analisi di un annuncio francese della marca di pasta Panzani, ha riscontrato nell’immagine pubblicitaria un’organizzazione retorica complessa e formalizzata. Su questo cfr. Marrone 2001 pp. 144-149.

[19] L’esempio è di Fabris [1994], pp.258-61.

[20] Marrone ha ripreso l’osservazione e l’esempio da Ferraro G., 1981, Strategie comunicative e codici di massa, Loescher, Torino.

[21]  Per un quadro completo sulle sue analisi cfr. Floch 1990 e 1995.

[22] Si tratta di treni, sotterranei solo nelle zone urbane, che servono tutta la regione parigina.

[23] Questa definizione del quadrato semiotico è di Marrone. [2001: 169]

[24] Marrone qui si riferisce soprattutto agli studi condotti in ambito antropologico da Lévi-Strauss in Anthropologie structurale, Plon, Paris, 1958 [trad. it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966].

[25] Floch precisa che per utopico non si intende illusorio, ma ideale.

[26] Lévi-Strauss [1978] si riferisce soprattutto ai gemelli presenti nei miti amerindi: essi in genere, pur essendo nati dalla stessa madre, sono figli di padri diversi, dei quali uno è il padre legale (buono), l’altro quello illegale (cattivo). Da qui il destino dei due gemelli (l’uno buono, l’altro cattivo) di separazione e di contrasto. [Marrone 2001: 200]

[27] Cfr. infra, § 0.3.

[28] Fromm, E., Avere o essere?, Mondadori, Milano, 1977

[29] L’importanza dell’amore nelle scelte di consumo è molto forte soprattutto nei prodotti di culto, nei confronti dei quali il consumatore ha un rapporto di venerazione molto simile all’amore.

[30] Siri, G., La psiche del consumo, FrancoAngeli, Milano, 2001

 

[31] Un esempio di oggetto dal significato immutabile è costituito dalla fede matrimoniale: un cerchietto d’oro intorno al dito indica che è avvenuto un matrimonio e che chi lo porta non è affettivamente e sessualmente libero, in quanto ha  sottoscritto con il partner un impegno reciproco di fedeltà. [Fabris 2003: 69]

[32] Questo significa che un bene, nel corso del tempo, viene desemantizzato e risemantizzato: ad esempio, un’auto non serve solo a trasportarci da una località all’altra o a farci percorrere un certo tragitto, ma è un complesso sistema di comunicazione che veicola precisi significati. [Fabris 2003: 70]

[33] La scritta “no jeans” era presente in tutti i locali che volevano salvaguardare la loro rispettabilità sociale. [Fabris 2003: 83]

[34] Barcellona, P., L’individualismo proprietario, Bollati Boringhieri, Torino, 1987

[35] L’idea di Fabris emerge anche guardando la copertina del suo libro. La figura che vi viene riportata è proprio un androgino, per dimostrare il superamento della contrapposizione tra maschile e femminile tipico della postmodernità.

[36] Greimas, A.J.,Del senso, Bompiani, Milano, 1985        

 

[37] Cfr. infra, § 2.2.2.

[38] Le qualità visive o sonore i cui cambiamenti non danno luogo a mutamenti significativi sul piano del contenuto possono essere trascurate, in quanto sono delle semplici varianti di manifestazione. [Pozzato 2001: 251]

[39] Vediamo alcuni esempi in proposito. Secondo una diffusa convinzione, la maggior parte degli italiani consumerebbe il pranzo fuori casa: ciò non ha alcun riscontro nella realtà in quanto circa l’85% degli italiani si reca abitualmente a casa propria per consumare il pasto. Una convinzione erronea riguarda anche l’uso dei cellulari: il mondo della produzione continua a dare importanza al loro essere status symbol quando in realtà non lo sono più. L’accusa di consumismo (per cui gli italiani vivrebbero al di sopra dei propri mezzi) appare dunque infondata; in Italia infatti la percentuale di risparmio è sempre stata la più alta nelle economie occidentali e il primo obiettivo che le famiglie si propongono è quello di acquistare una casa. [Fabris 2003: pp. 389]