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Desiderio di neutro e solidarietà passiva. Il posto della pace oltre la logica dell’identità


29 settembre, Guerra , tecnica , saperi, 4:41:49

Giorgio Borrelli, UNIBA

Negli anni che vanno dal 1984 al 1989, lo European Coordination Centre for Research and Documentation in Social Science di Vienna – per iniziativa del filosofo del linguaggio Adam Schaff (1913-2006) – promosse un ciclo di seminari focalizzato su un’analisi semiotica dell’Atto finale degli Accordi di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (1975). Questo importante trattato – sottoscritto sia da Paesi appartenenti ai “Blocchi”, sia da Paesi “non allineati” – escludeva la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali e promuoveva la cooperazione dei popoli degli Stati partecipanti al fine di assicurare una pace “vera e duratura”.
Augusto Ponzio (2008) – uno dei partecipanti agli incontri organizzati da Schaff – ha mostrato come le argomentazioni dell’Atto finale riposino su due logiche diverse: da un lato, la logica dell’identità, secondo cui “pace” e “cooperazione” dipendono da un patto tra entità autonome e indipendenti – una visione contrattualista, appunto; dall’altro, una logica dell’alterità basata sulla solidarietà passiva; cioè, sul comune riconoscimento della necessità – indipendente dalle volontà dei singoli Stati – di cooperare in vista di un sistema di tutele reciproche per i differenti popoli; pena la reciproca distruzione e la distruzione stessa del Pianeta. Secondo Ponzio, la prima logica ha prevalso sulla seconda, rendendo l’Atto finale una lettera morta.
Molti anni dopo l’Atto finale di Helsinki, la logica dell’identità sembra prevalere nelle argomentazioni dei discorsi sulla guerra in Ucraina: la logica dell’identità emerge – ovviamente – nelle contrapposizioni paradigmatiche “amico/nemico”, “o con noi, o contro di noi”, “se non sei con noi, sei con loro”. Resta da capire il posizionamento della categoria di “pace” in questo sistema di opposizioni. Non a caso, una categoria invisa a entrambi i poli del conflitto.
Partendo da queste considerazioni, proverò a leggere la categoria di “pace” alla luce del concetto di “Neutro” così come tematizzato da Roland Barthes. Il “Neutro” per Barhtes è il desiderio di eludere il paradigma, la scelta obbligata posta dall’ordine del discorso. In questo senso, il neutro non è “nénéismo” – pur somigliandogli. Il neutro non risponde a un interesse da tutelare – come la neutralità degli Stati, un’ulteriore manifestazione della logica dell’identità. Il “Neutro”, da un lato, schiva il conflitto per sopravvivere alla sua violenza – come il Signor Egge di Bertold Brecht; dall’altro, è un violento No alla violenza – proprio come quello del Signor Egge. Una protesta irriducibile come la disperata vitalità di Pasolini – citato a più riprese da Barthes nel suo Corso sul Neutro del 1977-1978. Il “Neutro” è la rivendicazione del diritto alla stanchezza, intesa come condizione di possibilità del gioco e della creazione. Il diritto – se si vuole, passivo – di arrendersi reciprocamente all’ineluttabilità della presenza degli altri in questo mondo e dunque il diritto di arrendersi all’alterità; con le parole di Barthes: il diritto – reciproco – a essere lasciati in pace. Si potrebbe aggiungere, il dovere di arrendersi alla pace.

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ISSN 1724-7810   |   DOI: 10.12977/ocula

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